Capitolo XXIII

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La capanna di Tonowari era la più grande del villaggio, così grande da mettermi in soggezione. Ci arrivammo con il fiato corto, un manipolo di uomini che si preparavano a seguire mio padre nella ricerca alle spalle e tutto il villaggio che si movimentava per mio fratello. Era un guaio bello grosso. E Aonung, nel momento in cui arrivammo davanti alla casa dove c'era suo padre, dovette rendersene conto. Si fermò qualche metro prima dell'ingresso e si portò la mano alla bocca, le unghie fra i denti. Riconobbi nella sua espressione la sensazione che mi aveva attanagliato lo stomaco tutte le volte che sapevo di avere fatto qualcosa che avrebbe deluso mio padre. Fermai anch'io la mia corsa, e mi avvicinai a lui.

Un fremito.

Certo, lo odiavo: era stato spocchioso, arrogante, inospitale, aggressivo, odioso e cattivo; aveva infastidito mia sorella; aveva fatto venire le lacrime a Tuk e aveva messo in pericolo mio fratello. Eppure ora, davanti alla capanna, era esattamente come ero stato io, come sarei stato io quella sera stessa, ritornati a casa dopo aver ritrovato Lo'ak: attanagliato e torturato dal senso di colpa, dalla consapevolezza della mancanza, dalla delusione provocata a qualcuno.
Gli porsi la mano: "Coraggio, vedrai che-" Mi interruppi.

Mi aveva preso la mano.

La testa mi girò come l'ala di un kenten. Balbettai, persi le parole nel rossore delle mie guance. Gli avevo avvicinato la mano d'istinto, senza pensare che l'avrebbe presa, senza pensare ci fosse la possibilità che la prendesse. E invece ora le sue dita si incastravano con le mie, la sua pelle sfiorava elettrica la mia: sentivo il ruvido dei calli del suo palmo, dei morsi del sale sul dorso della sua mano, fra le sue dita, sentivo il calore della sua pelle e la delicata presa su di me. Lo sentivo vicino, in un modo in cui non era mai stato, neppure quando le nostre labbra si erano toccate, neppure quando era stato premuto contro di me con tutto ciò che aveva da premere contro di me. "Grazie" Mi disse, spezzando il silenzio agitato in cui eravamo precipitati. Tremolavo. Gli strinsi appena la mano, capace solo di sorridere.

E un attimo dopo lasciò la presa sulla mia mano. Superò l'uscio della capanna, per affrontare suo padre. Rimasi con la mano vuota, sospesa lungo il mio fianco. E d'improvviso il vento che mi sfiorava le dita mi parve gelido, il mare severo, distante, ostile, il villaggio estraneo. Rimasi solo, fuori dalla capanna un solo istante, e mi infilai nella capanna anch'io.

Tonowari era impegnato in qualcosa che non riuscivo a identificare dall'ingresso, Ronal, la madre di Aonung, gli stava accanto, dando anche lei le spalle alla porta, si sfiorava il grembo con una mano. Aonung richiamò la loro attenzione e i Na'vi si girarono quasi contemporaneamente, lanciando il loro sguardo affilato su di noi. Dalla voce con cui aveva parlato Aonung dovevano aver capito che qualcosa non andava. "Padre mi dispiace" Aonung cominciò così, nel peggior modo possibile. Vidi l'espressione di suo padre scurirsi, sua madre accigliarsi, severa e, francamente, terrificante. "Cos'hai fatto?" Ronal beccò prima ancora che Aonung potesse cominciare a spiegarsi. Suo figlio deglutì, mi lanciò un'occhiata come a chiedermi se davvero avrebbe dovuto dirglielo. Gli feci un cenno con la testa, gli sorrisi con gli occhi, quasi a dire continua.
Il suo viso parve illuminarsi appena, nella penombra cupa della capanna, lo guardai voltarsi verso i suoi genitori con un coraggio nuovo. Alzò gli occhi su suo padre, li spostò a sua madre: "Ci siamo spinti con Lo'ak fuori dal reef e lui-" Sentii una spinta improvvisa dentro di me, che mi fece sputare fuori le parole: "Mio fratello è rimasto da solo oltre il reef" Un fremito mi scosse: soggezione, sotto gli occhi dei Na'vi; timore, di mettere Aonung in guai più grandi. Gli occhi di Tonowari si sgranarono. Il figlio di Toruk Makto era abbandonato da solo in mezzo al mare e sarebbe morto se nessuno riusciva a salvarlo in tempo. Prese sul figlio per il braccio e lo trascinò fuori senza una parola ed io li seguii con le viscere attorcigliate per la preoccupazione, per tutto lo sconvolgimento che mi portava Aonung. Ci precipitammo lungo le vie del villaggi, verso il porto degli Ilu, raccogliendo uomini mentre ci spostavamo. Raggiungemmo l'approdo dove c'era mio padre, già a cavallo del suo animale. Tonowari lanciò Aonung in mezzo al pontile e si avvicinò a mio padre con l'espressione di chi davvero conosceva i pericoli del mare. Aonung cadde in ginocchio a terra.
Mi avvicinai a lui d'istinto, mentre mio padre era impegnato a parlare con Tonowari. Gli porsi di nuovo la mano, per aiutarlo a tirarsi in piedi: il cuore mi impazziva, sentivo il sudore freddo sulla fronte, i peli rizzati sulle braccia e i brividi lungo le gambe, al solo pensiero che prendesse di nuovo la mia mano. E quando Aonung la prese, mi sciolsi in un sorriso, sentendo tutte le sensazioni della prima volta che mi aveva preso la mano investirmi con la potenza di un uragano. Per un istante non ci fu più mio fratello, Tonowari, mio padre. Per un istante non ci fui neppure io.
Solo lui, la sua mano, il suo calore.
Trattenni il respiro.
E lo tirai in piedi. Aonung mi guardò, ricambiando il mio sorriso, poi spostò appena lo sguardo oltre le mie spalle. E allora il suo sorriso avvizzì, mi lasciò la mano con violenza, si ripulì del mio tocco sulla coscia e mi voltò le spalle, porpora in volto. Mi voltai quasi di scatto, confuso, ferito dalla reazione improvvisa di quasi disgusto.
E incrociai lo sguardo di mio padre.
Mi sentii mancare.
Mi guardava accigliato, cupo in volto, l'espressione tirata dal mezzo ringhio in cui si attorcigliava la sua bocca. Aveva le orecchie basse, gli occhi stretti, il viso tirato verso di me minaccioso. Non mi aveva mai guardato così. Mai così arrabbiato, mai così confuso.
Sentii che arrossivo violentemente: non ressi il suo sguardo. Mi voltai di nuovo verso Aonung, ma si era già allontanato a testa bassa. Mi girai verso il mio Ilu. Aonung sarebbe rimasto sulla spiaggia, forse avrei potuto... "Andiamo, Neteyam." Quello che arrivò da mio padre fu un ordine.
Lanciai un ultimo sguardo esitante ad Aonung e montai sul mio ilu. La preoccupazione mi investì come un'ondata di piena, più forte di quanto non fosse già stata prima, e tornai in me, tornò la rabbia contro Aonung, Lo'ak solo in mezzo al mare. Digrignavo i denti mentre seguivo la flotta di ricerca, guidata da mio padre, e ripensavo a quanto fossi stato stupido io, a quanto lo fosse stato Lo'ak, a come avremmo dovuto imparare anni prima a non fidarci così delle persone.

Cavalcammo al buio per ore, sondando la superficie piatta dell'oceano con gli occhi. E solo quando le mie braccia cominciarono a risentire della stanchezza della corsa avvistammo un puntino blu che si muoveva nuotando e sbracciando verso di noi. Mio padre risuonò nel mio auricolare: "Eccolo!" Era quasi un urlo, la sua voce fremeva di gioia, di sollievo. Sentii che come la sua voce entrava nel mio orecchio, le sue sensazioni mi pervadevano. Mi avvicinai per primo, con un sorriso che mi apriva il volto da un orecchio all'altro. Al puntino blu spuntarono le trecce, i punti neri dei suoi occhi si fecero più definiti, si distinse l'iride gialla. E il relitto disperso in lontananza divenne mio fratello.
Afferrai la sua mano e lo tirai in groppa all'Ilu con un respiro affilato, che quasi condensò nell'aria della notte. Immediatamente lasciai la briglia, mi voltai verso Lo'ak quasi facendomi male, e abbracciai mio fratello con tutta la forza che avevo nelle braccia. Mi strinsi al petto la sua testa, passai la mano fra i suoi capelli, arrivai alle sue guance e le strinsi con i miei palmi, l'Ilu che si agitava appena fra le mie gambe. Spostai il suo viso da una parte all'altra, lo scrutai con gli occhi attenti, cercando ferite, lividi, escoriazioni e ringraziando Eywa che non vedevo nulla di nuovo rispetto ai segni già ormai flebili dei pugni e della zuffa con Aonung e gli altri. Lo'ak mi sorrideva, visibilmente sollevato. "Stai bene?" Gli chiesi, accorgendomi dalla mia voce, appena incrinata per l'emozione, di essermi veramente preoccupato per mio fratello. Sentivo come un macigno mi fosse stato sollevato dal petto. Lo'ak annuì, il suo volto si incupì: "Sì, sto bene." Mi rispose. "Sono quasi morto per colpa di quegli stronzi" Lo abbracciai di nuovo. "Questa bestia è arrivata dal fondo e ha mangiato una pinna al mio Ilu e..." Stava cominciando a raccontare quasi freneticamente, le sue mani che articolavano la storia nell'aria, quando nostro padre si avvicinò a noi con gli occhi cupi, ma sorridendo. Lo'ak si irrigidì subito: "Signore mi dispiace-" Cominciò a giustificarsi, ma nostro padre lo ignorò completamente: avvicinò la sua cavalcatura alla nostra, si sporse verso di noi, lasciando la briglia penzoloni nel mare, e abbracciò Lo'ak ad occhi chiusi, un'espressione sul viso che non avevo mai visto. Si vedevano i suoi occhi luccicare alla luce delle stelle. Lo'ak si sciolse in un sorriso mentre mio padre ripeteva gli stessi gesti che avevo fatto io: gli prendeva il viso, lo studiava, chiedeva se stesse bene, Lo'ak rispondeva di si.
E alla fine nostro padre mi lasciò mio fratello attaccato alla vita, a cavalcare dietro di me sul mio Ilu, ci accennò un nuovo sorriso e ci ricondusse, con tutti gli altri, al villaggio.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now