Morlòn

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I tre confabularono per qualche istante, poi Gabarin fece cenno ad Arlo di avvicinarsi e gli indicò la panca di fronte. Quando Arlo si sedette, il vecchio Savio si sporse in avanti e gli prese le mani. « Abbiamo deciso che sarò io a fare da portavoce in questo colloquio », disse sorridendo. Arlo notò che gli mancavano alcuni denti. Più che un saggio, aveva l'aria di un vecchietto segnato dagli anni e un po' fuori di testa.

« Sei nervoso? ».

« Un pochino », rispose Arlo. In realtà, meno di quanto si aspettasse.

« Ciò che ascolterai adesso non ti piacerà », disse Gabarin facendosi improvvisamente serio. « E, indipendentemente dalla decisione che prenderai, cambierà la tua vita per sempre ».

Arlo si voltò un attimo verso Vanadin. Si chiese se, da dove era seduto, anche il gigante avrebbe udito le parole di Gabarin.

Quest'ultimo continuò: « Ti parlerò del Dio Morlòn e dei suoi sogni ».


Arlo non era mai stato credente. Da che ricordava, aveva sempre pensato che ci fosse ben poco di vero nei racconti sul Dio Morlòn. Un paio di volte, durante l'anno, si fermava nel suo villaggio un prete errante che, per un po' di pane secco, qualche cipolla e un paio di bicchieri di vino, leggeva alcuni passi dell'Oniroloquio, il libro che narrava della creazione delle Sette Terre. Ad Arlo l'idea che esistesse un Dio dormiente e che tutto il creato fosse frutto dei suoi sogni non piaceva affatto. E poi, cosa voleva dire sognare? Anche quella gli sembrava un'invenzione. Lui non sognava e non aveva mai conosciuto qualcuno a cui accadesse qualcosa del genere. Quando lo aveva chiesto al prete, quello aveva provato a farsi capire con un esempio: « Sognare significa vedere qualcosa che non c'è. Un po' come le allucinazioni provocate dalla febbre alta ». Ma nemmeno il prete parlava per esperienza diretta.

Gabarin fissò Arlo a occhi sgranati. Il vecchio saggio era impallidito. « Tu non credi nella Verità! », esclamò. Gli lasciò le mani come se scottassero. Poi spostò lo sguardo alternativamente sui suoi fratelli. Nessuno dei Savi aprì bocca, ma Arlo era certo che tutti e tre si stavano chiedendo la stessa cosa: se era stato un errore convocarlo lì.

L'imbarazzo generale era palpabile. Poi il Savio alla destra di Gabarin parlò all'orecchio del fratello. Gabarin cominciò lentamente ad annuire, mentre ascoltava, e arrivò anche a sorridere. Quando si rivolse nuovamente ad Arlo aveva ripreso colore. « E' inutile che io cerchi di convincerti a parole », disse. « Ti sarà più semplice prestar fede ai tuoi occhi ».

Con un balzo scese dalla panca e corse via infilandosi nello stretto passaggio laterale da cui erano spuntati i suoi fratelli. Dopo qualche attimo ricomparve e riprese posto di fronte ad Arlo. Si era procurato un coltello dalla lama lunga e sottile. Ne saggiò la punta con il mignolo della mano. « Bene », disse, mentre alcune gocce di sangue gli colavano sulla veste. Sembrava soddisfatto. Con aria serafica mostrò il dito ad Arlo. « Proprio quello che ci vuole ». Con un movimento fulmineo, senza mutare affatto la sua espressione tranquilla, ficcò la lama nello stomaco del ragazzo.

Arlo fece un balzo indietro e si piegò in due, sputando tutta l'aria che aveva nei polmoni. In un attimo eterno, aveva sentito la punta del coltello tendergli la pelle e penetrargli la carne.

Ma, stranamente, non c'era stato dolore.

Con tutta calma, Gabarin estrasse il coltello, che fuoriuscì dalla ferita con un risucchio.

Trascorsero alcuni istanti di assoluta immobilità. Arlo si teneva le mani sullo stomaco e fissava Gabarin.

« E' tutto a posto », cercò di rassicurarlo il vecchio saggio. « Vedi? La lama è pulita. E guarda il tuo ventre. Nemmeno una goccia di sangue ».

Lentamente, Arlo tolse le mani e diede un'occhiata. Gabarin aveva ragione! Non c'era alcuna macchia rossa sulla veste. « Non morirò? », chiese, stupito.

« Non oggi », rispose Gabarin accarezzandogli una guancia. « Non in questo sogno ».

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