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Smise di restare immobile ad aspettare come aveva fatto nelle segrete

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Smise di restare immobile ad aspettare come aveva fatto nelle segrete.

Veniva svegliata all'alba dal violento bussare alla porta. Si alzava, stringendosi nella vestaglia, lasciava entrare la guardia che le portava la colazione; provava a rivolgergli un sorriso che non venne mai ricambiato. Apriva le tende, spalancava la finestra, lasciava che l'aria fresca del mattino la invadesse. Mangiava osservando l'alba attraverso le spesse sbarre di ferro che erano state messe per evitare che fuggisse. Si accorgeva a malapena di quell'ostacolo posto tra lei e la libertà, tanto era affascinata dalla rinascita del sole. Per tanti anni, guardando l'alba aveva chiuso gli occhi e desiderato con ogni fibra del suo essere di poter rinascere come lui. Voleva lavare via i suoi errori, il sangue che le macchiava le mani, desiderava poter ricominciare.

Si vestiva, poco importava che non dovesse uscire. Sceglieva cosa indossare con cura, senza mai toccare l'abito regalatole da Erik, poi si pettinava i capelli castani. A volte li lasciava sciolti, altre volte li abboccolava; un giorno li raccoglieva in una treccia, un altro in un'acconciatura più sofisticata. Rifaceva il letto, metteva a posto le lenzuola e i cuscini; aveva sempre osservato le domestiche che lo facevano e non le dispiaceva essere lei a svolgere quel compito. Aveva chiesto stracci, spazzole e catini di legno per pulire, e così ogni mattina lucidava il pavimento, scacciava la polvere, rendeva lo specchio appeso in bagno splendente. Non aveva mai lavorato, ma trovava una specie di conforto nel sentire le fiacche formarsi sulle dita, il sudore che le imperlava la fronte.

Anche all'ora di pranzo mangiava guardando fuori dalla finestra. Poteva vedere le aiuole fiorite del palazzo, ma le capitava anche di scorgere Erik che si allenava. A volte correva a torso nudo, faceva esercizi a lei sconosciuti, faticava. Altre combatteva con qualche guardia, e vinceva sempre. Quando non c'era il re da poter ammirare, lasciava che lo sguardo viaggiasse sulla capitale, o sul cielo, sulle nuvole. Respirava l'aria mite, se ne riempiva i polmoni e immaginava di essere un'altra persona. La principessa che avrebbe dovuto essere. Una donna già morta, che aveva vissuto la sua vita in pace.

Il pomeriggio leggeva. Si perdeva tra quelle pagine che conosceva a memoria e, se era di buonumore, si metteva persino a recitare quelle storielle, facendo le voci dei personaggi, atteggiandosi come loro, e sfidava sé stessa a resistere fino alla fine senza ridere: non ce la fece mai. La cena di solito era frettolosa, a quel punto della giornata aveva solo voglia di dormire. Mangiava senza prendere fiato, poi si stendeva a letto e guardava il tramonto, l'arrivo lento e luminoso delle stelle e della luna nel cielo. Desiderava essere uno di quei puntini luminosi a cui le persone si affidavano, a cui sussurravano i propri segreti. Scivolava nel sonno con delicatezza, tenendo lontani i ricordi.

Si costruì una nuova quotidianità, senza sapere quanto quella nuova sistemazione sarebbe durata, né perché le fosse stato concesso di essere lì. Si limitò a riassemblare i cocci della sua vecchia vita, unendoli alla nuova persona che era diventata.

Ogni tanto pensava a sua madre, alla tragedia, a suo padre. Ogni tanto si pentiva per le persone che aveva ucciso durante la fuga dopo il suo risveglio, pregava che le loro anime fossero in pace e che potessero perdonarla, perché non era stata lei a volerlo. Ogni tanto pensava a tutti gli errori commessi. Ogni tanto pensava a Erik. Ogni tanto piangeva e non sapeva neanche perché, si limitava a singhiozzare fino a non avere più lacrime e, quando smetteva, tutto sembrava a posto.

The cursed loveWhere stories live. Discover now