19. Le scritte sui muri rimangono in eterno

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ALBA
Ischia, estate.







I wanna spend the rest
of my sunrises
and my sunsets
with You
/
Voglio passare il resto
delle mie albe
e dei miei tramonti
con Te





















Il cielo era splendido, lucente come non lo era mai stato. Pranzammo tutti quanti assieme, venne anche mia nonna Simona con zia Ilaria e zio Flavio.

Finimmo di pranzare che erano le quattro del pomeriggio. Il caldo ci opprimeva esageratamente, ma non ci smuovemmo dal tavolo. Osservai Riccardo chiacchierare con zio Daniel, e quasi mi sorpresi nel vederlo così presente nella mia famiglia.

Lo vidi alzarsi senza dare troppo nell'occhio, mi cercò con lo sguardo. Io mi accigliai come per chiedergli dove volesse andare, lui mi venne vicino, facendo il giro del tavolo. Alzai il mento e gli sorrisi. «Dove vai?»

«Voglio andare da Keesi e Marvena. Preferisco andare di persona, tu tieniti pronta per stasera che ti vengo a prendere.»

Annuii, «Va bene.»

Quindi Riccardo mi baciò e mi salutò con una carezza sulla guancia. Lo guardai andar via mentre sfilava una sigaretta dal pacchetto con le labbra, pensai che fosse bello da far male. Pensai che forse me lo meritavo un amore così, fatto di casini e prepotenza. Un amore rovente e reale, che tanto io ero una di quelle a cui nulla faceva paura, se non la morte. Riccardo era lontanamente vicino alla morte, anzi, era più vita che mai.

Lo aspettai tutto il pomeriggio, con le cuffiette infilate nelle orecchie, le canzoni a parlare di noi e l'intimo rosso a chiamarmi dal mio letto, pronto ad essere infilato. Ballai davanti allo specchio e cantai a squarciagola saltellando per tutta la mia camera, dal bagno fino al terrazzino. Ero certa stessi facendo casino, ma non mi fermai. Era l'unico modo per tenere a bada il mio cuore e a non stressarmi nell'aspettare che Riccardo si rifacesse vivo.

Arrivò la sera, che manco me ne accorsi. Cenai con l'ansia a salire nel petto poiché Riccardo non s'era fatto più sentire. Chiesi a Geppa se le avesse scritto, o se avesse sue notizie, ma lei negò dicendo che fosse normale, era da lui, aveva bisogno di starsene per i fatti propri, forse, e meditare su quanto accaduto.

Ma, improvvisamente, un suo messaggio mi fece risplendere di gioia. Alle dieci di sera, dopo cena, stavo salendo le scale per andare in camera quando Riccardo mi scrisse.

"Sto per strada. Non farmi aspettare"

Corsi in camera. Indossai tutto quello che avevo programmato, i capelli sciolti e un paio di infradito bianche. Il cellulare stretto tra le dita e l'attesa a massacrarmi.

Non appena sentii il rombo flagrante della sua moto, scesi nuovamente giù dalle scale. Mamma e papà mi fissarono senza capire, io li informai: «Esco con Riccardo.»

Papà annuì. «Mi raccomando. Divertitevi.»

Mi avvicinai a loro di corsa, li abbracciai, mamma rise, con un sorriso enorme uscii dal portone. Riccardo era fuori al cancello, seduto sulla sella, alzò il mio casco e io corsi tra l'erba per raggiungerlo in fretta.

Aprii il cancello automatico e, nemmeno aperto del tutto, mi ci infilai, gli arrivai vicino. «Ciao», chiusi il respiro sulle sue labbra, lo baciai come se mi stessi riappropriando dell'ossigeno.

Domani sarò albaWhere stories live. Discover now