2.3

203 15 164
                                    

La libertà aveva il profumo del sole bruciante che aveva scaldato il deserto per tutta la giornata, e della luna che pian piano stava raffreddando le sabbie

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

La libertà aveva il profumo del sole bruciante che aveva scaldato il deserto per tutta la giornata, e della luna che pian piano stava raffreddando le sabbie. Per Saran non esisteva mondo migliore e più bello di quello: infinite dune che si susseguivano le une davanti alle altre, i fuochi della tribù che illuminavano le notti più scure e le stelle che ardevano nel buio. Non le mancava Sunju, né la vita che aveva condotto nei grandi palazzi dorati, pieni di una sfacciata eleganza e di un lusso che non aveva importanza per lei; non le mancavano nemmeno i sotterfugi, le lotte intestine tra fratelli e concubine. Qualcuno le mancava, sì, ma era rimasta la rabbia a condire ricordi che facevano ancora male.

Quando il figlio abbandonò la sua mano, dopo esser uscito dalla loro gher, lo lasciò correre in cima ad una duna. Aveva il cappuccio calato sulla fronte e teneva il mento puntato in alto, in cerca di qualcosa che aveva atteso per tutta la giornata.

«Bayan, è inutile guardare il cielo, non vedrai falchi di notte. Dovrai prima addomesticarne uno.»

«Io vedrò!» gridò il figlio, ridendo. «Io vedrò falco dalle ali di argento! Come stella luminosa!»

Saran sorrise di fronte a tanta leggerezza e ingenuità. Era un sogno, il suo, e lo rispettava, seppur piccolo. Se avesse potuto, avrebbe donato qualunque cosa a Bayan.

Nel mentre Boloorma si avvicinò, silenziosa come un'ombra di vesti lunghe e capelli bianchi. La donna batté il bastone sul terreno sabbioso, immergendone la punta. Il trucco scuro degli occhi era colato sulle guance infossate e alla luce delle fiaccole pareva essere ancora più scheletrica.

«Passi molto tempo a osservare tuo figlio» gracchiò, senza sedersi. «Mi chiedo se è perché ti ricorda quel principe di Sunju.»

«Più il tempo passa e più Bayan somiglia a suo padre.» Saran tornò a guardarlo, il bambino era inciampato, ma non aveva perso tempo a rialzarsi. Si voltò verso di lei esplodendo in un sorriso soddisfatto. Gli occhi lunghi e affilati erano davvero quelli di Song. «A volte trovo insopportabile questa somiglianza, ma non posso che accettarla.»

Il bambino fissava ancora il cielo, con le mani strette ai fianchi, in attesa di un falco che non sarebbe arrivato. Solo Altan sarebbe stato capace di chiamarlo a sé, con un fischio, anche durante le ore notturne. Spesso lui e Saran si erano avventurati nel deserto più interno, lì dove non era permesso arrivare, o al confine sacro dove sorgevano gli ovoo, brindando con lunghi sorsi di airag. Quei momenti le mancavano terribilmente. Sembravano così lontani, perduti, e in parte se non esistevano più era solo per colpa sua. La mancanza del suo migliore amico era pesante, sin troppo.

Boloorma si schiarì la voce, richiamando la sua attenzione, prima di sedersi a terra con le gambe incrociate. «La trovi davvero insopportabile? A volte mi chiedo se non rimpiangi la tua scelta.»

Saran si inumidì le labbra e si accomodò accanto a lei, curvando la schiena in avanti. Abbandonare i modi del palazzo di Sunju era stata una manna, e finalmente poteva comportarsi come più la aggradava. Le comodità della vita che conduceva nel deserto erano irrinunciabili.

Cieli di Sangue - La nuova dinastiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora