Capitolo XX

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"Sono un mostro, eh?" Lo'ak era davanti ad Aonung, così vicino che gli sarebbe bastato alzare un braccio per tirargli una gomitata, la sua mano stava fra di loro, il mignolo che si muoveva, richiamando l'attenzione: "Cinque dita, che strano." Mio fratello parlava muovendo la mano, i ragazzi dietro Aonung ridevano. "Ma sai, la mia mano può fare una cosa particolare, praticamente se metto le dita così..." Vidi Lo'ak stringere le dita verso il palmo, tenere il pollice esterno. E il suo pugno si schiantò sul naso di Aonung. Una volta, Aonung quasi cadde all'indietro per la sorpresa. Una seconda volta, il Na'vi indietreggiò. Una terza, Aonung cadde. "Si chiama pugno, stronzo. Non toccare mia sorella." I Na'vi non conoscevano il combattimento corpo a corpo. Non c'erano pugni o gomitate, ginocchiate o calci che venissero insegnati ai giovani Na'vi, quando erano addestrati per essere guerrieri. Si insegnava ai ragazzi a cercare di gettare a terra l'avversario, al massimo, per poterlo poi uccidere con una lama: tutti i combattimenti tra Na'vi erano fatti per uccidere il più debole, nient'altro. Non avvenivano combattimenti per la sopravvivenza, non c'erano attacchi improvvisi. Da dove veniva nostro padre sì. Ci aveva preso, un pomeriggio, e aveva cominciato a insegnarci come fare: chiudi la mano a pugno, colpisci con questa parte delle nocche, afferra qualcosa e tira, resta in piedi. Come combattevano i Marines, sulla Terra. Dall'altra parte i Na'vi erano più abili di noi nel placcare e gettare a terra. Rotxo si lanciò su Lo'ak, portandolo giù. Mio fratello ruzzolò, ma poi mollò un pugno anche all'altro Na'vi, riuscendo a mettersi cavalcioni sopra di lui. E allora gli altri ragazzi, prima che Lo'ak potesse colpire di nuovo, lo afferrarono per la coda e cominciarono a trascinarlo via. Lo'ak fece per opporre resistenza, ma venne portato via come senza peso. Gettai un'occhiata a Kiri, grattandomi la testa. Mio fratello le avrebbe prese di santa ragione, se non gli salvavo le chiappe, e gli altri Na'vi... Eywa, morivo dalla voglia di spaccare loro la faccia. Esitai, cercai di resistere alla rabbia: Tuk mi guardava da lontano, Kiri era proprio accanto a me, sarei dovuto essere d'esempio... La rabbia vinse.

Mi gettai nel trambusto con mio fratello. Afferrai Aonung per primo, perché era quello che stava per attaccare di nuovo Lo'ak, mentre gli dava le spalle per gestire gli altri ragazzi. Lo rivoltai su sé stesso, finché non mi guardò in faccia. Lo vidi impallidire. Poi gli schiantai il pugno sul grugno. Immediatamente il suo labbro si spaccò e prese a sanguinare, cadde all'indietro. Aveva l'impronta della mia mano sulla sua faccia e un'espressione impagabile. In qualche modo la sua sofferenza mi parve compensare per almeno un decimo di quella che aveva provocato lui a me. Volevo continuare a pestarlo finché non avesse compensato del tutto. Feci per gettarmi su di lui, ma uno dei ragazzi mi placcò, gettandomi a terra. Si mise su di me, com'era stato Aonung, e mi tenne fermi i polsi. Alle mie orecchie, intanto, arrivavano le grida disordinate di Lo'ak: "Ahi! La coda! Lasciami brutto-" E poi su univano quelle degli altri: "L'orecchio! L'orecchio! ahia!" Aonung.
Facendo leva sul mio gomito mi liberai del peso del Na'vi su di me, lo spinsi contro la sabbia per montare io cavalcioni. Ma invece che tenerlo fermo e basta cominciai a riempirlo di colpi. Quando i suoi occhi cominciarono a gonfiarsi sentii la spinta di qualcun altro che liberava il suo amico. Per la scossa che mi provocò, riconobbi il tocco.

Mi voltai di scatto verso Aonung, che era riuscito a placcarmi e spingermi sulla sabbia. Prima che lo potessi colpire era cavalcioni su di me, premeva il suo corpo contro il mio. E inevitabilmente la mia mente tornò alla sera prima. La rabbia che mi scoppiò dentro fu indescrivibile: cento miliardi di volte maggiore della rabbia che mi aveva spinto a partecipare alla rissa in primo luogo (e non ero riuscito a fermare neppure quella). Lo afferrai per un polso, mentre cercava di prendermi le mani per tenerle ferme. E sentii il mio ginocchio premuto contro la sua gamba. Ero nella posizione perfetta per una delle leve che mio padre mi aveva insegnato. Spinsi con la gamba, strattonai il suo braccio verso il lato con tutta la forza che avevo, e Aonung fu a gambe all'aria sulla sabbia. Ero io a cavalcioni su di lui. Così vicino: il mio corpo a contatto con il suo, la pelle nuda dell'interno coscia sulla sua vita snella, sulla sua muscolatura tesa, il mio viso ad un palmo dal suo. Avrei potuto baciarlo di nuovo. Il pensiero fu un fremito di emozione nel mio petto.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now