La dimora dei Savi

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I wrakien uscirono dall'acqua malvolentieri. Capirono subito di essere già nella Terra di Solon a causa del caldo che bruciava l'aria. Sarebbe stato duro muoversi su quel terreno riarso. La loro pelle non era fatta per un clima così secco. Per fortuna la nuotata li aveva corroborati.

Si affiancarono a una distanza di circa sette passi l'uno dall'altro in modo da avere una visuale collettiva su uno spazio più ampio. Tuttavia, anche con una simile formazione, sarebbe stato difficile, se non impossibile, rintracciare le impronte dei fuggitivi. Tra l'altro, non erano neanche sicuri che la loro caccia potesse dare qualche frutto. Forse il loro compito era già stato portato a termine dalle acque del Mar Ignifo che, con ogni probabilità, avevano travolto e ucciso Vanadin e il ragazzo.

Comunque, avrebbero continuato la ricerca. Sapevano che i due fuggiaschi erano diretti dai Savi e che questi avevano la loro dimora nella Terra di Solon, in qualche posto a sud della "Pianura degli acquitrini".


« Arlo? », esclamò il vecchio meravigliato. Poi con entusiasmo: « Devi essere tu per forza! Ce l'hai fatta! ».

Il ragazzo si mise a sedere e si massaggiò la nuca.

« Si temeva che fossi perito nell'inondazione », aggiunse il vecchio tastandolo come se volesse assicurarsi che non si trattasse di un fantasma.

Si trovavano nell'ingresso di una caverna. Quella che Arlo aveva creduto una parete di solida roccia era in realtà un portone di legno magistralmente dipinto in modo da ingannare l'ignaro osservatore.

« Io sono Gabarin, per servirti », disse il vecchio con un inchino.

Arlo si rimise in piedi e lo scrutò incuriosito. Era l'uomo più basso che avesse mai conosciuto. E quello non era certo il particolare più insolito del suo aspetto. Aveva delle curiose orecchie a punta e il cranio pelato era percorso da un solco superficiale che sembrava dividerlo in due.

« Come fai a conoscermi? », chiese.

L'altro ridacchiò. « Come potrei non conoscerti? Ti stavamo aspettando ».

Arlo si guardò intorno.« Che posto è questo? ».

« Sei nella dimora dei Savi ».

Questa, poi. Non era certo come se l'era immaginata.

Gabarin sorrise. « Sei deluso? Forse ti aspettavi di trovare una reggia. Ma, vedi, a nessuno verrebbe in mente di scovare i Savi in mezzo a un deserto di pietre e, men che meno, di cercarli in una misera grotta. È un ottimo sistema per tenere lontani i curiosi e gli eventuali nemici ».

Questo Arlo poteva capirlo. Non comprendeva, però, che bisogno c'era di ricorrere a quello stratagemma anche all'interno della caverna. Se il resto della dimora era simile all'ingresso, il posto era tutt'altro che sfarzoso. E anche il vecchio servitore non pareva all'altezza del suo ruolo. A parte l'età avanzata, Gabarin era un ometto curvo e tanto magro da apparire malnutrito. E poi, scalzo e con quella tunica logora e piena di rattoppi, era vestito peggio di un mendicante.

« Se vuoi seguirmi... », disse Gabarin facendo strada.

Si addentrarono in un corridoio scavato nella roccia. Erano guidati da un leggero riverbero la cui fonte si trovava più avanti. Delle aperture laterali lasciavano intuire una serie di cunicoli che conducevano chissà dove.

Via via che procedevano, il passaggio si ampliava e diventava più luminoso, fino a che si aprì in un enorme spiazzo semicircolare. Lì il soffitto superava i trenta passi e un grosso foro permetteva ai raggi del sole di insinuarsi senza ostacoli. Oltre che per illuminare la sala, l'apertura doveva servire per lasciar entrare l'acqua piovana, che veniva immagazzinata in una enorme vasca di raccolta.

Delle panche di pietra erano disposte a emiciclo sul fondo della caverna. C'era un uomo su una di esse. Era seduto di spalle, ma, anche così, Arlo non poteva sbagliarsi.

« Vanadin! », esclamò.

Il gigante si volse con uno scatto. Quasi nello stesso istante si alzò in piedi e corse verso Arlo. « Sei vivo! ». Gli occhi chiari gli brillavano. Poi fece qualcosa che Arlo non si sarebbe mai aspettato. Lo abbracciò.

« Piano, piano, così mi stritoli ».

Vanadin lo lasciò andare. « Sei vivo », ripeté, come se non riuscisse a crederci.

« E Gigas? », gli chiese Arlo.

Il gigante scosse piano la testa. « L'onda ci ha separati quasi immediatamente. Ho paura che non ce l'abbia fatta ».

Gabarin si intromise tra i due. « Perdonatemi, ma il tempo stringe ».

Vanadin fece un passo indietro e chinò il capo come se volesse scusarsi con il vecchio servitore.

« Accomodiamoci », disse quest'ultimo guidandoli verso le panche di pietra.

Proprio in quel momento, da una fenditura laterale della roccia, tanto stretta che bisognava essere davvero magri per passarvi, sbucarono due ometti che si sedettero senza dire una parola. Somigliavano in modo straordinario al servitore ed erano abbigliati allo stesso modo.

Arlo inarcò le sopracciglia, confuso. Con lo sguardo cercò Vanadin, ma il gigante era rimasto indietro, col chiaro intento di mantenersi in disparte. Quando tornò a voltarsi, vide che Gabarin aveva raggiunto i due ometti tanto simili a lui e si era seduto in mezzo a loro.

Allora capì che i Savi erano pronti a riceverlo.

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