Capitolo V

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Atterrai fra le frasche degli alberi, molto prima dell'arrivo di mio padre. Avevo sentito delle grida, sorvolando gli alberi: Tuk, Kiri.

Mi tremano appena le gambe: tutti i miei fratelli rischiavano di morire, se già non gli era successo qualcosa. Legai l'ikran, afferrai l'arco. La pioggia continuava a scrosciare: non si era fermata per tutto il giorno. Come una foglia umida che scivola lungo un tronco muschioso, mi calai dalle frasche, raggiunsi il sottobosco, cercai di muovermi veloce e silenzioso, come mi avevano insegnato. Intravidi, finalmente, oltre i cespugli e le frasche, le sei divise di cui aveva parlato mio fratello. Sei avatar, quattro pistole puntate alla testa dei miei fratelli, due guardie con i fucili in collo. Mi arrampicai fino in cima ad un albero più vicino, mi preparai a tendere l'arco, nascosto dal tronco.

Incoccai la prima freccia, mi preparai a tendere, e una mano sul mio braccio destro mi fermò. Riconobbi la presa delle quattro dita prima di voltarmi verso mia madre. Fradicia, mi fece cenno di fermarmi e aspettare. Ubbidii, come avrei ubbidito ad un superiore su un campo di battaglia: perché ora non era mia madre, perché ora eravamo in missione, ed era vitale vincessimo.

Pochi secondi dopo, mia madre mi indicò una vedetta caduta, pochi metri dietro il gruppo che teneva i miei fratelli: Lo'ak al centro, in ginocchio, che faceva il medio all'avatar in comando. Una decina di metri davanti a loro mio padre si muoveva silenzioso, confondendosi con il sottobosco, la vedetta caduta spiccava, a terra. Mia madre lanciò il grido di avvertimento. I miei fratelli si scambiarono sguardi d'intesa. Mia mamma mi fece cenno di restare fermo dov'ero, si inoltrò ancora di più nella foresta, cercando un posto migliore per tirare l'arco. Nel frattempo,  dall'alto, vedevo mio padre che si muoveva veloce verso i miei fratelli.

Per qualche istante ci fu silenzio, vuoto.

Poi una freccia di mia madre trapassò l'occhio dell'avatar che tratteneva Kiri. Nello sgomento, Lo'ak poté approfittarne: afferrò il fumogeno dalla cintura dell'avatar che lo tratteneva, lo fece scoppiare in mezzo alla mischia. Con la copertura del fumo, Tuk fece qualcosa, che non riuscii a vedere, al soldato che la tratteneva, che imprecò. Seppi che anche Spider era libero quando vidi tutti fuggire al di fuori della cortina di fumo. Mio padre sparò a qualche soldato, sparì di nuovo nel sottobosco. Le frecce di mia madre sibilavano, ma ormai i marines restanti avevano preso copertura. Solo un paio rincorrevano i miei fratelli. Non potevo più stare a guardare. Mi calai dall'albero veloce e agile, toccai il sottobosco con un salto silenzioso, cominciai a correre contro i miei fratelli. Li trovai immediatamente.

Tuk mi si gettò fra le braccia, il resto dei miei fratelli e Spider si fermarono davanti a me, quasi sollevati. "State tutti bene?" Presi Tuk per le spalle, la rivoltai un po' per esaminare le sue ferite: a parte qualche sbucciatura, sembrava star bene. "Stiamo bene, Teyam" Solo Lo'ak mi rispose, la voce tremante. "Mi dispiace tantissimo, io-" Misi Tuk in braccio a Kiri, per avvicinarmi a mio fratello. "Non importa adesso." Poggiai la mano sulla sua spalla: "Portali lontano da qui". Lo spinsi appena oltre me, incitandolo con lo sguardo. Doveva. I miei fratelli ripresero la fuga. Di lì a breve, lo sapevo, sarebbero arrivati due marines, per inseguirli. Sapevo che loro sarebbero arrivati e loro non sapevano che sarei stato lì ad aspettarli: ero in vantaggio. 

Mi appostai dietro un tronco, le spalle premute contro l'umido muschio della foresta, che respirava con me. Le mie dita stringevano la corda, la freccia incoccata tremolava appena. Sentivo ancora in lontananza l'armonia della pioggia disturbata dai passi disordinati dei miei fratelli in fuga, da una parte, dagli spari e dalle grida dei miei genitori, dall'altra. Non potevo mancare il bersaglio, non potevo fallire. Feci un respiro profondo. I passi dei marines si fecero sempre più vicini. Uno di loro era molto più vicino dell'altro. Riposi la freccia, afferrai la lama. E quando fu accanto al mio tronco mi avventai su di lui. 

Colto dalla sorpresa, l'avatar rotolò a terra, si lasciò bloccare dal mio peso su di lui, mugugnò appena quando gli aprii la gola con il coltello. Il sangue che schizzò dalla ferita mi riempì la bocca, mi sporco viso e petto. Sputai, rialzandomi. Le mie mani tremavano. Se non avessi ucciso lui, avrebbe ucciso i miei fratelli. Mi arrampicai sull'albero dietro cui mi ero nascosto, aspettando l'altro marines con l'arco teso. Quando anche lui arrivò, quando esitò nella sua corsa per guardare il cadavere del compagno, la mia freccia lo trapassò. 

Corsi silenzioso verso la baracca: mio padre era nascosto dietro un tronco, di mia madre si intravedeva la coda dietro un alto albero, uno degli Avatar, il  comandante a cui Lo'ak aveva fatto il medio, le gridava qualcosa, mentre altri due dei suoi uomini si muovevano piano, cercando di aggirarla: uno percorreva la strada dove mio padre lo stava aspettando, l'altro avrebbe raggiunto indisturbato mia madre dalle spalle. Intravidi altri avatar sparire nel bosco, all'inseguimento dei miei fratelli. Imprecai, mentre mi muovevo veloce verso il marines che minacciava mia madre. Erano molti più di sei uomini. "Demone!" Mia madre gridava. Doveva essere disarmata. Scorsi mio padre che saltava al collo del primo marines, senza un suono. L'altro avatar aveva quasi raggiunto mia madre: aveva cominciato ad alzare il fucile. "Ti ucciderò tutte le volte che sarà necessario!" Il marines stava prendendo la mira. Riuscii a raggiungerlo: incoccai la freccia, tesi l'arco, scoccai. Un secondo prima che sparasse, la mia freccia era passata attraverso la sua schiena, attraverso i suoi polmoni, fuoriuscita dal davanti. Tirai un sospiro di sollievo, la tensione che si allentava sulle mie spalle.

Abbassai la guardia, per quel secondo che mi ci volle a respirare. 

Un proiettile sibilò accanto al mio orecchio, si conficcò nella corteccia alle mie spalle. Mi voltai di scatto. Il demone mi puntava il fucile contro. Feci per tendere l'arco, ma fui spintonato a terra. Mio padre mi teneva la testa abbassata, faceva scudo ai proiettili con il suo corpo. Mi tirò in piedi, mi spinse a correre fino al riparo, dietro un tronco enorme. "Stai bene? Sei ferito?" Annuii, scossi la testa: "Sto bene" I suoi occhi corsero avidi sulla mia pelle, mentre mi tastava con le mani le braccia e i fianchi, notarono il sangue che mi tingeva la faccia. Il sangue dell'Avatar che avevo ucciso. "Dove sei ferito?" Mi prese il viso fra le mani, se lo rigirò, con apprensione. Afferrai i suoi polsi, per farlo fermare: "Sto bene, papà" Gli dissi. "Non è mio." Vidi il suo viso rilassarsi appena. "Bene" Mi carezzò appena la guancia, per riprendermi la collottola. "Con me. Sei pronto?" Annuii. Non avevo tempo di pensare. Mio padre imbracciò il fucile, si sporse oltre il rifugio, sparando quattro colpi verso il demone. "Vai! Vai! Vai!" Mi gridò, spingendomi dalla presa che aveva sulla mia nuca, mentre il fuoco nemico si fermava, per un mezzo secondo. Corsi dove mi indicava, lanciandomi giù da una radice, prendendo nuovo riparo dietro un tronco, ma solo per un secondo, prima che mio padre mi tirasse di nuovo con lui. Il fuoco nemico era scoppiato di nuovo. Un paio di pallottole ci fecero il filo, ma non ci colpirono. Riuscimmo a sparire nella foresta, nessuno che ci seguiva. A quel punto alzai la testa verso di lui, ansimando appena: "Ci sono altri uomini che stanno inseguendo i ragazzi!" Quasi strillai, isterico. Mio padre mi mise una mano sulla testa: "Calmo!" Gridò. "Calmo." Mi fissò, intensamente, negli occhi, il tono più calmo: "Ho bisogno che tu stia calmo. Quanti avatar?" Scrollai le spalle: non lo sapevo. "Non li ho contati, signore." Mi riprese per il braccio: "Ok, ok," Sembrava appena scocciato dalla risposta, ma non aveva il tempo di preoccuparsene, ora. "Non importa. Andiamo." Mi tirò dietro di sé, all'inseguimento degli inseguitori. Non corsi mai veloce come corsi quel giorno. 

Quando raggiungemmo i miei fratelli, però, erano tutti fermi in uno spiazzo fra gli alberi, mia madre con loro, Kiri in lacrime: mancava Spider. I rumori della ritirata arrivavano a noi flebili, lontani. Avevano preso Spider. Tuk si gettò tra le braccia di mio padre, piangendo anche lei. "State bene?" Mio padre ansimava, e tutti sapevamo che non era stanco per il combattimento. Si prese Tuk in braccio: "Stai bene?" Tuk annuì. Un attimo dopo anche Kiri si era gettata fra le sue braccia: "L'hanno preso, papà, hanno portato via Spider!" Singhiozzava. Mio padre le carezzò i capelli. "Shh, lo so, piccola. Andrà tutto bene, vedrai. Ce la caveremo." Si avvicinò a Lo'ak, abbracciò perfino lui, ripetendo: "State bene? Siete feriti?" Tutti scuotevano la testa, rispondevano fra le lacrime. "Vieni qui" Prese anche me per la testa, infine, stringendomi al suo petto, teneva Tuk in braccio, Lo'ak dall'altra parte: "bravo, ragazzo mio." Anche mia madre si aggiunse all'abbraccio: tremava, contro il corpo del suo compagno, che ripeteva: "Ce la caveremo."

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Donde viven las historias. Descúbrelo ahora