13. Di mare e di stelle - Pt. 1

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ALBA
Ischia, estate.




Quando t'ho vista arrivare
Bella così come sei
Non mi sembrava possibile che
Tra tanta gente che tu t'accorgessi di me
È stato come volare
Qui dentro camera mia
Come nel sonno più dentro di te
Io ti conosco da sempre, ti amo da mai
Fai finta di non lasciarmi mai
Anche se dovrà finire prima o poi
Questa lunga storia d'amore
Ora è già tardi, ma è presto se tu te ne vai
Fai finta che solo per noi due
Passerà il tempo, ma non passerà
Questa lunga storia d'amore
Ora è già tardi, ma è presto se tu te ne vai
È troppo tardi, ma è presto se tu te ne vai
—  Una lunga storia d'amore di Gino Paoli.
















Passarono settimane. Luglio si faceva sempre più corto.

Le giornate estive divenivano sempre più piacevoli, e, anche se il Sole non faceva altro che tempestarmi di lentiggini e mi opprimeva, c'era il corpo di Riccardo che mi proteggeva. Mi dava la giusta fede per credere che forse, forse, stavamo diventando qualcosa.

Io e lui non c'eravamo mai rivolti la parola direttamente davanti ai miei. Ma, una mattina qualunque, stavo cucinando la pasta frolla per alcuni dolci in compagnia di mia mamma, papà ci osservava dal salotto col suo giornale, la nonna e Geppa si concentravano sulla lavorazione del pane sull'ampia penisola cosparsa di farina.

Riccardo entrò dalla veranda che portava ai vigneti. Lo guardai non appena mise piede in cucina. I pantaloni erano bassi in vita, gli andavano larghi e perciò gli scoprivano buona parte del ventre piatto e marmoreo. La canotta bianca, al contrario, era attillata, gli metteva in risalto le mezzelune solcate sul petto e gli addominali. Mi era difficile non guardarlo.

«Riccardo», lo richiamai, schiarii la voce, prima che potesse voltare l'angolo e sparire, continuai a impastocchiarmi le dita.

Lui, tolse i capelli umidicci per il caldo dalla fronte, le guance paonazze, e si girò. «Mh?», mormorò, guardandomi a lungo.

«Ti dispiace prendermi un po' di more? Anche qualche pesca, se puoi?», lo guardai.

Lui sospirò, «Sì, ce la faccio. Tempo di cinque minuti.»

Io annuii e lo ringraziai. Mia mamma mi guardò di sbieco, dopo guardò Riccardo armeggiare con la scala e uscire di nuovo. Si voltò a lanciare uno sguardo di mille parole a mio padre.

Gioele scorrazzava rumorosamente per il giardino, papà provò a fermarlo e dirgli di non correre. Mia mamma decise di racimolare le forze e andarlo a ripescare con qualche aneddoto. «Gioele, forza! Va' ad aiutare Tonio!»

Gioele urlò divertito, vedendo nostro padre prendere la rincorsa e cominciare a inseguirlo. «Elia, non ti ci mettere pure tu!», mamma gridò, esasperata.

Li guardai ridendo, continuai ad assemblare la forma della mia torta sul cerchio danneggiato dagli anni. Riccardo rientrò poco dopo, portava con sé una grande quantità di more e un paio di pesche, il tutto sistemato in un cesto di vimini.

«Prego, principessa.»

Guardai nel cesto poggiato a pochi centimetri da me. «Ma quante more hai preso?»

Riccardo ne prese una e la mangiò, poi ne prese un'altra e si posizionò dietro di me. La sua mano a stringermi il fianco e a spingermi sul suo petto definito. «La giusta quantità da mangiare direttamente dal tuo corpo», mormorò, vicino al mio orecchio, la sua guancia contro la mia tempia.

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now