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Era difficile stabilire quanto tempo fosse passato

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Era difficile stabilire quanto tempo fosse passato. Non gli avevano mai portato cibo, da quando era lì, e non aveva contatti con nessuno a esclusione del Guaritore, che era giunto poco dopo il suo arrivo e l'aveva curato in fretta e furia, senza guardarlo, come se non l'avesse conosciuto da quando era bambino; quello sguardo puntato sul pavimento sudicio era il simbolo della vergogna, una vergogna necessaria perché potesse continuare a vivere.

I crampi allo stomaco lo tormentavano, ma erano ancora sopportabili: poteva quindi supporre che fossero passati al massimo un paio di giorni.

Trascorreva il tempo contemplando la parete di pietra e pensando. Ragionò molto su come dovesse essersi sentita Cassandra stando chiusa in quel luogo, con Haal. Certo, lei aveva avuto la sua compagnia. Era andato a trovarla quasi ogni giorno e i loro incontri avevano risollevato gli animi di entrambi. Sospirò, malinconico. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla ancora. Non riusciva ad accettare che lei si fosse innamorata di Javier, che gli si fosse rivoltata contro in quel modo senza pensarci due volte. Gli pareva assurdo ma, allo stesso tempo, temeva di stare ingigantendo la realtà solo per desiderio che fosse tutta una menzogna.

Lei era così bella, stretta al fianco di quell'uomo orribile con la stessa naturalezza con cui era stata al suo; bellissima anche mentre lo torturava, mentre lo guardava con freddezza e impassibilità, come non fosse mai stato nulla.

Gli aveva ricordato così tanto suo padre in quel momento... Era uguale a lui, crudele e priva di sentimenti, che lo guardava dall'alto al basso e non mostrava il minimo rimorso per il dolore che gli aveva causato. Quel pensiero gli spezzò il cuore, ma era così.

Doveva dimenticarsi la Cassandra dolce e innamorata; non era più quella ragazza, adesso amava un altro, un uomo che gli aveva preso la corona e che avrebbe imposto il proprio dominio con la forza - era l'unico modo in cui uno come lui poteva affermarsi. Doveva accettare quella nuova realtà: la luce che gli aveva dato una ragione per vivere, che gli aveva dato la forza di dimenticare l'orrore che aveva vissuti, si era spenta. O meglio, ora brillava per qualcun altro.

Quando sentì dei passi avvicinarsi, si convinse di stare sognando fino a che un uomo che non conosceva - probabilmente un uomo di Javier - comparve davanti alla cella. Inserì la chiave che teneva in mano nella toppa e aprì.

«Dove... Perché?» balbettò, pensando al peggio. Volevano ucciderlo? Torturarlo per ottenere qualcos'altro?

L'uomo non rispose, ma fece un cenno irritato al corridoio. Erik si arrese, comprendendo che non avrebbe ottenuto molto continuando a fare domande, si alzò e seguì la guardia. I suoi arti erano intorpiditi e ancora persisteva il dolore alla ferita causata da Cassandra, così ogni passo risultò faticoso. Notò subito che, all'uscita dalle segrete, non si fossero diretti verso le sale per le conferenze, né la Sala del Trono. Poteva essere considerato una fortuna? Ancora non ne era certo.

Venne condotto nell'ala del primo piano destinata agli alloggi della servitù; a quell'ora era deserta, perché tutti erano impegnati nelle loro mansioni. La guardia aprì la porta più vicina a dove si trovavano e gli fece cenno di entrare. Non aveva ancora detto una singola parola e non sembrava averne intenzione. Erik entrò e, subito, l'uomo chiuse la porta; sentì la chiave girare nella toppa e poté supporre che fosse rimasto lì fuori a controllarlo.

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