7. La Libera

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ALBA
Ischia, estate.







Fate quel passo in più,
date quel bacio in più
che restando fermi
non si va da nessuna parte,
che restando fermi
si perdono le migliori albe.













Sulla Libera risuonava la canzone Abbronzatissima di Vianello, accompagnata dallo scrosciare nitido dell'acqua sulla superficie incrostata della barca e dal perpetuo cinguettare degli uccelli nei paraggi.

Ci eravamo svegliati tutti presto per preparare il necessario per il primo luglio.

Il primo luglio era una festa familiare, prettamente familiare. Mio padre e mia madre erano sempre stati soliti farci festeggiare questo giorno proprio perché rappresentava il nucleo dell'estate. Ormai era iniziata la stagione più bella dell'anno, quella più acclamata da tutti.

I miei genitori adoravano fare le cose in famiglia. Sin da bambina non facevo altro che attendere quel dannato primo luglio.

Quella mattina il cielo pareva dipinto, con un azzurro a dir poco meraviglioso, limpido, sembrava lo specchio del mare. Il Sole era un disco brillante, accecante e il respiro del vento mi baciava la pelle che si abbronzava lentamente ogni giorno di più.

Papà si era svegliato alle sei, febbricitante, si era portato dietro Riccardo e nonno Pietro. Avevano raggiunto il molo della spiaggia della Corteglia, dove era attraccata la barca. Poi, con calma, la raggiungemmo tutti noi alle dieci del mattino inoltrate.

Riccardo indossava un bermuda nero, in contrasto con la pelle olivastra e i capelli biondi. Dava il cambio a mio padre nel dirigere il timone, e, quando invece non guidava, faceva da guida turistica a mio fratello, che non gli si staccava di dosso neanche un secondo. Pure se avessi avuto la strana idea di alzarmi e andare a parlargli, non potevo, che se no Gioele avrebbe spifferato tutto a mia madre, come l'amorevole fratello che era.

Ero stesa sui cuscinetti della prua a godermi il Sole, in sottofondo il rumore delle onde, lo starnazzo dei gabbiani e del motore. Mi tirai su sui gomiti, mi guardai attorno con una mano sulla fronte a pararmi dalla luce bianca dei raggi solari. Per un secondo i miei occhi caddero su di lui, su Riccardo, mi distrassi a fissare i lineamenti virili della sua schiena bronzea.

Mi alzai e lo raggiunsi, senza pensarci manco un secondo. Era seduto con mio fratello sulle gambe, i piedi ad oscillare sul pelo dell'acqua in movimento.

«Fai da guida turistica?» Dissi, sedendomi, attenta a non sfiorarlo nemmeno per sbaglio.

Riccardo alzò lo sguardo su di me, mi seguì con le pupille fin quando non mi accomodai, «Ci provo.» Gioele osservò la schiuma delle onde.

«Papà ti ha detto dove dovremo ancorarci per prima?»

«Vuole ancorarsi sotto al Castello», rispose, la sua voce risultava fresca come una folata di vento.

«Sai dirmi qualcosa sul Castello Aragonese? Non si dice mai nulla su di lui.»

Era vero. Solo attraverso Google avevo saputo qualcosa sul Castello Aragonese. Era scioccante come non si leggesse nulla sul suo conto nei libri di storia. Era stato sede di molti re e regine; era stato saccheggiato e bombardato; era passato da dinastie a dinastie, da Gerone il Tiranno di Siracusa, agli Aragonesi. Fu allestito il matrimonio di Vittoria Colonna, nobile e poetessa, con Fernando d'Avalos e accolse una centinaia di giovani artisti tra cui Michelangelo Buonarroti e Ludovico Ariosto. Era colmo di cultura, di storia, e nessuno ne ha mai parlato.

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now