Capitolo XXXII

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Calò il silenzio. Merda, merda, merda! Sentivo di star andando in iperventilazione: Aonung lanciava occhiate veloci da me a Lo'ak, da Lo'ak a me, la bocca spalancata per la sorpresa. Io non ci potevo neppure credere. Lo'ak aveva spiattellato tutto! Era la fine. Ci avrebbero preso e sbattuto fuori dalle loro capanne, fuori dal loro villaggio, dal loro clan, dalle nostre stesse famiglie. Nessuno ci avrebbe riconosciuto come Na'vi, come i loro fratelli, i loro figli. Ci avrebbero escluso, allontanato ed esiliato per sempre. Mi mancava il respiro, la presa di mio padre sul mio braccio si stringeva. Nessuno osava dire una parola: Tonowari e Ronal si guardavano increduli, Tsyreia cercava lo sguardo del fratello, che però era troppo scioccato per guardarla, nostra madre aveva la mano alla bocca, se la teneva premuta contro le labbra per la sorpresa. Il tempo parve essersi fermato: solo il mio cuore gridava all'impazzata nelle mie tempie, solo i miei polmoni si riempivano e svuotavano troppo veloci perché l'aria arrivasse davvero al mio cervello. Non riuscivo a pensare. L'esilio, l'esilio, l'esilio: mi pareva i miei pensieri fossero solo deliri. Nostro padre mi odiava ora, nostra madre non mi guardava, Lo'ak mi aveva tradito. Tutta la mia vita era andata in fumo.
Per una delle bambinate di Lo'ak.
Lo shock lasciò il posto alla rabbia, molto, troppo rapidamente.
Avevo fatto di tutto per mio fratello: mi ero preso la colpa per cose che non avevo fatto, avevo mentito ai nostri genitori, avevo picchiato Na'vi, partecipato in risse inutili, procurandomi lividi inutili, avevo rubato, coperto i suoi furti, avevo infranto una miriade di regole, solo per lui. Avevo picchiato il Na'vi che amavo per Lo'ak, avevo passato l'inferno nel tentativo di proteggerlo da tutti e da sé stesso, sempre. E non solo nelle ultime settimane, ma per tutta la vita. E questa era la moneta con cui mi ripagava? Adesso lui mi tradiva? Per non ascoltare una strigliata?
Il mio corpo era predisposto alla rabbia: l'affanno del terrore dovette solo cementarsi, accendersi. Il mio cuore già spingeva sangue e adrenalina in ogni parte del mio corpo.
Sentivo che lo avrei ucciso. Se solo mio padre mi avesse lasciato andare. Scoppiai: "Lo'ak, razza di-" Presi a scalciare per liberarmi dalla presa dell'uomo. Tirai e spinsi indemoniato, mio fratello che non poteva indietreggiare perché nostro padre, o meglio, suo padre adesso, teneva anche lui. Con tutto il peso del mio corpo mi lanciai contro Lo'ak, solo in parte la presa dell'uomo riuscì a tenermi indietro. Fui abbastanza vicino da sfiorare Lo'ak con un calcio. Il suo lamento alle mie orecchie fu una goduria. Gli avrei dato tutti gli schiaffi che le braccia mi avessero consentito, se solo fossi riuscito a liberarmi... Lo avrei strangolato, le mie mani intorno al suo collo, lo avrei preso a pugni e mi sarei riempito del suo sangue fino ai gomiti, perché tanto, ormai, non era più mio fratello, non era più nulla per me: io ero un reietto, solo, allontanato per sempre. Volevo togliermi almeno la soddisfazione di ucciderlo. Jake Sully -perché questo sarebbe stato per me d'ora in poi- mi tirò indietro: rovinai sul pavimento della capanna.
Mi resi conto solo allora che Aonung era scoppiato in lacrime, che stava scappando dalla casa inseguito da Tsyreia, mentre ancora Tonowari e la compagna non riuscivano a credere a quanto avevano sentito.
Lo avrei seguito, da reietto, dopo aver gonfiato di botte Lo'ak, in vendetta. Lo'ak si nascondeva dietro suo padre: l'omone lo copriva quasi per intero, specie con le spalle larghe e le braccia pronte come le aveva adesso. Non bastò a fermarmi. Mi resi conto che, nel lanciarmi via, aveva lasciato la presa. Ero libero. Strinsi i pugni contro i fianchi, e mi lanciai su Lo'ak, aggirando Jake e schivando le sue mani che cercavano di afferrarmi per il coppino. Sgusciai fino a Lo'ak e lo gettai a terra spingendolo dal centro del petto. Mi lanciai cavalcioni su di lui. E a pugni chiusi lo colpii. Una, due volte: rapido, tecnico, il mio pugno si schiantava sul suo zigomo e trascinava fino al suo naso, si ritraeva veloce e riprendeva potenza, per colpirlo di nuovo. Le mie nocche assorbivano i colpi con familiarità, il muscolo del mio braccio riconosceva il movimento, l'addestramento che mi aveva dato mio padre usato contro mio fratello. Solo che non avevo più né un padre né un fratello. Riuscii a colpirlo una terza volta, poi due braccia mi cinsero la vita e tirarono via di peso. Scalciai, ma fu inutile. Mio padre mi prese in braccio e lanciò dall'altra parte della stanza: "Basta!" Tuonò. Lo'ak non riuscì a tirarsi in piedi. Io rotolai in terra, sbucciandomi gomiti ed avanbracci. Alzai gli occhi su Jake mentre gridava: non ero per nulla spaventato. "Che storia è questa?!" D'improvviso gli importava poco di Payakan, poco del disonore che Lo'ak aveva portato sulla famiglia. C'erano solo i guai di Neteyam, il disonore che portava Neteyam. Qualsiasi cosa avessi fatto io sarebbe sempre stata peggiore di quello che aveva fatto Lo'ak. Io ero il maggiore, io l'erede al titolo. Anche se ora non avevamo più un titolo e non avevamo altro che uturu. Il figlio di Turuk Makto non poteva amare un altro maschio. Si leggeva negli occhi rabbiosi con cui mi guardava, dall'alto. Mi tirai in ginocchio, e poi in piedi, gli occhi fissi su mio padre, no, sul padre di Lo'ak. "Che cazzo di storia è, Teyam?!" Jake fece un passo verso di me. Non indietreggiai, non risposi. Lo guardai soltanto, leggendo la sua espressione. Era spaventato, all'idea che quello che aveva detto Lo'ak fosse vero, disgustato. La sua rabbia era passata in secondo piano, e si percepiva appena nella curvatura che avevano preso le sue orecchie, nel modo in cui erano socchiusi i suoi occhi. Alzai il mento, volutamente arrogante. Se avesse voluto picchiarmi non gli restava che farlo: le avrei prese senza un lamento, le avrei prese e avrei cercato di dargliele di rimando, perché sapevo che una volta che avesse avuto conferma di quello che aveva sentito non sarei più stato suo figlio e per me ormai non aveva più senso continuare a mentire: la bomba era sganciata ed era deflagrata al centro della capanna. Aonung era scappato in lacrime, Lo'ak sanguinava piagnucolando sul tappeto. E io avevo i pugni caldi, la vergogna sulle guance. Tutta la mia disperazione, il mio terrore, era diventato rabbia. Sotto la rabbia si nascondeva l'immenso dolore, il lutto della perdita della mia casa, della mia famiglia, di mio padre. Sfrontato, feci un passo verso Jake. "Qual è il problema?" Chiesi, accigliato, volutamente irriverente. Jake fece un nuovo passo verso di me, una falcata rabbiosa: "Qual è il problema!?" Ripeté, il tono alterato. "Devi essere diventato stupido per non capire qual è il problema!" Era abbastanza vicino da potermi colpire: mi sovrastava di tutta la testa e guardava dall'alto minaccioso. Sostenni comunque il suo sguardo. "Lo'ak può scoparsi Tsyreia, ma io non posso toccare Aonung?" Vidi mio padre serrare la mascella, al sentirmi dire scopare. E appena finii la frase il primo schiaffo mi fece vedere le stelle. "Non voglio neppure sentirlo!" Ringhiò. Non mi mossi di una virgola, non sussultai. "Se è un problema per te che io lo ami, mi dispiace per te." Gli dissi, la voce ferma, glaciale, mentre dentro sentivo infuriare e gridare il lutto e il desiderio impossibile e innegabile di sciogliermi in un abbraccio di mio padre. Le mie parole furono quasi uno sputo. Mio padre, Jake, storse il naso, visibilmente si trattenne dal colpirmi di nuovo. Non era abituato a lasciare che gli parlassi così. Forse Lo'ak, forse Kiri o Tuk, non io. "È un problema per tutti, Neteyam. É un problema e basta." Fu categorico, mi prese il mento fra le mani e strinse le mie guance fra le dita. Non avevo intenzione di sottomettermi, non di ubbidire. Non su questo. Risposi: "Non per me, per me non è un problema." Non lo era più. Avevo passato qualche settimana di inferno, attanagliato dal senso di colpa e il disgusto di me, ma ero arrivato alla mia conclusione, ero arrivato ad accettarlo comunque. E non mi sarei tirato indietro adesso. Jake mi guardò con disgusto. Era uno sguardo difficile da sostenere, eppure lo sostenni. "Non ti ho insegnato questo." Furono queste le parole che scelse di dirmi. Scrollai le spalle. "Mi hai insegnato ad amare e a farmi rispettare quando ho preso una decisione, ed è quello che sto facendo." Mio padre schioccò la lingua: "Non osare..." Ammonì. "Non è questo quello che-"
"Quello che cosa?!" Sbottai, interrompendolo. "Quello che mi hai detto di fare?! Quello che tutto il cazzo di mondo si aspetta da me?! Quello che tu ti aspetti da me?!" Gli puntai l'indice contro, poggiandolo piano sul suo petto. Un altro schiaffo mi fece girare su me stesso. Questa volta portai la mano sulla guancia per il dolore. Eppure non abbassai la testa. "Tu non sei il figlio che ho cresciuto io." La voce di mio padre fu marmo ghiacciato. Mi guardò negli occhi mentre me lo diceva. Sentii un nodo in gola che non riuscii a ricacciare giù neppure deglutendo. "E questo non è quello che l'uomo che mi ha cresciuto mi avrebbe detto." Adesso, inevitabilmente, la mia voce tremava. E ancora non abbassai la testa, non distolsi lo sguardo, non mi spostai indietro di un millimetro. Mio padre, no, Jake si schiarì la voce: "Bene." Mi voltò di colpo le spalle. Che fosse incapace di dirlo guardandomi negli occhi? Mi avrebbe disgustato la cosa. "Vedo che almeno su questo siamo d'accordo." Si voltò di nuovo verso di me. "Tu non sei più mio figlio, io non sono più tuo padre." Non c'era un tremolo, non un'esitazione. Si vedeva dai suoi occhi che aveva già vissuto un'infinità di volte questo momento nella sua mente: aveva avuto i suoi dubbi dal momento in cui ci aveva visto sul pontile e aveva cominciato a pensarci. Non era solo una reazione a caldo. "Quindi ti voglio il più lontano possibile dalla mia famiglia." Mi afferrò il viso con una mano, e le sue cinque dita mi presero tutta la mascella, il suo mignolo mi permette contro la trachea: la minaccia mi sarebbe rimasta bene in mente. Avvicinò il suo volto al mio, gli occhi gialli che brillavano di un'ira che lo avevo visto rivolgere solo ai nemici, ai pericoli per la nostra famiglia. La sua famiglia. "Sono stato chiaro? Tu e quell'altro schifoso dovete stare alla larga da-"
"Non ho intenzione di evitare le mie sorelle fino a quando non saranno loro a chiedere che io lo faccia" Finii la frase e la presa sul mio collo divenne uno schiaffo, mi strappò l'ultima sillaba dalle labbra. Rovinai a terra, tanta fu la forza con cui mi colpì. Scalciai d'istinto per indietreggiare: Jake mi sovrastava di tutta la testa e allungava le braccia muscolose, della larghezza della mia testa, verso di me, per prendermi per il collo e ritirarmi in piedi. "Non sono più le tue sorelle!" Gridò.
"Loro non mi hanno ripudiato! Loro lo sanno e lo accettano così com'-" Gridai di rimando, ma fui interrotto dalle sue mani attorno al collo. Mi ritirò in piedi e mi spintonò, così forte che sentii l'impronta delle sue mani sul mio petto e faticai a restare in piedi. Ma ci riuscii. "Tuk è una bambina!" Continuava a gridare. Intorno a noi ormai il resto della capanna sembrava scomparso. "Tu stai convincendo una bambina che questo sia normale! Quando sai benissimo che è solo ripugnante!" Mi spinse di nuovo, e di nuovo, finii con le spalle spinte contro il muro della capanna. "Non devo convincerla. E neppure Kiri." La mia voce era tornata calma, malgrado le falcate che avvicinavano Jake. "Loro lo sanno e mi amano e basta. Non sto facendo nulla di sbagliato, so di non star facendo nulla di sbagliato." Mi sentivo troppo bene quando stavo con Aonung perché fosse sbagliato. Presi un respiro rapido, freddo, adrenalinico: "Il fatto che tu non riesca ad amarmi è una tua mancanza. Non mia." La mia voce fu fredda come la sua, categorica. Jake si scompose appena. "Ti voglio lontano dalle mie figlie." Ripeté. Scossi piano la testa. "Se ti dovessi vedere vicino a loro, o a Lo'ak, avrò cura di ammazzarti io stesso." Mi permette contro il muro con le mani sulle spalle, lo spinsi via per liberarmi e non lo degnai di una risposta. Non meritava neppure quella. E avrebbe dovuto ammazzarmi davvero per tenermi lontano da Tuk e Kiri. Tirai su con il naso ed uscì dalla capanna a testa alta.
Ero entrato Neteyam Sully, figlio di Toruk Makto, ne uscivo Neteyam, nessuno.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Onde histórias criam vida. Descubra agora