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Bayan raccolse un pugno di sabbia, aprì la mano e ci soffiò sopra, lasciando che i cristalli dorati scivolassero tra le dita

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Bayan raccolse un pugno di sabbia, aprì la mano e ci soffiò sopra, lasciando che i cristalli dorati scivolassero tra le dita. Sorrideva, sereno, e di tanto in tanto fissava le stelle, sotto lo sguardo attento di Saran.

«Un giorno...» disse il bambino, cercando le parole. «Voglio essere luminoso come... stella!» Indicò quella più grande che splendeva nel cielo.

Saran seguì il dito e infine notò quel baluginio lontano, che si confondeva con il manto fiammeggiante. Per quanto fosse diverso dallo spettacolo visibile a Sunju, spesso le mancavano i momenti che aveva trascorso insieme a Song. Ma lui aveva scelto il potere, aveva scelto di tradire la sua fiducia e Saran se ne era andata colma di rabbia. Di quella collera era rimasta solo nostalgia e tristezza e a volte si domandava se Song sentisse la sua mancanza, perché lei ne provava.

«Un giorno, Bayan, sarai più luminoso di una stella» sorrise al figlio, almeno finché uno degli uomini di suo padre non la avvertì che il khan richiedeva la sua presenza. «Bayan, rimani con Boloorma, tornerò presto.»

Il figlio annuì e corse dalla sciamana che si stava avvicinando, superando le dune. Saran, al contrario, si diresse verso la gher più grande del campo. Due guardie si inchinarono al suo arrivo e aprirono i lembi pesanti in feltro, per farla passare. Saran entrò, e trovò subito suo padre seduto sul suo trono. Teneva gli occhi bassi e le mani strette sui braccioli. Era stanco, debilitato, e le forze avevano smesso di scorrere dentro di lui. Quando la vide, sollevò lo sguardo.

«Saran, finalmente sei qui.»

Ci aveva impiegato così poco per raggiungerlo, ma ormai il suo tempo doveva essersi dilatato.

Saran si inchinò rispettosamente. «Aav! Non avrete aspettato troppo?» Sorrise e cominciò a camminare per la tenda, fermandosi davanti a un tavolo dove vi era della frutta. «Mi avete fatta chiamare in vista del khurultai? L'oasi del Tarim non è molto lontana da qui.»

Il padre rispose con lo stesso sorriso bonario e sollevò un braccio, facendole cenno di avvicinarsi al trono. «Volevo istruirti riguardo ciò che ti aspetterà al khurultai. C'è una persona che dovrai avvicinare.»

Un compito per lei? Saran non poteva perdere una tale occasione. Afferrò qualche dattero e lo conservò in una mano, per poi tornare da lui e fermarsi lì accanto. «Dimmi, di chi si tratta?»

«Di Yul, il figlio di Gonsukh khan» la voce del padre si fece sottile e la linea delle sopracciglia si curvò. «Colui che governa le tribù di confine con il Khusai. Ora che abbiamo perso la tecnica dei Cieli di Sangue siamo più esposti, dunque vulnerabili. Non voglio che i Taigat ci sottomettano, perciò dobbiamo imparentarci con i loro vicini più prossimi» concluse, scuotendo la testa. Gli orecchini di perle e piume tintinnarono contro la guancia su cui cadeva la folta chioma nera, entro cui passavano linee argentee.

Saran strinse appena i pugni, sembrava così stanco, ma al contempo così calmo. Invidiava il suo carattere ferreo e deciso, per quanto tranquillo.

«Questo non accadrà mai, aav, nessuno ci sottometterà» borbottò Saran, passando il peso da una gamba a un'altra. «Ti prometto che torneremo ad essere indipendenti. Sei certo di voler chiedere aiuto, però?»

Cieli di Sangue - La nuova dinastiaWhere stories live. Discover now