Epilogo

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16 gennaio, sabato.

Monica scivolò sul pavimento in linoleum e urtò una spalla contro la porta di metallo del reparto di terapia intensiva. Si aggrappò con entrambe le mani al maniglione, per non cadere, mentre soffocava un gemito.

Quando entrò nel reparto rimase sorpresa. Si aspettava il solito corridoio con le stanze numerate ai lati, invece si trovò direttamente in una sala ampia. I letti, una quindicina circa, quasi tutti vuoti, erano più simili a poltrone da dentista che a normali brande da ospedale.

Un giovane medico le andò incontro e le parlò a bassa voce. « E' la signora Morlòn? ».

Monica fece segno di sì con la testa.

« Venga le faccio vedere dov'è sua sorella ».

Monica lo seguì senza far domande.


Era stato il geometra Rubelli ad avvisarla che qualcosa non andava nell'appartamento di Pola. Da ore Tommy abbaiava senza smettere un attimo. E sì che lo yorkshire non aveva mai fatto così. Forse il cagnetto era solo in casa e non si sentiva bene. Monica aveva provato a contattare Pola al cellulare, ma il telefonino era sempre muto. Allora aveva pregato Giacomo di fare un salto a controllare. Lei non poteva perchè si trovava a Bologna dove aveva accompagnato le bambine per una gara di Judo. Così suo marito era andato a casa della cognata col doppione delle chiavi. Appena entrato, Tommy gli si era quasi avventato contro, abbaiando e ringhiando, poi il cagnetto era corso in salotto. Giacomo l'aveva seguito e lì aveva trovato Pola distesa sul divano, priva di conoscenza. Aveva subito allertato il 118. Poi aveva telefonato a Monica.


Quando fu di fronte a Pola, si sentì sollevata. Si aspettava di trovarla con un tubo in bocca e sondini attaccati su tutto il corpo. Invece aveva soltanto una flebo. Il medico le spiegò che si trattava di una soluzione di glucosio che serviva a nutrirla e idratarla.

« Mi posso sedere? ».

« Prego ». Il medico le avvicinò una sedia.

« Che cosa le è successo? Mio marito mi ha parlato di un ictus ».

« Sì, ma di lieve entità. La risonanza magnetica del cervello ha chiarito che si è trattato di un attacco ischemico transitorio ».

« È una cosa grave? ».

« Di per sé, no. Difatti, sua sorella non ha riportato alcuna lesione permanente. Potrebbe, però, preavvisare l'insorgere di un ictus vero e proprio ».

« Se non ha nessuna lesione, perchè è in quelle condizioni? ».

Il medico si grattò la nuca. « Francamente, non ce lo spieghiamo. In realtà non c'è motivo perchè sia in stato di incoscienza ».

Monica accarezzò la mano di Pola. « Sembra tranquilla ». disse.

« Sì. Escludo che vi sia sofferenza di alcun tipo ».

« Ultimamente aveva qualche problema quando dormiva. Incubi ricorrenti che le procuravano ansia anche da sveglia ». Monica continuò ad accarezzare la mano della sorella. « Adesso, invece, sembra che riposi serenamente ».


Arlo uscì dalla capanna di Arcaglom barcollando. Colpa del succo di mirintinni fermentato. Non era un vero liquore, più o meno alcoolico come una birra dolce, ma a lui, che non era abituato, era bastato un solo bicchiere per fargli girare la testa e rendergli molli le gambe. Un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene.

Ebbe appena il tempo di varcare la soglia che due wrakien spuntarono da dietro la capanna. Gli andarono incontro rapidamente e si fermarono a un passo da lui. Lo fissarono un istante, poi entrambi si abbassarono poggiando un ginocchio a terra. Arlo dovette trattenersi per non sbuffare. Gli fece segno con la mano di tirarsi su, ma i due non si mossero.

« Non ti ringrazieremo mai abbastanza », disse uno dei due senza alzare la testa.

Non finirà mai questa storia?, pensò Arlo.

In quel momento Arcaglom comparve alle sue spalle. « Tutto bene, figliolo? Ti ho visto uscire e mi sei sembrato un po' instabile sulle gambe ».

« Il succo di mirintinni mi ha dato un po' alla testa, ma sto bene. », rispose Arlo. « Sono solo stufo di festeggiare. Sono giorni che non facciamo altro. E poi », aggiunse indicando i wrakien ancora genuflessi, « non ne posso più di tutte queste attenzioni ».

« In piedi, voi due! », esclamò Arcaglom. « Toglietevi di torno ». Cinse le spalle di Arlo con un braccio. « Per un po' sarà così, ovunque ti troverai ».

Giunsero delle urla festose: « Evviva Arlo! Evviva il nostro salvatore! ».

Arcaglom scrollò le spalle. « Ci hai liberati da Morlòn. È normale che tutti ti siano riconoscenti e vogliano renderti omaggio. È il motivo per cui ricevi decine di doni ogni giorno ».

« Anche quelli stanno diventando un problema. Tra un po' non sapremo più dove metterli ».

« E ti lamenti? Ora sei ricco. Potresti avere la palafitta più grande e lussuosa del villaggio ».

Arlo scosse la testa. « Non voglio una palafitta ».

Arcaglom gli si mise proprio di fronte. « Forse è questo il vero problema. Tu sei stanco di stare qui ».

Arlo abbassò lo sguardo e restò in silenzio per alcuni istanti, poi tornò a guardare l'anziano urunaki. « Ho recuperato la spada di Vanadin. Sono stati i due wrachien a scovarla nuotando sott'acqua per ore. Vorrei portarla nel luogo dove il mio amico è morto per salvarmi la vita».

« Va bene, è giusto. Se vuoi, ti accompagnerò ».

« Non è il solo posto dove vorrei andare. Mi piacerebbe ripercorrere la strada che ho fatto per arrivare sin qui. Voglio tornare nel bosco incantato, incontrare di nuovo Arok. Varcare gli Insormontabili, rivedere i Savi e infine tornare nel mio villaggio ».

Correva voce che la Grande Fenditura si fosse già richiusa. Anche questo sembrava un miracolo legato alla scomparsa di Morlòn, così come la redenzione dei wrakien che, da un momento all'altro, avevano perso la loro ferocia tornando a essere i placidi anfibi di una volta.

« Desidero persino rivedere mio zio. Anche lui potrebbe essere diventato più buono ». Dopo un istante Arlo sorrise. No, questo no. Nemmeno la caduta di Morlòn poteva cambiare il pessimo carattere dello zio Paulus.

Il cerchio dei sogniWhere stories live. Discover now