Capitolo XXIV

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Pareva che l'intero villaggio ci stesse aspettando sul pontile. Tonowari, Ronal, Tsyreia e Aonung erano i primi, quelli con l'espressione più turbata: Tonowari sembrava fumare di rabbia, la mano larga poggiata sulla spalla di Aonung, Tsyreia mimava l'espressione preoccupata di mia madre, che ci aspettava appena dietro di loro. Attraccammo. Immediatamente sentii Lo'ak agitarsi dietro di me, lasciare la presa sulla mia vita e gettarsi sul molo. Aveva i pugni chiusi, le orecchie tirate come in un ringhio, gli occhi rabbiosi, puntati su Aonung. Si leggeva dalle sue falcate che gli sarebbe saltato addosso e l'avrebbe gonfiato di botte, molto più di quanto non avessimo già fatto sulla spiaggia. Scesi dal mio Ilu e non lo fermai: Aonung si meritava di prenderne così tante da non riuscire a camminare per qualche settimana. Anzi, non solo non fermai Lo'ak, ma gli andai dietro con le stesse falcate violente e lo stesso ringhio sul volto. Mi fermai solo quando nostro padre sbarrò la strada a Lo'ak, lo prese per le spalle e se lo rigirò fra le mani, fingendo di controllare le sue ferite come aveva già fatto quando lo avevamo trovato: "Fammi vedere, hai qualcosa?" Ma Lo'ak non scostava gli occhi da Aonung. E neppure io. Dal fianco di Tonowari Aonung arrossiva, restava con lo sguardo basso e i pugni serrati lungo i fianchi, una guancia livida. Conoscevo l'umiliazione che stava provando, conoscevo i sensi di colpa che lo attanagliavano e questo smorzava la mia rabbia, Lo'ak non li aveva mai vissuti, e continuava a fissarlo con le fiamme negli occhi. Si scrollò di dosso nostro padre, ma prima che Lo'ak potesse continuare la sua avanzate, anche nostra madre gli fu addosso, muovendosi per prima dalle file di Na'vi schierate sul pontile: "Eywa ti prego, dammi la forza di non cavare gli occhi al mio figlio più piccolo!" Era fuori di sé dalla rabbia. Si avvicinò a Lo'ak quasi gridando e, nel parlare, mimò con le unghie ad artigli il gesto di strappare gli occhi. Lo'ak la schivò soltanto, scostando la testa infastidito. Io ero scazzato quanto lui: che ragione avevano i nostri genitori di essere arrabbiati con lui? Aveva fatto solo quello che nostro padre gli aveva detto di fare e si era andato a scusare, era stato Aonung a comportarsi da stronzo e da idiota pensando che quello "scherzo" potesse in qualche modo essere divertente. Lo'ak era quasi morto per colpa di Aonung, non per colpa della sua stupidità, malgrado non sarebbe comunque dovuto andare con loro oltre il reef. Lo'ak aveva solo cercato il modo di fare amicizia, come gli era stato detto di fare. Mi voltai a guardare Aonung un attimo prima che Tonowari parlasse: "No, è stata colpa di Aonung." Finalmente qualcuno ragionava. Tonowari spinse sulla spalla del figlio, lo costrinse in ginocchio e con la testa bassa. Alla vista di Aonung in ginocchio, qualche riccio ribelle di fronte al viso, le guance arrossate per la vergogna e il viso turbato per il colpo alle ginocchia, sentii il sangue dentro di me defluire sotto il mio pantaloncino. Arrossii appena e distolsi lo sguardo, coprendomi con una mano. "Mio figlio sa che non deve spingersi oltre il reef" Tonowari continuò a spiegare. E a quel punto vidi Lo'ak fare un passo avanti verso l'olo'eyktan e il resto della sua famiglia. Imprecai fra i denti appena prima che mio fratello aprisse bocca, intuendo già che cosa avrebbe detto: "No, non è colpa sua" Lo'ak non aveva motivo di prendersi la colpa, eppure ecco che lo faceva. Si prendeva la colpa e automaticamente trasformava tutto anche in una colpa mia. "È stata una mia idea" Di nuovo, imprecai. Mio padre mi scoccò un'occhiataccia, prima di riprendere Lo'ak per un braccio. Ronal e Tonowari si erano scambiati un'occhiata e una scrollata di spalle, consapevoli negli sguardi che non era colpa di mio fratello. Nostro padre si scusò con loro, Lo'ak lo imitò con la testa bassa e il suo braccio intrappolato nelle cinque dita di nostro padre. Trascinò via mio fratello e noi altri li seguimmo, circondandoli quando si fermarono appena più in là, appena fuori la portata delle orecchie dei capi del villaggio. Io e le mie sorelle dietro Lo'ak, i nostri genitori furenti davanti a noi. Ci siamo. Lo'ak cercò subito giustificazione: "Papà sei stato tu a dirmi di fare amicizia con quei ragazzi, cercavo solo di-" Mio padre non gli permise neppure di finire la frase: "Non voglio sentirlo, Lo'ak." Il suo sguardo era severo, freddo, la preoccupazione e il sollievo che lo avevano tinto di lacrime erano evaporati per la fiammella di rabbia che gli ardeva visibilmente nel petto. Lo'ak deglutì. "Hai portato la vergogna su questa famiglia." Una sentenza, la voce di nostro padre quella di un giudice che condanna al patibolo. Lo'ak serrò la maschella, abbassò le orecchie. La forza con cui nostro padre pronunciò quelle parole fece salire un nodo in gola perfino a me: guardai l'espressione di mio fratello indurirsi per trattenere la tristezza. Non meritava di essere trattato così. Anche Kiri e Tuk sussultarono, accanto a me. Lo'ak dal canto suo alzò solo gli occhi lucidi su nostro padre: "Posso andare?" Chiese solo, la voce tagliente di arroganza. Se fossi stato io a rispondere così mi sarei beccato tanti di quei ceffoni da non riuscire più a parlare per giorni. Invece nostro padre guardò solo torvo Lo'ak e gli fece cenno con la testa di andarsene. Mio fratello se ne andò quasi sbattendo i piedi, orecchie e testa basse. Feci per seguirlo, consolarlo in qualche modo, ma la voce di mia madre mi fissò al pavimento: "Dov'eri tu?" Era un rimprovero, più che una domanda. Una nuova rabbia mi invase il petto: non era stata colpa neppure di Lo'ak, figurati mia. Tutta questa strigliata, tutta questa severità era immeritata per mio fratello quanto per me. Alzai gli occhi su di lei, pronto a rispondere con uno slancio di cui mi sarei pentito, ma mio padre si intromise con la stessa voce severa che aveva usato con Lo'ak: "Appunto." Disse. "Che ne è di tieni d'occhio tuo fratello?" La sua voce era alterata, quasi un grido. Se fossi stato meno arrabbiato, meno turbato da Aonung, forse avrei percepito la minaccia che quel tono sottointendeva, forse avrei abbassato solo la testa e chiesto scusa. Ma ero parecchio turbato da Aonung, ero parecchio arrabbiato per la situazione, parecchio infiammato per il dolore immeritato che avevo visto sul viso di Lo'ak. Già il modo in cui lo guardai era sbagliato: "L'ho perso di vista perché tu mi hai trattenuto alla capanna mentre lui andava a scusarsi, signore." Osservai l'ironia nel mio tono modificare l'espressione di mio padre ad ogni parola che pronunciavo, vidi l'ultima goccia far traboccare il vaso quando sputai quel 'signore'. Il primo ceffone mi fece scattare la testa verso mia madre con un tonfo secco. Kiri e Tuk sussultarono. A quanto pareva mio padre aveva abbandonato la decenza di darmele di nascosto dagli altri membri della famiglia. Lo schiaffo non calmò comunque la mia rabbia. Rialzai lo sguardo verso di lui, le orecchie tirate in minaccia, malgrado sapessi che parlare di nuovo mi sarebbe costato un altro giramento di testa: "Sai che non è colpa di Lo'ak e comunque lo tratti così" Se avessi avuto il coraggio gli avrei puntato il dito al petto. Mio padre sapeva la verità: avevo portato io la notizia della scomparsa di Lo'ak e Aonung lo aveva ammesso. Non riuscivo a capire come potesse davvero credere alla bugia che aveva detto Lo'ak per evitare ad Aonung i guai. Vidi mio padre stizzirsi. "Aonung ha ammesso di averlo portato oltre il reef e di averlo lasciato lì, davanti a te! Eppure tu-"
"Neteyam basta così" Mia madre intervenne: mi voltai verso di lei e vidi che tratteneva mio padre per il polso, impedendo alla sua mano di schiantarsi di nuovo sulla mia guancia mentre parlavo. Sospirai, esasperato. "Chiedi scusa e basta." Il tono di mia madre era quasi supplichevole.
E nonostante questo non riuscivo a costringermi a chiedere scusa: non avevo fatto nulla, Lo'ak non aveva fatto nulla. "Sei ingiusto! Non ha fatto niente che non gli avessi detto tu di fare e comunque per te non è abbastanza." La guancia mi bruciava dello schiaffo, il cuore della vergogna, il cervello della rabbia. Ero esausto. "Eywa, io non ho fatto niente se non quello che mi avevi detto di fare e per te non è comunque abbastanza!" Quasi sputavo le parole, riversavo ogni dolore, ogni frustrazione di quei giorni su mio padre. "Non sarà mai abbastanza per te!" Esitai, un groppo di lacrime che mi saliva la gola. Lo ingoiai, perché non avevo finito: "Mi prendi a schiaffi appena cerco di spiegarti cos'è successo! Non mi lasci neppure-"
"Basta!" Mio padre urlò. Incassai d'istinto la testa nelle spalle, abbassando gli occhi sul pavimento, e percepii le mie sorelle imitarmi. "Non mi interessano le tue giustificazioni perché hai una responsabilità e continui un giorno dopo l'altro ad ignorarla!" Mia madre aveva lasciato la presa sul suo polso, o forse mio padre si era dimenato perché lo facesse, perché ora si avvicinò a me con una falcata e mi puntò l'indice al petto. Alzai la testa su di lui, arrogante: avevo rabbia da bruciare in abbondanza. "Non posso tenerli tutti sotto sorveglianza permanente 24 ore al giorno!" Protestai, mio padre scosse la testa: "Invece non c'è nient'altro che tu debba fare!" Il suo indice spinse contro il mio petto. "Non sono i miei figli." Mi accorsi di essere andato oltre nel momento in cui le parole lasciarono le mie labbra. E tuttavia non me ne pentii. Mio padre mi mollò un manrovescio sulla guancia dove mi aveva già colpito, il dolore si irradiò dalla mia faccia così forte da raggiungere la punta dei piedi. Mi afferrò il viso con la mano, strinse le mie guance: "Non sono i tuoi figli ma sono i tuoi fratelli:" Mi mollò un altro schiaffo, più delicato, ma che comunque mi fece scattare la testa dall'altra parte. "Solo questo ti dovrebbe bastare" Un senso di colpa amaro mi riempì la bocca, o forse era il dolore per gli schiaffi, ma fatto sta che non riuscii a dire più nulla. Mi morsi l'interno della guancia, cercando in qualche modo di attenuare il dolore, ma non servì. Cercai compassione nello sguardo di mia madre, ma trovai solo la stessa rabbia, la stessa offesa e delusione che riempiva gli occhi di mio padre. Un ultimo scapaccione mi mosse la testa, spingendomi dall'orecchio: "Sparisci" L'ordine di mio padre era incontrstabile: va' e rifletti su quello che hai detto, Sottointendeva tutto un messaggio solo per il tono con cui l'aveva detto. Mi morsi la lingua, evitando di contestare, la rabbia in me che si mischiava alla vergogna e soffocava sotto il peso del senso di colpa. "Mi dispiace, signore." Finalmente chiesi scusa, ma ormai non serviva più a nulla. Voltai le spalle ai miei genitori e corsi dietro a Lo'ak con la testa bassa.

THE ELDEST -atwow con gli occhi di Neteyam Sully-Where stories live. Discover now