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Man mano che le ore trascorrevano, le immagini terribili dei soldati morti sfumarono per lasciare spazio alle altre innumerevoli preoccupazioni che l'assillavano

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Man mano che le ore trascorrevano, le immagini terribili dei soldati morti sfumarono per lasciare spazio alle altre innumerevoli preoccupazioni che l'assillavano.

Il prima problema era, senza dubbio, la debolezza che sempre di più si impossessava di lei. Quei nuovi "accessori", come il suo carceriere si divertiva a chiamarli, erano molto più potenti di Haal, senza contare che il non avere controllo delle proprie azioni e della propria Dote la destabilizzava ancora di più. Se avesse continuato così, non credeva di poter resistere molto. Inoltre, se durante l'uso del potere avesse sentito il bisogno di fermarsi non le sarebbe stato concesso: quando Javier le avrebbe ordinato di utilizzare la propria Dote non avrebbe potuto opporsi e, pertanto, non sarebbe stato difficile superare il limite.

Pur spremendosi le meningi, non trovava qualcosa da fare per salvarsi. La sua ricerca era più che disperata, ma non aveva risultati. Non sopportava di stare ferma e recessiva, a seguire gli ordini del proprio rapitore e attendere la fine, ma per quanto si sforzasse non c'era alcun piano - non realistico, perlomeno - che avesse una minima possibilità di funzionare. Senza i suoi poteri e disarmata, non aveva nulla.

Si era quasi dimenticata di viaggiare sulla sella insieme a Javier, ignorando le risate sue e dei pochi eletti che erano autorizzati a parlargli senza essere interpellati, fino a che lui la strinse da dietro attirandola a sé. Era un gesto subdolo e malizioso che le fece schizzare il sangue al cervello. Senza neppure pensarci, reagì sferrandogli una violenta gomitata nello stomaco. Per un breve attimo di gloria gioì della bella sensazione che quel piccolo gesto le aveva dato, ma fu una felicità effimera: un secondo più tardi, la lama affilata di un pugnale era puntata alla sua gola.

Il respiro le si spezzò, mentre il suo intero corpo si tendeva, in allerta.

«Vi consiglio, cara principessa, di portare rispetto», le sussurrò all'orecchio.

Il suo alito caldo sul collo la fece rabbrividire di disgusto, ma mandò giù la risposta velenosa che avrebbe voluto rifilargli e annuì remissiva. Si odiò, ma riconobbe di non avere alternative. L'uomo allontanò con lentezza l'arma da lei, permettendole di nuovo di respirare, e Cassandra represse l'istinto di allontanarsi - per il poco che le fosse possibile - da lui, che ancora la stringeva per i fianchi.

Era un gesto intimo e, dunque, ingiusto per il loro rapporto, ma l'uomo non pareva notarlo. O, più probabilmente, non gli importava e basta. Il suo scopo era infastidirla sotto tutti gli aspetti, il resto era irrilevante.

Non molto tempo dopo si fermarono per la notte in una piccola radura. I soldati cominciarono subito a preparare l'accampamento per la notte, mentre Javier scendeva con lentezza dal cavallo e le porgeva la mano per aiutarla a fare lo stesso. Desiderò rifiutare, ma sentì il bisogno irrefrenabile di accontentare l'uomo, che attendeva sorridendole.

Rimase ferma, attingendo alla propria volontà per parlare. «Posso farlo da sola.»

Javier allargò il proprio sorriso. «Dubito che riuscireste a scenderete con grazia senza il mio aiuto e, inoltre, è mio preciso desiderio che accettiate la mia gentile offerta.»

The cursed loveWhere stories live. Discover now