28. E basta

2.1K 107 2
                                    





ALBA
Ischia, inverno.

















Mi sembrò tutto uno strano sogno.

Papà mi aveva chiamata.

Dissi che stavo per tornare, che non si dovevano preoccupare. Allora, Riccardo, mi chiese se volessi un passaggio, ma io lo tranquillizzai, gli dissi che avevo la macchina. Mi accompagnò fino ad essa, mi aveva sorriso piano e io mi ero allungata in punta di piedi per lasciargli un bacio nell'angolo della bocca. Così, come fanno i bambini. 

Entrai in macchina: «Mi chiami?»

«Ti chiamo.»

Mi chiuse la portiera, diede due colpi sul tettuccio e mi guardò andar via. Ripercorsi la strada che avevo fatto per andare da lui, nel tragitto non ascoltai alcuna musica. Mi bastò il silenzio. 

Giunsi alla Villa, cenammo in casa con il sottofondo di un vinile vecchio, buon vino e un mazzo di fiori a colmare lo spazio vuoto. Non avevo detto nulla su Riccardo, ma sapevo che loro avessero capito qualcosa.

Tutto ciò che volevo era evadere.

Correre via.

Imbottirmi di libertà.

Sentirmi leggera.

Avrei voluto risentire quella sensazione che avevo avuto sulla pelle qualche anno prima.

Avrei voluto risentirmi viva.

Uscita dalla doccia, mi gettai sul letto con il cellulare e le cuffie incastrate nelle orecchie. Stavo sistemando le mie sopracciglia quando ricevetti una chiamata: Riccardo.

Il mio cuore iniziò a vibrare spropositatamente rendendomi conto che non vedevo quel numero da troppo tempo. Feci finta di niente, quando pure le pareti sapevano che non avevo fatto altro che aspettare quella chiamata.

Presi un bel respiro, aprii la finestra della camera mentre mi infilavo una felpa in maniera svogliata. Cliccai sulla cornetta verde e incrociai le braccia al petto, il freddo a penetrarmi la pelle.

«Pronto?»

«Ciao», ero certa stesse sorridendo, «Mica ti disturbo?»

«A chi? A me?», chiesi, sarcastica. «No che non mi disturbi... perché?», mi appoggiai alla ringhiera del balcone, dava sul giardino.

«Pensavo stessi per le tue... che ne so, che ti avessi interrotto una delle tue letture... robe così.»

Io negai, ridacchiando, «No. Alcuna lettura. L'unica mia lettura corrente è la mia tesi.»

«Su cosa l'hai fatta?», domandò, genuinamente curioso.

«"La società del futuro"», dissi, dondolandomi qua e là, «... parto con Orwell, poi Atwood, e mi spingo fino all'utopismo in generale... poi ci sono mille collegamenti, ma non credo tu li voglia sentire», mi grattai il braccio, grattandomi la punta del naso.

Le cicale facevano un gran baccano negli alberi e nei cespugli tutti intorno alla Villa.

«Chi te l'ha detto?», mormorò, la sua voce cambiata e calda a farmi rabbrividire le cosce, «Facciamo che quando ti vengo a trovare me la fai leggere, non accetto obiezioni.»

«Ti annoierà», borbottai, divertita dalla sua determinazione.

«Non ti ricordavo con così poca autostima nei tuoi lavori, principessa», sospirò, pensieroso.

Arrossii solo a sentirlo chiamarmi di nuovo in quel modo. Per un momento mi dimenticai come si parlasse.

«È un argomento noioso», tagliai corto, «Visto e rivisto.»

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now