Capitolo I

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L'ikran fra le mie gambe si muoveva sinuoso, spingendo per andare più veloce, mentre l'aria sibilava intorno a noi, causando il turbolento moto dei miei capelli, dietro la schiena. Dovevo reggere la treccia con cui ero connesso all'animale, premendola con la gamba contro la schiena della creatura per non perdere la connessione con lui. Volavamo più veloci di quanto non avessimo mai fatto.

Di tanto in tanto gettavo occhiate alle mie spalle, preoccupato che Lo'ak non restasse indietro, di tanto in tanto allungavo il collo, stringendo gli occhi per il vento che mi deformava il viso, per controllare che mantenessimo la distanza con la prima pattuglia, quella di mio padre.

Sotto di noi il trasporto merci della gente del cielo strideva contro le rotaie, spaventava i piccoli animali ai bordi della foresta: dall'alto riuscivo a distinguere gli erbivori più piccoli fuggire disperati, i volatili disperdersi fra le frasche degli alberi.

A breve mio padre avrebbe lanciato il segnale: dal comunicatore nel mio orecchio avrei sentito la sua voce affilata, appena disturbata attraverso il marchingegno, poi sarebbero arrivate le grida delle truppe di terra, e infine l'esplosione avrebbe fatto tremare l'aria tutto intorno al mio ikran. Poi ci sarebbe stato il vociare confusionario dell'assalto: le truppe di terra avrebbero assalito il trasporto merci e portato via ogni fucile, ogni caricatore, ogni bomba a mano. Fino all'arrivo dei mezzi di difesa aerea nemici Lo'ak ed io, la squadriglia minore al seguito, avremmo dovuto gestire la guardia, annunciare l'arrivo della gente del cielo da lontano.

Mi ero appena voltato per controllare che Lo'ak fosse ancora dietro di me, quando il gracchiare del segnale nel mio orecchio annunciò l'attacco.

Fu una questione di pochi minuti: il trasporto merci fu ribaltato e i Na'vi presero a svaligiarlo. Noi, a cavalcioni sugli Ikran, potemmo rallentare.

E fu proprio in quel momento che Lo'ak mi schizzò davanti, superandomi dalla sinistra. Si fermò proprio davanti a me, il suo ikran che mi impediva di avanzare. Sentivo già i miei muscoli irrigidirsi. Dallo sguardo con cui mi guardava, dallo slancio della sua postura, sapevo già che non ne poteva derivare niente di positivo: "Scendiamo, bro!" La voce esuberante ed infantile di mio fratello arrivò alle mie orecchie come un sibilo. Sembrava davvero che l'unico scopo di quel ragazzino fosse far si che nostro padre mi uccidesse. Sapeva che ero capitano della squadriglia minore, responsabile di tutti i Na'Vi a cavallo degli Ikran dietro di noi (per quanti pochi fossero), ma sapeva soprattutto che, più di qualunque altra cosa, avrei dovuto proteggere lui, più che di chiunque altro, ero responsabile per lui. Scossi la testa, cercando di gettargli un'occhiataccia che potesse in qualche modo somigliare a quelle che lanciava mia madre, una che dicesse, insomma, -non ci provare neppure, se non vuoi che lo dica a tuo padre-, ma, evidentemente, non mi riuscì. "Eh dai, Teyam!" Scossi nuovamente la testa, gettando un'occhiata preoccupata sotto di noi: "Papà ci scuoia, Lo'ak!" E per ci scuoia intendevo mi scuoia. Guardai mio fratello scrollare le spalle: "Sei veramente un fifone!" Prima che potessi ribattere, rispondere qualcosa di logico, Lo'ak era già sceso in picchiata con l'Ikran, era già solo un putino in moto verso il basso. Imprecai fra i denti, mi voltai verso il mio vicecapitano: "Continuate la pattuglia e avvisate mio padre di qualsiasi avvistamento. Sei in comando finché non torno." Impartendo gli ordini, la mia voce sembrava già quasi quella di mio padre: tremava appena di più dell'inesperienza, si addolciva appena di più per l'età. Avevo a malapena 15 anni standard.

Mi gettai in picchiata dietro mio fratello. Quanto avrei voluto afferrarlo per la treccia o per la coda, tirarlo a terra, malmenarlo finché non avesse pianto, come faceva da bambino: mi stava facendo rischiare troppo questa volta. Rischiavo un linciamento da parte di mio padre, di perdere la carica di capitano, di non volare per mesi, ma, soprattutto, rischiavo di finire fra le vittime che mio padre avrebbe raccolto a cucchiaiate dal campo, morti sotto il fuoco della gente del cielo, all'arrivo dei velivoli di difesa, o, peggio, mio fratello rischiava di finirci. Mentre atterravo, imprecai di nuovo, ad alta voce.

"Lo'ak! Fermo!" Gridavo, ma la mia voce sovrastava appena il caos delle truppe, delle armi e delle casse che sbattevano l'una contro l'altra, dei Na'vi che si urlavano ordini e lanciavano grida di battaglia. "Lo'ak!" Mio fratello non si fermava, riuscì ad afferrarlo per il braccio solo quando arrivammo ad una delle casse di fucili. "Sei impazzito?! Papà ci ha detto di-" Lo'ak alzò gli occhi al cielo, divincolandosi dalla mia presa con violenza. "Papà, papà, papà!" Gridò, quasi ringhiandomi contro. "Papà ha detto questo, papà ha fatto quello e Neteyam da bravo soldatino ha obbedito!" La fiammella di rabbia che si era accesa nel mio petto quando Lo'ak aveva iniziato la picchiata esplose. Riafferrai mio fratello per il braccio, con violenza questa volta, lo strattonai lontano dalla cassa, quasi facendolo cadere. "Razza di skxawng vuoi ragionare? Non sai neppure come usarlo un fucile!" Di nuovo, si divincolò dalla mia presa, ringhiando. Prima che potessi riprenderlo si era arrampicato di nuovo fino alla cassa, dove uno dei Na'vi di terra stava distribuendo le armi, ne aveva presa una. Quando gli fui di nuovo accanto, stava caricando. "Lo so usare perfettamente, papà me lo ha insegnato." Stavo per ribattere, afferrarlo per i capelli e gettarlo fra le macerie, quanto l'allarme risuonò dalla nostra squadriglia, sulle nostre teste: velivoli da difesa, dal cielo. Avevamo una quindicina di secondi prima che ci bombardassero.

Afferrai Lo'ak per la collottola, guidandolo agli Ikran, una voce dall'alto aveva gridato di abbassarsi, l'avevo riconosciuta, per la familiarità che solo quella voce poteva avere. Feci lo slalom fra le macerie, mio fratello alle spalle.

Fu tutto troppo rapido. Non arrivammo mai agli Ikran. Sentì la bomba ad impatto sibilare alle nostre spalle, gettai a terra mio fratello, lo coprii col mio corpo. Pensavo saremmo morti entrambi.

Invece la bomba scoppiò parecchi metri dietro di noi. La fiammata dell'esplosione mi sbalzò via, lontano dal corpo di mio fratello: sentì le schegge di metallo aprirsi la strada lungo la carne della mia schiena, il fuoco che mi spellava le gambe. Ricaddi lontano, persi i sensi.

Mi svegliai, trattenendo un'imprecazione fra i denti, più che per il dolore alla schiena, per il viso di mio padre davanti a me. Ero un Na'vi morto.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now