I wrakien

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Proiettili di legno volarono per tutta la stanza. Lo zio Paulus fu colpito a una spalla e scaraventato per terra.

Vanadin si gettò su Arlo facendogli scudo col proprio corpo. « Stammi vicino », gli ordinò in un orecchio. Il ragazzo avrebbe voluto chiedergli che stava succedendo, ma Vanadin si era già voltato verso il buco dove prima si trovava la porta e aveva sguainato la spada. Nonostante la scarsa visibilità, dovuta alla nuvola di segatura che si andava posando sul pavimento, Arlo contò quattro schegge conficcate nella schiena del gigante. Eppure era in piedi, in posizione di combattimento.

« Arrivano », disse Vanadin mentre sollevava la spada.

Arlo vide due ombre balzare avanti e cercò di farsi più piccolo che poteva. Vanadin si dispose a parare un colpo che calava dall'alto, ma, all'ultimo istante, scartò a destra mandando a vuoto l'avversario. Mentre si spostava di lato, fece ruotare la spada e gli tranciò di netto la mano armata. Tutta l'azione durò meno di un istante.

L'uomo cadde in ginocchio e si coprì il moncherino con un lembo del mantello tamponando il sangue che sgorgava a fiotti. Nonostante la spaventosa ferita, non emise neanche un gemito.

Arlo tentò di scorgergli il volto, ma era celato sotto un pesante cappuccio.

Vanadin superò il ferito e si fece avanti, passando all'attacco. Il secondo avversario, anch'esso incappucciato, evidentemente aveva fatto tesoro della sorte toccata al suo compare e fu meno impulsivo. Era un ottimo spadaccino e riuscì a tener testa al gigante. Dopo vari minuti di combattimento, Vanadin ansimava. Il dolore per le ferite alla schiena doveva logorarlo ed era sicuramente indebolito dalla perdita di sangue, mentre il suo nemico sembrava instancabile. Un sibilo, simile a una risata disumana e maligna, proveniva da sotto il cappuccio.

Vanadin strizzò gli occhi, come se la stanchezza iniziasse a offuscargli la vista. Strinse l'elsa della spada con entrambe le mani e si gettò sull'avversario urlando.

Sembrava l'azione sconsiderata di chi è spinto dall'ira e dalla disperazione. Ma Arlo intuì che, dietro quella mossa, c'era un'attenta valutazione. Vanadin era ferito e le sue energie si stavano esaurendo, mentre il suo avversario avrebbe potuto continuare allo stesso ritmo forse per un'altra mezz'ora buona. L'abilità di Vanadin come spadaccino e quella del suo avversario erano paragonabili. In verità, Arlo riteneva che Vanadin fosse più capace, ma non nelle sue attuali condizioni. Il gigante era molto più robusto del suo avversario e, seppure indebolito dalle ferite alla schiena, poteva sicuramente contare su una maggiore forza fisica. Fatte queste considerazioni, doveva aver concluso che solo sfruttando l'unico fattore che lo favoriva poteva avere qualche possibilità di vittoria. Ecco perché si era avventato sul nemico come un forsennato: per travolgerlo, annichilirlo nei pochi istanti che aveva a disposizione prima di esaurire le sue riserve. Qualsiasi maestro d'armi sarebbe inorridito: più che una spada, sembrava che tra le mani stringesse una mazza.

Tratto in inganno da quella furia aggressiva, l'avversario dovette credere di assistere all'azione di un pazzo. Forse sorrideva, sotto il cappuccio, certo di avere la vittoria in pugno. Di sicuro, al secondo assalto cominciò ad avere i primi dubbi: il contraccolpo ricevuto per parare il fendente gli piegò il polso. Al terzo attacco, Vanadin cambiò traiettoria all'ultimo istante. L'avversario parò ugualmente, ma vacillò e, per non cadere, fu costretto a ripiegare di lato. Per Vanadin quell'occasione era oro. Incalzò il suo avversario. L'altro, che probabilmente si aspettava una nuova mazzata, si preparò tenendo stretta la spada con entrambe le mani. Ma, stavolta, il gigante non inflisse al colpo particolare energia. Non era necessario, perché doveva servirgli solo per distrarre il rivale. A quel punto ruotò una gamba falciando l'avversario. Quest'ultimo perse l'equilibrio e cadde all'indietro. Il gigante gli fu subito addosso. Con un piede gli inchiodò la spada al pavimento mentre calava la sua arma come una mannaia.

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