Epilogo

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ALBA
Sydney, estate.







Alle famiglie imperfette.













SETTE MESI DOPO















Mi rigirai tra le coperte, il caldo mi incollava le lenzuola alla pelle delle gambe, mi era impossibile prendere sonno.

Con un sospiro, mi alzai dal letto. Lanciai un'occhiata a Riccardo, che dormiva serenamente con un braccio fuori dal letto e uscii da camera nostra.

Ero rimasta in intimo, ma presto lo levai del tutto, lo lasciai sul divano di pelle enorme in salotto, aprii la portafinestra che dava sull'oceano e scesi le scale di pietra per andare nella piscina incorporata nel nostro villino.

Quando mi ci tuffai dentro, il rumore del mio corpo contro l'acqua spezzò il silenzio in mille pezzi, la freschezza mischiata all'umidità secca della notte mi fece venire i brividi su per la spina dorsale.

Risalii in superficie, mi tolsi l'acqua dagli occhi e nuotai fino ai bordi della piscina per appoggiarmi ad essi e godermi del panorama mozzafiato davanti a me. L'oceano nero si mischiava a quello del cielo, solcato da una miriade di stelle bianche e luccicanti, come spilli.

Poggiai il mento sugli avambracci e chiusi gli occhi.

Pensai alle settimane passate in quella nuova dimora.

Avevamo fatto i salti mortali per racimolare la somma precisa, Riccardo aveva fatto turni extra, nonostante fosse preoccupato di lasciarmi a casa da sola la notte. Ma, quando riuscimmo a comprarci quell'immensa casa su una delle baite più belle di Sydney, nulla potè più fermarci.

Le giornate erano passate in fretta, tra escursioni, nuotate alla deriva, pelli abbronzate e nuove lentiggini, passeggiate in riva al mare mano nella mano, nottate lunghissime passate a fare quello che ci faceva più bene, l'amore.

Eppure non era semplice amore, era qualcosa di più.

Era una passione famelica, era turbolenta, tanto da far contorcere lo stomaco, e chiedevo sempre di più. Poi, Riccardo, era un uomo di parola, e quando disse — tempo addietro, quando mi promise di portarmici — che avremmo utilizzato tutte le camere in maniera opportuna era serio. Serissimo. Ogni parete di quel villino conosceva i miei gemiti e mi aveva visto tremare sotto o sopra di lui, non era importante.

Rimasi un tempo indefinito in quella posizione, fin quando la sua voce mi fece girare velocemente, «Tu vuoi farmi venire un cazzo di infarto», sbottò, con la voce impastata dal sonno.

Lo osservai.

Aveva indosso solo un boxer nero e i capelli ricci, erano più lunghi, quasi quanto lo erano la prima volta che lo incontrai, gli cadevano sulla fronte e sulla nuca in maniera disordinata.

Si era strofinato il palmo della mano sulla faccia: «Lo sai quanto mi spaventa non trovarti nel letto a tarda notte.»

«Avevo caldo», dissi, monocorde.

Riccardo sospirò, continuò a guardarmi dalle scale, «Per quanto ancora mi terrai il broncio?»

«Per quanto ritengo necessario, adesso lasciami in pace», mi voltai di nuovo, lasciando che il mio sguardo volgesse sull'oceano, sulla Luna.

Domani sarò albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora