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Le veniva portato cibo due volte al giorno

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Le veniva portato cibo due volte al giorno. Fu sulla base di quella semplice informazione che stimò da quanto tempo Erik non veniva a trovarla: sedici giorni. Il dolore era come una lama incastrata nel suo petto che non accennava ad andarsene, una morsa che le stringeva la gola. Il gelo delle manette si era fatto ancora più intenso, dopo quello che era accaduto, come un monito dell'errore che aveva commesso fidandosi di Erik.

Aveva pianto per quasi un giorno intero dopo che lui se n'era andato in quel modo, poi si era imposta di smettere. Aveva posato sul letto la scatola contenente l'abito, senza più toccarlo o guardarlo, e da quel momento in poi non aveva fatto più nulla. Nulla. Sguardo fisso al pavimento, corpo abbandonato contro la fredda parete, pensieri ignorati. I primi giorni si era mossa solo per spiluccare qualcosa del cibo che le veniva portato, sempre freddo, ma poi le manette avevano cominciato a provocarle una sofferenza tale da non riuscire a muovere i polsi o le braccia, o perfino le dita delle mani, così aveva rinunciato a mangiare.

I minuti scorrevano lenti, e desiderò di non essersi mai risvegliata. Quanto avrebbe voluto rimanere una quercia per sempre.

Sedici giorni dopo il bacio e il seguente rifiuto di Erik, accadde una cosa. Prima di allora, il vassoio con il cibo era stato spinto con ben poca cortesia fino alle sbarre, e lei aveva dovuto mangiarlo attraverso di esse; non aveva mai visto, inoltre, chi glielo portava, anche se era piuttosto certa che fosse la stessa guardia di mezza età che controllava l'entrata. Quel giorno, invece, fu un ragazzo molto giovane a presentarsi alla sua cella con il solito vassoio. Aprì la porta della prigione e le porse il cibo, osando anche un piccolo sorriso prima di chiuderla di nuovo.

«Vi prego, fatemi parlare con il re.»

Il ragazzo, già sul punto di andarsene, la guardò stupito. «Mi dispiace, ma re Erik ha rifiutato qualsiasi incontro - perfino con il suo consigliere - nelle ultime due settimane.»

«Vi prego, potete chiedergli...»

«Sono desolato, ma non posso permettermi di perdere il lavoro» la interruppe lui, e sembrava davvero dispiaciuto. «Non posso scontentare il mio re.»

Avrebbe voluto insistere, ma non sarebbe stato giusto. Quella guardia stava solo facendo il proprio dovere. Annuì e quello se ne andò, lasciandola sola a osservare il cibo. Non aveva un aspetto invitante, ma i morsi della fame la tormentavano. Provò a muovere un braccio, ma una violenta scarica di dolore la fece desistere. Mormorò un'imprecazione a mezza voce, mordendosi il labbro. Nel farlo, però, richiamò alla mente il bacio, le labbra di Erik sulle sue, la sua lingua...

No. Non avrebbe pensato a quei momenti. Che senso aveva? Per il re non avevano significato nulla. Forse aveva solo giocato con lei come passatempo e, non appena aveva smesso di divertirsi, aveva smesso anche di fingere. Si diede della sciocca per aver pensato che ciò che c'era stato tra loro potesse essere reale. Tutti quei momenti di silenzio, le confessioni, i libri, il ciondolo, l'abito... Oh, l'abito. Era stato un gesto così significativo, così prezioso... Per un momento aveva davvero creduto che le sarebbe stato concesso di essere felice. Si era sbagliata, ovvio, come ogni volta che ci aveva sperato.

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