«Io ti odio, hai capito?» Suo padre lo guardava con gli occhi rossi dal pianto e lo scuoteva con poca cura

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«Io ti odio, hai capito?» Suo padre lo guardava con gli occhi rossi dal pianto e lo scuoteva con poca cura. «Non sei altro che un piccolo ragazzino bastardo, sei solo uno scarto, un terribile errore! Perché non ho potuto avere un altro figlio, uno degno, uno che non mi avrebbe portato via la donna che amavo?»

Il piccolo Erik piangeva senza sosta. Aveva appena dodici anni, ma aveva conosciuto già troppo odio. Il suo corpo era segnato dalle cicatrici, dall'orrore che non avrebbe dovuto conoscere.

«Come osi piangere?» ringhiò suo padre non appena vide le sue lacrime. Mollò la presa su di lui, ma sapeva che non era finita. Quando diceva così, quando usava quel tono, voleva dire che era solo l'inizio.

Il re lo spinse contro lo scrittoio del proprio ufficio; Erik vi cadde sopra e, prima ancora che potesse tentare di spostarsi di un solo centimetro, suo padre premette una mano su di lui per impedirgli qualsiasi movimento. Quando lo vide afferrare la frusta appesa alla parete gli mancò il fiato. L'aveva usata solo una volta su di lui, e aveva ancora gli incubi.

«Padre, vi prego...» supplicò. Era disperato, stava per subire una terribile punizione che non aveva neppure meritato. Non aveva fatto nulla, era stato chiamato da suo padre probabilmente perché era di cattivo umore, ma quello bastava.

«Silenzio!» gridò il re, e la sua voce profonda gli vibrò fin dentro le ossa.

Tremò, come sempre. Non importava quante volte si promettesse che sarebbe stato più forte, che avrebbe resistito, che non si sarebbe lasciato spaventare con facilità: appena si trovava al cospetto di suo padre ogni briciola di coraggio spariva.

Il primo colpo gli strappò un gemito; era una sensazione indescrivibile, come se qualcosa gli squarciasse la pelle con snervante lentezza. Si aggrappò alla scrivania, passando i polpastrelli sui solchi lasciati in precedenza proprio su quel ripiano. Chiudendo gli occhi poteva riportare alla mente tutte le volte in cui aveva grattato il legno, in cui vi si era aggrappato, per resistere.

I colpi continuavano a giungere, e il dolore aumentava ogni secondo. Sentiva il sangue scorrergli lungo la schiena, un po' giungeva addirittura fino alle braccia. Cominciava a perdere energie, le ultime rimaste le stava usando per mordersi con forza le labbra ed evitare di urlare o pregare pietà: sapeva che avrebbe solo peggiorato il tutto.

Quando suo padre smise di colpirlo, il dolore sembrò esplodere con il doppio dell'intensità tutto in una volta. Scivolò sul pavimento freddo, strizzando gli occhi per cacciare indietro le lacrime e provando a respirare profondamente, senza però riuscirci: ogni minimo movimento gli provocava una sofferenza immensa. Giunse un ultimo calcio e il suo corpo, come rifiutandosi di sopportare altro, espulse tutto: rigettò sangue e si abbandonò a terra, privo di forze.

A occhi chiusi, in uno stato di semicoscienza, gli parve quasi di poter vedere sua madre che lo rassicurava. Non poté fare altro che fissarla, però, perché le parole rimasero incastrate in gola. Poté solo pensare a quanto desiderasse un gesto d'amore.

The cursed loveTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon