Capitolo 11

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Alex si ritrova davanti ad una piccola villetta, con giardino e garage.
Il cancello è chiuso, prova a suonare, ma nessuno viene a rispondere.
Chiedere a Mia non se ne parla: sarà bloccata in un angolo a piangere, non risponderebbe.
Mette il telefono in tasca, con ancora la chiamata in corso e poggia un piede su un pezzetto di ferro del cancello.
In poco, scavalca ed arriva in cima, lanciandosi poi di sotto.
Atterra sul sentiero che conduce alla porta di casa. Corre, ma è ovviamente chiusa.

<Mia! Mia!>

Urla nel telefono.

<Vieni ad aprirmi! Sono qui!>

Nessuna risposta.
La mente di Alex si svuota, non ragiona più: inizia a correre intorno alla casa, in modo da trovare una finestra aperta, qualcosa per entrare dentro.
La fortuna sembra essere dalla sua: sulla terrazza sul retro sembra esserci la finestra socchiusa. Scavalca anche la ringhiera e entra di corsa in casa, iniziando ad urlare il nome di Mia.
Gira per un po' in salotto, affacciandosi prima nella cucina poi nel bagno, nel sottoscala, ovunque.
Dei rumori di passi vengono da sopra. Alex raggiunge le scale e le fa due a due.
Alla fine della scalinata, Mia lo stava aspettando con gli occhioni color nocciola lucidi e dei lacrimoni che correvano lungo le guance.
Nelle piccole mani stringeva il telefono vicino all'orecchio.

<A, Alex...!>

La sua voce è interrotta da singhiozzi continui. Lascia cadere il telefono e alza le braccia.
Alex la afferra e la prende in collo. La stringe forte a sé, la culla.

<Dov'è la mamma?>

Con il ditino, indica l'unica porta aperta nel corridoio.
Alex la raggiunge a passo svelto, facendo attenzione a non dare noia alla piccola.

<Chiara? Chiara ci sei?>

Affacciato alla porta, trova Chiara in terra.
Lascia subito Mia e corre incontro alla ragazza. Le prende le spalle e la scuote un paio di volte, poi le prende il polso, sentendo il battito.
C'era, ma molto basso. Già questo fa tirare un sospiro di sollievo a Alex che afferra la mano della bambina e con l'altra compone il numero dell'emergenza.

<Pronto? Sono Alex. Una mia amica si è sentita male; è possibile mandare un ambulanza? Ci troviamo in via D'Annunzio numero 15.>

Il cuore di Alex batte forte, mentre fornisce le indicazioni su come sta Chiara.
Il battito c'è ma basso, respira, non risponde quando la si chiama.

<Dovrà aspettare 13 minuti. Un'ambulanza sta già partendo.>

Detto questo, riattacca.
Fissa Chiara, non sapendo cosa fare: non sa se spostarla su un letto o lasciarla lì, non sa se andare giù per aprire subito la porta o aspettare accanto a Chiara. Si sente impotente.
Mia si accoccola fra le sue gambe e si stringe al petto.
Alex la culla fra le sue braccia, pronunciando parole per consolarla, sperando abbiano effetto anche su di lui.
Quei 13 minuti sono stati i più lunghi della sua vita: Chiara distesa per terra immobile gli creava dolore, ma vedere la sua bambina piangere senza sosta, senza che lui potesse fare nulla per tranquillizzarla, questo fu un colpo.
Aveva rinunciato a crescere quella bambina così dolce perché non si sentiva pronto; ogni giorno si pentiva di questa sua scelta.
Se le fosse stato accanto più spesso, forse ora avrebbe saputo cosa fare.
La stringe forte a sé e anche lui nasconde la sua testa fra i capelli della piccola.
Il campanello che suona interrompe tutto. Alex scatta in piedi e tenendo strettissima a sé Mia, corre di sotto saltando gli ultimi scalini.
Apre la porta ai soccorsi.
Sempre con Mia in braccio, conduce i soccorsi di sopra.
Poi si mette da parte, e osserva quegli sconosciuti fare il proprio lavoro.
Quando portano giù Chiara, decide di seguirli.

<Lei chi è?>

<Io sono quello che ha trovato la ragazza.>

<Qualche parentela?>

Si morde un labbro.

<No. Perché?>

<Perché solo i parenti possono salire. La bambina?>

<È la figlia della ragazza.>

<Allora lei potrebbe venire con noi. Il padre?>

Alex stringe di più la bambina, con fare protettivo poi si morde l'interno guancia in modo da trattenersi dal rispondere "io sono il padre".

<Credo sia a lavoro.>

<Lo chiameremo noi.>

Detto questo, l'uomo osserva Alex e capendo che non lascerà andare Mia, entra in ambulanza, lasciandoli lì davanti all'entrata.
Alex, che non aveva la macchina, non sapeva come raggiungere l'ospedale. A piedi ci avrebbe messo più di un'ora, soprattutto con Mia in braccio e quel dolore che ora si faceva risentire.
D'istinto, tira fuori il telefono e scorre fra i contatti, fino alla L.
Indugia sul contatto, con la testa fra le nuvole e ripensa velocemente a quando si sono scambiati i numeri. Clicca sullo schermo.

<Ti prego, rispondi.>

Uno squillo, due squilli, tre...

<Pronto?>

Sentire quella voce bassa, in quel momento di panico, fu per Alex una specie di camomilla.
Finalmente si accorse di quanto era agitato, di quanto si sentiva debole, si accorse di tutto.
Ma quella voce scacciò tutto via. La presenza di qualcuno più grande era quello di cui aveva bisogno, la presenza di qualcuno su cui contare.
Lui doveva mostrarsi forte per Mia, non poteva crollare, ma sentiva la paura salirgli.

<Ho veramente bisogno di aiuto.>

Mentre parlava, sentiva la sua voce bassa, incrinata come se stesse per piangere.
Anzi no, forse stava già piangendo. Si sistema Mia più vicina, mentre attende una risposta.

<Dove sei?>

---angolo me---
Avrei voluto aggiornare ieri, ma sono stata un po' impegnata-
Eh sì, a quanto pare ho anch'io una vita sociale lol, non ci credo manco io.

-𝔻𝕚𝕡𝕖𝕟𝕕𝕖𝕟𝕫𝕒-  𝓑𝓸𝔂 𝔁 𝓫𝓸𝔂  [Completata]Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ