14. Di mare e di stelle - Pt. 2

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ALBA
Ischia, estate.






A te per esempio
ti chiamo estate.
Per quel modo intimo che hai
di farti sera
di spostare l'equilibrio
tra carne e fiato
in un tremore
che si fa crepuscolo.
E se perdo l'equilibrio.
Poi.
Amo.
















Bollino rosso
🔴















Non mi aveva detto nulla di memorabile da farmi scoppiare il cuore, eppure il modo in cui mi aveva stretto contro di sé, come mi aveva guardata, come mi aveva ripreso la mano e si era preoccupato di portarsi dietro le mie scarpe, valse più di mille parole che, col tempo, avrei dimenticato.

Perché, invece, non mi sarei mai dimenticata di come mi aveva trattata: ero un fiore bellissimo in una teca di cristallo, e guai se mi avesse fatto marcire, spegnere. Dovevo essere un tulipano immortale, per lui, uno di quelli che non doveva perdere mai la scintilla della sua infantilità. Adorai tutto di lui, quella sera.

Ero montata in sella al motorino ancora scalza. Lui poggiò i miei tacchi sotto di sé. Partì, non gli chiesi manco dove fossimo diretti. Mi bastò vedere la sua mano spostarsi dal manubrio alla mia coscia nuda per carezzarla, temeva avessi freddo, ma non sapeva che, in realtà, a provocare quei brividi erano proprio le sue carezze, la premura delle sue mani ruvide e da uomo, forti contro la mia pelle.

Mi bastò questo.

Alla fine mi portò da Keesi. Era scoccata la mezzanotte. A mezzanotte e un quarto il locale chiudeva. Aveva parcheggiato in maniera parallela al locale e scese, togliendosi il casco.

Indossai i sandali, pulii i malleolo ricoperti di sabbia nel frattempo che lui s'incamminava verso l'entrata. Saltai giù dal motorino, corsi da lui quando mi resi conto mi stesse aspettando con le mani nelle tasche. Gli fui vicino in un attimo, mi circondò le spalle con il braccio lasciandomi un bacio sulla testa, ridacchiai ad una sua battuta, mi incollai al suo fianco.

Entrò per primo. Gli ero avvinghiata alla schiena come un animaletto insicuro, con le braccia attorno al suo torace e gli occhi a brillare da dietro la sua spalla.

Keesi si affacciò da dietro l'angolo del bar non appena sentì la porta chiudersi alle nostre spalle. Poi sorrise a entrambi. «Wow! Vi vedo abbronzati!»

«Meno male», mormorò, «Almeno non so' stato un'ora al Sole inutilmente.»

Keesi mi venne vicino e mi abbracciò contenta di rivedermi. Diede un buffetto a Riccardo sulla spalla, lo guardò in modo affettuoso, «Sto finendo di pulire il bancone, qualche minuto e ce ne andiamo. Se volete potete già salire», disse riafferrando il panno e strofinandolo sul bancone.

«Mh, no...», mormorò Riccardo, girando appena il mento per far sentire solo a me quello che stava per dire, mi domandò: «Ti va del gelato?»

Gli sorrisi, le pupille ferme sulle sue labbra, annuii.

«Possiamo sfruttare delle vasche di gelato?»

Keesi rise. «Sì, andate pure. Domani arriva il cambio.»

Riccardo non se lo fece ripetere due volte. Mi tirò con sé dietro delle porte oscillanti che si collegavano alla cucina. Al suo interno c'era ancora il calore dei fornelli caldi, il vapore fuoriusciva dalla finestrella socchiusa e alta sulla parete.

Domani sarò albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora