Capitolo XVIII

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Lo'ak poté solo abbracciarmi, cercare in qualche modo di spiegare perché non ci vedeva nulla di male, ma non poté convincermi. Sapevo, sentivo che non sarei stato accettato da nessun altro come ero stato accettato da lui, se non, al massimo, da Kiri. Tuk non avrebbe capito neppure di cosa stavamo parlando, nostra madre avrebbe pregato la grande madre perché trovassi una ragazza che mi facesse cambiare idea, che mi ripulisse dello sporco di Aonung, nostro padre... Non volevo neppure pensare a cosa mio padre mi avrebbe potuto fare, alla delusione con cui mi avrebbe guardato. Piansi nelle braccia di Lo'ak, un'ora ancora solamente, pregandolo e implorandolo di mantenere il segreto. Poi mi riuscii finalmente a calmare, e realizzai: eravamo fuori, almeno sei ore erano passate dall'eclissi. Avevamo il coprifuoco ore prima, Lo'ak non avrebbe dovuto neppure stare fuori dopo l'eclissi. Imprecai, scattando in piedi. Mi asciugai le ultime lacrime dalle guance con il dorso della mano, e feci cenno a Lo'ak di alzarsi. "è tardissimo!" Quasi strillai. Lo'ak scattò in piedi con me, d'improvviso preoccupato anche lui. Corremmo verso casa. Mentre il vento mi colpiva il viso e il pavimento mi restituiva i tonfi dei miei passi, sentii la nausea strizzarmi lo stomaco: mi facevo schifo, e non c'era nulla che Lo'ak potesse dirmi o fare per togliermi di dosso quella sensazione. E al provare quel disgusto verso me stesso, sentivo la rabbia bollire, qualcosa, tutto, dentro di me, che incolpava Aonung. Perché era lui ad avermi reso così, perché era lui ad avermi manipolato e agitato al punto da spingermi a baciarlo. Perché a lui quel bacio era piaciuto e perché gliene sarebbero piaciuti altri. Perché lui era sporco e con la sua sporcizia aveva macchiato anche me. Avrei urlato. Ma era notte fonda e il villaggio dormiva, e dovevo riportare mio fratello a casa e affrontare mio padre che, se non era già andato a dormire, ci aspettava con tutta probabilità, fumante di rabbia, e dovevo tornare in me ed essere quello che avrei dovuto essere, e dovevo comportarmi da maggiore. Ingoiai le lacrime, e corsi davanti a Lo'ak, finché la nostra capanna non fu dietro l'angolo.

Poi afferrai mio fratello per il braccio, fermando appena la sua corsa: "Ora fai piano" Gli dissi. "Se dormono forse riusciamo a beccare papà quando è un po' più-" Le parole mi morirono in bocca: quando girammo l'angolo, la sola luce del focolare acceso davanti alla nostra capanna riempiva la notte, coprendo le stelle. Nostro padre stava seduto accanto al fuoco, lavorava qualcosa con le mani, accigliato. Guardai mio fratello sospirando. Mentre ci avvicinavamo, consapevoli di essere nei guai, poggiai la mia mano sul suo coppino, premetti appena la sua testa verso il basso, sussurrando al suo orecchio: "Tieni la testa bassa e non rispondere male, ci penso io a parlare." 

Arrivammo da mio padre con le teste e le orecchie basse, la coda fra le gambe. Lui non alzò la testa dal lavoro di intaglio che stava facendo: "Lo'ak il tuo coprifuoco è all'eclissi, non un minuto più tardi." Una sentenza. Mio fratello mi guardò, gli occhi imploranti, pieni di apprensione. Feci un passo verso il focolare, la mano sul petto. "è colpa mia, signore, era con me." La mia voce mi parve ancora morbida per le lacrime, e forse anche a mio padre, perché alzò di scatto la testa per guardarmi. Quando vidi che non piangevo, il suo sguardo tornò ad indurirsi. "è parecchio tardi anche per te, Neteyam." Mi ribeccò severo. Deglutii. Mio padre si voltò verso Lo'ak e di nuovo, ma questa volta prima che mio padre potesse parlare, mi intromisi: "Ho insistito perché restasse con me, ha cercato di convincermi a lasciarlo tornare a casa, ma ho insistito perché restasse." Anticipai quello che mio padre stava per dire, mangiandomi le parole, parlando quasi con arroganza. L'occhiataccia che mi lanciò mio padre mi fece rabbrividire appena. "Cercavo di fare amicizia con i ragazzi del clan, signore." Spiegai di nuovo, la voce un po' più mesta. Non erano complete menzogne. Mio padre schioccò la lingua, sospirò, e lasciò il lavoro a terra, alzandosi in piedi. Lo'ak abbassò ancora di più la testa. "Lo'ak fila dentro, a letto." Mio padre fu incontestabile: mio fratello si lanciò in casa senza neppure osare alzare la testa. Rimanemmo soli.

"Sai perché Lo'ak ha un coprifuoco, Neteyam?" Non esitò un istante a iniziare la ramanzina. Abbassai appena la testa: non avevo la forza di litigare anche con lui. "Si, signore" risposi. Mi incalzò con lo sguardo: "Avanti, dimmelo allora."
"Perché non ascolta e si mette sempre in pericolo, signore." Ero rassegnato alla lavata di capo più severa della mia vita. Non era proprio una sgridata, perché le sgridate erano molto più violente e si trasformavano in litigare, e le sgridate partivano quasi sempre con mio padre così furioso da non riuscire a parlare. Questa era solo una lavata di capo, ma sarebbe stata tosta: ora era un Na'vi rifugiato, non era in grado di provvedere per la sua famiglia come avrebbe voluto, non aveva scelta se non quella di passare la giornata intera a lavorare per cercare di imparare a rendersi utile, la sua compagna piangeva la sua gente, le sue figlie la loro casa, e i suoi figli non rispettavano alcuna regola. Doveva essere particolarmente frustrato. "Ripetilo." Mi ordinò, e ripetei.
"Esattamente. E cosa pensi di aver fatto tu stasera, Neteyam?" Deglutii, ma non voleva che fossi io a rispondere. Parlò di nuovo prima che potessi farlo io: "Esattamente la stessa cosa!" Il suo tono si alterò. Non era affatto la stessa cosa. Immediatamente sentii l'agitazione crescere dentro di me, prorompere inarrestabile sulle mie labbra: "Non è vero!" Sbottai, alzando arrogante la testa. Me ne pentii immediatamente e chiesi scusa, solo per lo sguardo che mio padre mi scoccò. "Però non è la stessa cosa, signore" Dovetti comunque continuare, il tono più controllato. "Non ci siamo messi in pericolo, non ho messo Lo'ak in pericolo!" Cercavo disperatamente di difendermi agli occhi di mio padre, che però mi ricambiavano sempre lo stesso sguardo severo. La lavata di capo rischiava di trasformarsi in una litigata. Un'altra. "Non so cosa voi abbiate fatto stasera, Neteyam, né dove o con chi, ma so che sei abbastanza intelligente da capire che già girare da soli per il villaggio rappresenta un pericolo per voi." Era un discorso che per me non aveva alcun senso. "Siamo venuti qui perché le persone del cielo non ci potessero fare nulla, no?" Chiesi, un po' confuso, un po' alterato dal decorso della giornata, dal discorso che mi stava facendo. Mio padre annuì: "Si, ma questo non vuol dire che-" 
"Rischiamo di essere attaccati anche qui? Pensavo-" Le parole mi morirono in bocca quando realizzai: merda. L'avevo interrotto di nuovo. Preso dall'affanno, dalla paura, quello che dissi fu appena comprensibile: "Mi dispiace, signore, non volevo-" 
"Questo non vuol dire che siamo fuori pericolo, esattamente." Fu lui ad interrompermi questa volta, riprendendo la sua frase come non avessi detto nulla. "Non sanno dove ci siamo nascosti, ma sanno che siamo scappati e Teyam," Poggiò la sua mano sulla mia testa, scompigliandomi appena i capelli. "Non si fermeranno finché non ci avranno sterminato" La sua voce era grave, racchiudeva tutta la fatica, la preoccupazione, l'angoscia che ricadeva sulle sue spalle. Eravamo bracconati, e lo saremmo stati fino alla fine delle nostre vite. "Voglio che tuo fratello e le tue sorelle siano a casa prima che faccia buio perché non sanno difendersi da soli. è un rischio troppo grande." Mi guardava con gli occhi stanchi e il senso di colpa mi annodò la gola. "Lo capisci, vero?" Annuii, incapace di parlare. "Te li affido di giorno perché tu li tenga lontani dai guai, ma la notte per me è un rischio anche lasciare fuori te." Potei solo abbassare gli occhi sul pavimento. "Se non riesci a capire da solo perché riportarli a casa per tempo è importante, forse devi tornare prima anche tu" La sua voce si era fatta di nuovo severa. Alzai la testa, per protestare: "Ma papà come faccio a fare amicizia se-" 
"Ho già preso una decisione, Neteyam. Tornerai prima dell'eclissi, come i tuoi fratelli" 
"Ma hai detto che lo fai solo perché non sanno difendersi, io sono un guerriero come te, dovrei-"
"Non ho intenzione di ripeterlo." Una nuova sentenza. Un ammonimento. Mi diceva che avevo finito di discutere. 
Ma la rabbia dentro di me non era d'accordo: "Quindi sono sullo stesso piano di Tuk per te? Un bambino?" Di nuovo mi tornava alla mente quella paura che non avesse fiducia in me, che per lui fossi ancora indifeso, completamente dipendente da lui. Mio padre scosse la testa. "Sai perfettamente che non è quello che stavo dicendo. Tornerai a casa con loro perché ho bisogno che siano a casa." Non avrebbe cambiato idea, non avrebbe discusso con me. E per un bacio che non volevo mi ero giocato la fiducia di mio padre. Mi spedì a letto, e ubbidii senza più fiatare. 

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now