Il deserto di Solon

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Quando i Wrakien attraversarono il confine scoprirono che la Terra di Eligios era scomparsa e che al suo posto c'era un mare interno. Per i quattro si trattava di uno spettacolo entusiasmante.

Anche se l'acqua salmastra del Mar Ignifo non era la più congeniale, immergersi era comunque un piacere. Era sempre un piacere. I Wrakien venivano alla luce nelle acque dolci del lago Tikarol, ai piedi degli Insormontabili, e vi passavano i primi sei mesi di vita. Il resto della loro esistenza era perlopiù terrestre, ma l'acqua rimaneva il loro primo amore.

Nuotarono sul fondo, dove la corrente era più uniforme. Si muovevano rapidi, agitando i piedi palmati.


Il risveglio di Arlo fu piuttosto cruento. Finì a terra e urtò la spalla sinistra, poi la guancia. Mentre si alzava in piedi, barcollando, sentì il sangue colargli dal mento. Si toccò il viso per capire la gravità della ferita, ma lo fece con la mano sbagliata e la spalla dove aveva preso la botta gli mandò una fitta. Fu come se gli avessero ficcato un punteruolo tra le scapole.

Il cupolifoglie su cui aveva viaggiato si era arenato su un terreno sabbioso. Arlo notò che una decina di passi più avanti iniziava un deserto di pietre. Tutto sommato, poteva ritenersi fortunato: se il mare si fosse arrestato poco più in là, il suo sbarco sarebbe risultato ancor più doloroso. Arlo si voltò verso l'enorme distesa d'acqua che si era insinuata nella valle di Eligios. Chissà se Vanadin e Gigas si trovavano ancora lì in mezzo? Doveva aspettarli? Dopo averci pensato un po', concluse che sarebbe stato inutile. Non sapeva se i suoi amici se la fossero cavata e, anche quando, potevano essere approdati dovunque. Gli sembrò che l'unica cosa sensata da fare fosse riprendere il cammino dirigendosi verso nord.

Mentre si muoveva tra le pietre roventi, Arlo si chiese se stava ancora calpestando il suolo della Terra di Eligios o se, come sospettava, aveva ormai varcato il confine. Dalla posizione del sole, calcolò che erano trascorse circa tre ore da quando era sbarcato. Tre ore passate a camminare tra ciottoli roventi, alcuni affilati come rasoi. Il caldo era insopportabile. E aveva sete. Gli occhi gli bruciavano, le labbra si erano ritratte, screpolandosi fino a sanguinare. Arlo avrebbe urlato per la disperazione, se ne avesse avuto la forza. La Terra di Solon, dimora dei Savi, era dunque un posto tanto inospitale? Non poteva crederci. Sicuramente, oltre il deserto, si stendeva il vero regno dei Signori delle Sette Terre. Arlo immaginava un luogo rigoglioso, ricco di piante e fiori, attraversato da limpidi ruscelli. Ma lui non lo avrebbe mai raggiunto perché era allo stremo delle forze e il deserto di pietre sembrava non avere fine.

Dopo un'altra ora di cammino, distinse in lontananza una collina dalla cima piatta. Non era niente di speciale, ma lasciava sperare che, ai suoi piedi, si potesse trovare un riparo dal sole. Arlo decise che l'avrebbe raggiunta e si sarebbe steso all'ombra ad aspettare la morte.

Era una formazione rocciosa di colore rosa, dalla forma simile a una cupola schiacciata, alta una quarantina di passi e larga, alla base, circa il triplo.

Arlo vi arrivò barcollando come un ubriaco. Appoggiò una mano contro la parete mentre riprendeva fiato, ma dovette tirarla via all'istante. Era arroventata. Quasi come le pietre che lastricavano il suolo.

Il sole era a picco e non vi era traccia dell'ombra che lui aveva sperato di trovare. Ci sarebbero volute come minimo un paio d'ore prima che l'altura facesse da schermo ai raggi solari. Per un attimo Arlo pensò di sedersi per terra e lasciare che il caldo lo avvizzisse. Ma non sopportava l'idea di morire a quel modo. No, doveva trovare un po' d'ombra. Si rimise in cammino girando intorno alla collina. Finalmente scovò una rientranza, una specie di arco naturale non raggiunto dai raggi del sole, e vi si infilò. La temperatura era poco più bassa, lì sotto, ma dopo il caldo patito, Arlo provò una sensazione di frescura. Ora sì, poteva anche morire. Accostò la schiena alla parete e si lasciò scivolare per terra. Tale era il sollievo sperimentato che lo schienale di roccia non gli sembrò nemmeno tanto rigido. Gli sgabelli, a casa dello zio Paulus, erano sicuramente meno comodi. Ebbe addirittura l'impressione che la roccia cedesse lievemente. Quando si rese conto che la parete dietro di lui stava sul serio crollando sotto il suo peso era già troppo tardi.

Cadde all'indietro. Urtò la nuca e quasi perse i sensi. Chiuse gli occhi, sperando che ciò bastasse per riprendersi. Quando li riaprì ebbe un sussulto: il volto rugoso di un vecchio copriva il suo campo visivo.

Il cerchio dei sogniWhere stories live. Discover now