Capitolo XXXI

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Tonowari ci guidò fino alla sua capanna. Ronal era decisamente più infiammata di lui: spingeva Lo'ak, con la mano poggiata sulla sua schiena e, quando lo lanciò in mezzo alla stanza, si rivolse a sua figlia con un ringhio sul viso. "Tu gli hai permesso di legare con il reietto!" Era indignazione quella nel suo tono, nel suo urlo, e la vergogna accese le guance di Tsyreia. Abbassò lo sguardo. Anche Tonowari si voltò verso Tsyreia: ci guardava dall'alto, accigliato, e aveva le fiamme negli occhi. "Mi deludi, figlia" Il tono era solenne, la condanna di un giudice. Si vide il cuore di Tsyreia spezzarsi, nell'espressione che assunse il suo viso. Tonowari si rivolse di nuovo a tutti, non degnando più la figlia neppure più del suo sguardo. Lo'ak stava al centro, sfidava l'Olo'eyktan con lo sguardo. Pregavo che non facesse altre cazzate e pregavo Tonowari non fosse stato troppo duro neppure con Aonung, che ancora non aveva alzato lo sguardo. Non pensai neppure a quanti guai avrei passato io appena mio padre fosse arrivato. Tonowari puntò l'indice contro mio fratello: "E tu, che sei figlio di un grande guerriero," Cominciò a dirgli, e sentire sulle spalle il peso della figura di nostro padre bastò a far abbassare lo sguardo a Lo'ak. "che ti ha insegnato a fare di meglio" Vidi Lo'ak deglutire. Tonowari si voltò verso di me, con lo stesso sguardo severo, ma sostenni lo sguardo. E solo allora gli occhi dell'Olo'eyktan si allungarono oltre l'uscio della capanna. Allungai il collo per seguire il suo sguardo, e incontrai gli occhi gialli di mio padre, le sue orecchie tirate in un ringhio. Tornai a guardare Tonowari immediatamente, cercando di evitare mio padre, almeno con lo sguardo. E Tonowari allora si voltò di nuovo verso di noi: "Sedete." Abbaiò l'ordine, secco e incontestabile. Vidi Tsyreia inginocchiarsi veloce, Lo'ak sedersi quasi con calma sul tappeto di canne intrecciate, riprendendo il contatto visivo con il capo. Non si metteva per nulla bene. Né io né Aonung, presi a guardare la scena, ci mettemmo a sedere. Tonowari tuonò: "Seduti!" Aonung incassò la testa nelle spalle, assorbendo l'urlo del padre. Io, forse più abituato agli ordini gridati di mio padre, obbedii senza fretta, senza cambiare espressione, mentre Aonung si era gettato a sedere. Tonowari fece un respiro profondo, spazzò la sua esalazione lontano con un gesto delle mani, nell'aria. "I tulkun combatterono fra di loro, per il territorio." Notai che anche nostro padre e nostra madre si erano seduti, che tutti pendevano dalle labbra di Tonowari, per ascoltare la storia. "Morirono a migliaia, finché i tulkun non capirono che era tutto inutile, che la violenza, per quanto giustificata, avrebbe continuato a generare solo nuova violenza, nuovi morti. Quindi smisero di combattere." Tonowari ci guardava ad uno ad uno, con lo sguardo severo e fumante ancora di rabbia. Nessuno fra me, Lo'ak, Aonung e Tsyreia era salvo dal giudizio che si leggeva nei suoi occhi, nessuno di noi riusciva a fare a meno di sentire la presenza di Turuk Makto alle nostre spalle: mio padre sembrava riempire la capanna con la sua rabbia, e non aveva ancora superato l'uscio. "Da quel momento in avanti i tulkun hanno abbandonato qualsiasi tipo di violenza, hanno scelto la via della pace. Questa è la via dei tulkun. Deviare da questa via vuol dire essere allontanati dal clan." Il suo sguardo ora fu tutto su Lo'ak. Mio fratello non accennava ad abbassare la testa. "Payakan deviò da questa via, uccise altri tulkun. Ed è per questo che è un reietto." Calò il silenzio sulla capanna. 

E nel silenzio si sentì la lingua di Lo'ak schioccare. Si aprivano le danze. "Mi dispiace, signore," Mio fratello parlò, gli occhi e il mento alti su Tonowari. "Ma si sbaglia." Tutti, intorno a me e Lo'ak, sussultarono. Nostra madre fece un passo verso Lo'ak, gli spuntò sulla spalla: "Lo'ak!" Era un sibilo, un avvertimento. "Parli con l'Olo'eyktan!" 
"Mostra un minimo di rispetto." Lo'ak abbassò appena la testa, ma girandola appena verso nostra madre. Vidi l'espressione sul viso di mio fratello, e capii che non gli sarebbe bastato un avvertimento. E mi parve che fosse sempre stato così, che anche da bambino non fosse mai bastata un'indicazione o un divieto per impedirgli di farsi male, che avesse sempre avuto bisogno di sbatterci il muso, prima di capire. E adesso, pensai, lo avrebbe sbattuto ben forte, se non fosse riuscito a tenere a bada la lingua. Mi schiarii appena la voce, ma fu solo un nuovo avvertimento che Lo'ak ignorò: "Payakan non è un assassino!" Erano i capricci di un bambino, si sentiva dallo squillo nella sua voce. "Non è stato lui ad uccidere i tulkun! La gente del cielo-"
"Basta!" Nostra madre di nuovo intervenne. Lo'ak ammutolì. Nostro padre era angosciosamente silenzioso: non aveva ancora sbottato, non aveva ancora detto una parola. E Lo'ak stava tirando decisamente troppo la corda. Di tutti gli adulti, Ronal era quella che lo squadrava con più sdegno, più disgusto, ma Ronal non mi preoccupava, perché il mio pensiero era fisso su nostro padre. Avrei voluto vedere la sua espressione, cercare di capire  che reazione aspettarmi, ma per farlo avrei dovuto allungare il collo verso di lui e sicuramente mi avrebbe visto e...
"Mi dispiace" Lo'ak, di nuovo, parlò. Non era il tono giusto per una scusa. Azzardai allungarmi a guardare nostro padre: incontrai il suo sguardo. Mi incenerì. Più che un fulmine, più che una fiamma, nei suoi occhi era lo sdegno, la delusione, la sconfitta, la rabbia più nere che avessi mai visto. "Ma so quello che ho visto." Mio fratello aveva veramente bisogno di imparare a leggere fra le righe. Ronal trasalì, lasciando andare quasi un gridolino. Io mollai una gomitata nelle costole a mio fratello, ma era troppo tardi: nostro padre già si era mosso, stava a pochi centimetri dal viso di Lo'ak. Eppure mio fratello si voltò verso di me, completamente preso dalla follia, e mi chiese perché lo avessi colpito. E allora sentii sulla pelle lo sfrigolio delle mie cellule che bruciavano sotto lo sguardo di mio padre. "Ho sentito abbastanza." La voce di nostro padre, rispetto a quella di Tonowari, era un'infinità di volte più terrificante, ma forse lo era solo per me, perché Lo'ak continuò a guardarmi. Vidi mio padre arpionare il braccio di Lo'ak e fare per tirarlo in piedi, ma lui oppose resistenza, si divincolò dalla presa: mi fissava con gli occhi gialli pieni di lacrime e con le pupille dilatate. "Perché mi hai colpito? Sai anche tu quello che so io" Mi implorava con gli occhi. Merda, Lo'ak, ma perché? Perché mi costringeva sempre a quelle situazioni tremende? Nostro padre me le avrebbe suonate fino alla fine dei miei giorni se accontentavo mio fratello e mentivo per prendere le sue difese. Perché con gli occhi Lo'ak mi implorava di fare qualcosa, di dire qualcosa che prendesse le sue parti e che, forse, in qualche modo impossibile, lo scagionasse, ma sapeva lui stesso che io non avessi nulla da dire in suo favore, che non sapessi nulla di quello che sapeva lui. "Avanti, Teyam, diglielo!" Era un altro grido, un altro capriccio. Lo avevo coperto troppe volte: davanti a me vedevo un bamboccio viziato incapace di prendersi le proprie responsabilità perché qualunque errore avesse mai fatto nella sua vita, qualunque problema avesse creato, era stato risolto dal suo fratellone appena lo aveva guardato con gli occhioni dolci, gli stessi identici occhioni che mi stava facendo adesso. Era troppo: aveva esagerato e lo sapeva, era un guaio bello grosso e lo sapeva, e, poi, non avevo idea di cosa inventarmi per salvargli le chiappe. 
Nostro padre mi guardò con un sopracciglio alzato, le labbra sottili per l'impazienza. "Che cosa devi dirci, Neteyam?" Il suo tono velava una minaccia: 'Se non ti sbrighi a dirlo tu vengo a tirartelo fuori io'. Scrollai le spalle, preso un po' dal panico. 
Si intenda: mio fratello nei guai voleva dire io nei guai. Avrei già dovuto discutere con mio padre quella sera e non sarebbe stato piacevole per nessuna delle mie guance, lui sembrava già parecchio incazzato ed ero terrorizzato all'idea che mi prendesse di peso e sdraiasse sulle sue ginocchia come un bambino davanti alla famiglia di Tonowari, davanti ad Aonung. Quello che mi prese fu un panico più che lecito davanti allo sguardo che mi stava riserbando. 
"Non ho niente da dire" Lo sputai quasi fuori, temendo che far aspettare mio padre per una risposta avrebbe portato a risultati, diciamo, drammatici. "Non so cosa vuole che dica, io non-" Le parole mi rotolarono fuori dalla lingua. 
"Stronzo!"  Un nuovo capriccio di Lo'ak mi interruppe. Sgranai gli occhi. "Zitto!" Nostro padre mollò un colpo (leggero) sul coppino di mio fratello, che però incassò la testa nelle spalle e si portò la mano al collo con fare teatrale. Si voltò velocemente verso nostro padre e poi di nuovo verso di me, prima che nostro padre lo afferrasse di nuovo per il braccio. Si divincolò di nuovo: "Perché non glielo dici?!" 
"Non ho intenzione di inventarmi un'altra cazzata per coprirti il culo!" Sbottai. E mi pentii di tutte le parolacce che mi uscirono dalla bocca, conscio che ne avrei dovuto pagare lo scotto. Lo'ak spalancò quasi la bocca per la sorpresa, ma nei suoi occhi si dipinse l'offesa, come avessi tradito lui e la sua fiducia integralmente. Per poco non gli risi in faccia: non poteva aspettarsi da me che mentissi così su due piedi, non poteva azzardarsi a chiedermelo dopo che mi aveva fatto passare un guaio dopo l'altro con nostro padre. Non poteva. Specie perché alla fine si sarebbe beccato solo una lavata di capo ed io ... Io avevo già perso la carica di capitano per colpa sua. Per non dire altro. "Cresci, Lo'ak." Mi uscì quasi con cattiveria, veleno dalla punta della mia lingua, quando voleva essere solo un rimprovero per il mio fratellino. 
"Basta, basta così." Nostro padre intervenne: si spostò fra me e mio fratello, ed afferrò entrambe le nostre braccia. Tonowari e la sua famiglia ci guardavano sbigottiti. Nostro padre ci tirò in piedi di forza. 
"Non gli vuoi dire proprio niente?" Lo'ak tentò di liberarsi dalla presa di nostro padre, ma ci teneva così saldi che ci avrebbe fatto uscire dei bei lividi. Lo'ak parlava a me. 
Capii immediatamente dove stesse andando a parare. Pregai con lo sguardo che non lo facesse. Dopo tutto quello che avevo fatto per lui? Sarebbe stato il tradimento ultimo, l'imperdonabile. 
Nostro padre ci scosse: "Ho detto basta!" 
Lo'ak lo ignorò. "Se non glielo dici tu..." Sorrise. "Glielo dirò io." 
"Lo'ak, no!" Sentivo le lacrime negli occhi. No, no, no. Ogni mia paura, ogni mio timore. Mi pentii di averne parlato con Lo'ak, mi pentii di aver permesso accadesse. Avevo baciato Aonung, gli avevo confessato che lo amavo. Ed ora Lo'ak stava per dirlo a nostro padre, a nostra madre, a Tonowari e Ronal e Tsyreia e a chiunque altro fosse a portata d'orecchio. Il segreto più prezioso e pericoloso che possedessi, l'unico che avevo avuto la fiducia di confessargli. Sarebbe uscito alla scoperto e mi avrebbe rovinato, esattamente come avevo temuto avrebbe fatto. "Lo'ak, ti prego, ti supplico." 
Una nuova scossa da nostro padre. "Ditelo e basta!" 
"Lo'ak, per favore, non-"
"Hai paura di dirglielo, Teyam?" 
"Di dirmi cosa?!" Un grido.
"Teyam, diglielo! Su!"
"Lo'ak, ti sto implorando, ti sto-"
"Tiratelo fuori, adesso!"
"Devo fare io?" Lo'ak si divertiva, sogghignava.
"Lo'ak, ti supplico, farò tutto quello che-"
"Cosa devi dirmi! Neteyam!" Lo scrollone fu solo per me.
"Deve dirti che si scopa Aonung!" Lo disse quasi ridendo.

La stanza si fece di ghiaccio. Mi parve di svenire.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora