3. Favori e debiti

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ALBA
Ischia, estate.



L'estate assorbiva lentamente le giornate. Tutti quanti ci abituammo alla vita nella Villa; spesso io e le mie due cugine andavamo a dormire molto tardi, ricavando qualche ramanzina da parte dei nostri genitori. Ci divertivamo a spettegolare come non mai, a parlare e ridere come delle bambine con tanto di dolci e bibite sul letto.

La Villa era il nucleo portante di tutta la mia adolescenza. Lì tutto era iniziato e tutto era finito, i miei ricordi avevano origine lì. Avrei per sempre ricordato la prima volta che la vidi: imponente, grande, calorosa. Con il suo giardino verde e colorato, la piccola fontanella per gli uccelli, la veranda accogliente dove ci avevo fatto le migliori chiacchierate con i miei e con mia nonna, le migliori scorpacciate di gelato. E, dietro ad essa, si estendevano a macchia d'olio vigneti, frutteti e tutto quello che l'agricoltura permette; da bambina mi divertivo a giocarci a nascondino, tra i ciliegie, le viti, more e pesche.

Per non parlare del buon odore che albergava quotidianamente: limone e sugo al pomodoro, questi erano i profumi più soliti. Poi c'erano altri centinaia di odori che non sarei mai riuscita a distinguere, ma che, secondo qualche stregoneria, la facevano profumare sempre.

Io e le mie cugine ci recavamo al mare spesso, dalle due alle sette. Ad un lido su cui ero cresciuta e sin da bambina mio padre mi aveva portata lì. Si chiamava "Bagno Nunziatina", i proprietari erano amici di famiglia da generazioni.

Alle volte, però, preferivamo restare alla Villa, nella nostra piscina, così potevamo far compagnia a mio fratello e potevamo restare di più con la nostra famiglia.

Tonio e Geppa erano sempre presenti, assieme a mia nonna, che era felicissima ogni giorno di più. Ogni tanto mi divertivo a stare con i miei e la bisnonna nel salotto, quando non riuscivo a dormire per l'eccessivo e asfissiante caldo.

La nonna sulla sua poltrona, come sempre — cadesse il mondo, lei non si spostava da lì —; papà tornò dalla camera di Gioele e si sedette accanto a me e alla mamma. Io mi accucciolavo sopra le loro gambe, mi stendevo come se fossi una piccola creatura indifesa. E, dopo essermi sistemata per bene, chiesi: «Raccontatemi qualcosa.»

Dunque, i miei riflettevano, riflettevano. Ma, in fondo, non c'era nulla che non mi avevano già raccontato. La nonna diceva: «Vuoi ascoltare come ci siamo conosciuti io il caro vecchio Gioele?»

E nonostante me lo raccontasse da una vita, io annuii.

Lo chiamavano tutti così, ovunque andassi: caro e vecchio Gioele. Papà mi aveva cresciuta in simbiosi con l'idea che suo nonno, il mio bisnonno, era stato di fondamentale importanza per lui. Ed era un po' grazie a lui che io amavo la musica, era tutto nato con il bisnonno Gioele.

Lui era ciò che ci univa, anche se non c'era.

Vedere la nonna così felice era un dono che mai avrei potuto ripagare, ero grata di avere una famiglia del genere. Quei piccoli momenti in cui mi facevano sentire ancora la loro piccola bambina, me li sarei ricordati per tutta la vita.

Mamma mi accarezzava i capelli, tra le sue piccole e affusolate dita, e papà ci guardava in silenzio, sotto il suo sguardo attento e vigile, un dolce guardiano.

La nonna finiva per addormentarsi. E ricadevamo in un ennesimo silenzio. Quindi guardai i miei. Riflessiva. «Mamma, papà» asserii, seguita da una lunga pausa.

«Sì, amore», sussurrò la mamma.

«Raccontatemi della vostra alba.»

Mi raccontavano sempre di quanto la loro vita fosse cambiata da quando si erano incontrati. Mi chiedevo quand'è che sarebbe arrivato il mio turno. Raccontare qualcosa. Avere qualcosa di cui parlare a chiunque.

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now