2.14

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«Cosa dobbiamo fare, eomonim?» chiese Kang-shi, strofinandosi gli occhi sottili

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«Cosa dobbiamo fare, eomonim?» chiese Kang-shi, strofinandosi gli occhi sottili. Su-jin, dopo essersi cambiata, gli aveva fatto indossare una casacca grigia e dei pantaloni neri. In tal modo, si sarebbe confuso più facilmente nella notte.

Mi-sun, invece, teneva le braccia sollevate mentre le dame al suo servizio la cambiavano, infilandole le vesti più scomode e ruvide mai viste sulla faccia del regno. Erano semplici hanbok bianchi, con rifiniture blu sulle maniche larghe. Il cotone grezzo pungeva sulla pelle, non l'avrebbe coperta abbastanza dal freddo della sera. «Andiamo via da questo posto maledetto, prima che ci uccidano. Qui abbiamo solo nemici, Kang-shi.»

«Nemici!» mormorò il bambino, correndole incontro non appena fu libero dalle mani di Su-jin. Mi-sun sentì la dolce stretta delle sue mani intorno alle ginocchia e non poté fare a meno di sorridere, distaccandosi per un attimo dalla realtà. Come se l'omicidio appena compiuto non fosse accaduto. «Odio i nemici. Non mi piacciono, andiamo via!»

«Sì» lo rassicurò Mi-sun, una volta terminata di vestire. Aveva i lunghi capelli sciolti che ricadevano sulla schiena, chiusi da un nodo sulle punte. «Però dovrai tenere gli occhi chiusi finché non saremo fuori dalla nostra dimora, me lo prometti?»

«Ma io paura occhi chiusi!» esclamò Kang-shi, battendo un piedino a terra. Su-jin e le altre dame di misero a ridere, ma fu solo la prima ad avvicinarsi, per redarguirlo.

«Dovrai farlo, daegun mama» gli disse, con fare dolce e il benestare di Mi-sun, a cui poi si rivolse. «Non possiamo più aspettare, gongju, o sarà troppo tardi.»

Mi-sun annuì e fece cenno alle due dame di aprire le ante della camera da letto, mentre lei posava le mani sopra gli occhi del figlio, ignorando le sue proteste. Non voleva che Kang-shi familiarizzasse con il sangue e con la morte, era ancora troppo piccolo.

«Su-jin, tu vai avanti, assicurati che i soldati non si siano spostati dentro il nostro giardino.»

«Subito» mormorò la dama, avviandosi verso l'esterno del palazzo quando le dame aprirono le ante. Il puzzo di sangue aveva invaso ogni angolo della sala da giorno, e Mi-sun lottò pur di non abbandonare il viso di Kang-shi per coprirsi il naso da quel fetido odore, che troppo le ricordava quello del corpo di Junoh.

Già, Junoh. Fu la sua voce, sulla soglia, che parve sfiorarla da lontano e le fece commette l'errore di allentare la presa delle dita sul volto del figlio. Eppure, ciò che aveva sentito, doveva essere per forza lui.

«Junoh?» sussurrò Mi-sun, mentre Su-jin tornava affannata sotto la veranda, segnalando loro che tutto era tranquillo. Accanto alla spalla della dama, si fermò una farfalla bianca, luminescente, che volò in cerchio nel giardino. Kang-shi si illuminò nel vederla, e non osò guardarsi indietro, pur di seguirla fuori con vivacità.

«Mia amica!» disse, facendo correre un brivido di terrore lungo la schiena di Mi-sun.

«No, Kang-shi!» Mi-sun si sforzò di non alzare la voce e lo seguì fuori, afferrandolo per il braccio e tirandolo con veemenza al proprio corpo. «Devi starmi vicino e non allontanarti mai, hai capito?!»

Cieli di Sangue - La nuova dinastiaWhere stories live. Discover now