Capitolo 4.

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"Ma i ricordi sono tutto ciò che mi resta."
-La risposta è nelle stelle, Nicholas Sparks.

In due anni avevo sentito chiedermi così tante volte "come stai?" da moltissime persone, da quei pochi amici che avevo, dai familiari, dai conoscenti, da mio padre e da Lucas, che ormai avevo perso il conto. All'inizio rispondere era un problema, voglio dire, mentire per qualcosa di così evidente, ma con il passare del tempo era diventato più semplice, tanto semplice che quella domanda da costante era diventata sempre meno frequente; persino Lucas aveva smesso di chiedermelo, colui che tra i tanti era stato il primo spettatore dei miei crolli peggiori, colui che era a conoscenza dei miei più grandi demoni; certe cose di sua conoscenza, nemmeno mio padre le sapeva.
Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che qualcuno mi avesse chiesto come stavo, ma quella sera mio padre mi pose quella fatidica domanda.
"Come stai, piccola?"
Questa volta però fu diverso, questa volta non risposi in modo automatico, o spontaneo, questa volta dovetti pensarci prima di rispondere, questa volta scelsi d'essere sincera.
"I-io... non lo so più. Non so se sto bene, se sto male, se sono felice, o se non lo sono. Non sento più nulla." Sospirai, sotto gli occhi attenti di mio padre, "con Lucas sto bene, ma è quando sono senza di lui che non so che mi succede."
Passai una mano tra i miei capelli e scossi la testa.
Sono vuota, non sono più Juliet, non sono più me stessa, non sono più nessuno.
Mio padre mi tirò per un braccio facendomi scivolare accanto a lui sul divano, stringendo poi il mio corpo tra le sue braccia e lasciando un leggero bacio tra i miei capelli.
"Cosa ti ha fatto quel ragazzo?"
E sapevo non stesse parlando di Lucas, sapevo che mio padre con "quel ragazzo", intendeva Harry.
Sfregai la testa sul suo petto in cerca di calore e in cerca di conforto.
Harry aveva preso possesso di ogni parte di me, dalla più buona alla più cattiva. Mi aveva resa vulnerabile, fragile, indifesa.
Harry mi aveva fatta a brandelli e non si era preoccupato a raccoglierli.
"Se dovessi rivederlo, come reagiresti?" Domandò dopo attimi di silenzio.
Alzai le spalle come segno di incertezza e rimasi in silenzio.
Mio padre non sapeva nulla.
Era passata una settimana dal mio, chiamiamolo, incontro con Harry davanti i cancelli dell'università, ma nulla si era risistemato.
Il mio cuore era ancora un puzzle irricomponibile, mancavano troppi pezzi che lui, quand'era andato via, si era portato con se.
"Non c'è nulla di buono da ricordare in lui?"
Da quando le cose tra me ed Harry erano finite, sapevo mio padre odiasse in parte quel ragazzo che aveva reso miserabile sua figlia; aveva provato in tantissimi modi a convincermi che lui non era il ragazzo giusto, che avrei dovuto dimenticarlo, ma sapevamo entrambi che diceva tutte quelle cose solo perché non voleva più vedermi soffrire.
Allora, sentirgli chiedere se per me ci fosse qualcosa di bello da ricordare in Harry, mi sorprese.
"Non lo so." Sussurrai.
Meriti ancora un posto tra i miei ricordi migliori?
Chiusi poi gli occhi e mi addormentai tra le braccia di mio padre.

Mi capitava a volte di sentire la nostalgia di vecchie cose, come riascoltare un vecchio disco, o riguardare un bel film, o, ancora, ritrovare vecchi doni. Una nostalgia piacevole dopo tutto, una nostalgia legata a belle cose.
Intendo dire, nei miei ventidue anni di vita avevo anche io avuto bei momenti, erano solo molto rari e molto piccoli.
Quindi avevo sempre avuto l'abitudine di conservare qualunque cosa, come simbolo di quei piccoli e quasi invisibili, bei momenti, dove per quasi lunghi istanti ho assaporato per bene la felicità, la libertà; per questo i miei scaffali erano pieno di libri e dischi e la mia soffitta era piena di vecchi scatoloni con oggetti appartenenti al passato; dai giocattoli e i vestiti di quand'ero bambina, alla raccolta di filmini e fotografie fatti durante il corso dei miei anni. E certe volte, presa da questa dolce nostalgia, mi piaceva rispolverare le vecchie cose, quelle che riportavano a galla soltanto bei ricordi. Di rado trovavo qualcosa legato ad un brutto ricordo. Le mie sofferenze erano ben celate già dentro il mio cuore, nel profondo della mia anima. Altri oggetti a rimembrarmi il dolore non mi servivano.
Quella mattina m'ero svegliata presa da questa nostalgia e nessuna intenzione di andare all'università per seguire qualsiasi tipo di lezione. Forse la piccola chiacchierata con mio padre aveva riportato a galla vecchie cose.
Così, dopo essermi preparata una calda tazza di latte e caffè ero salita in soffitta, e mentre rovistavo tra i vari scatoloni, avevo trovato un cofanetto in legno, con qualche disegno floreale in oro inciso sopra. Ricordavo quel cofanetto e in mente, quando decisi di scenderlo, avevo una vaga idea su cosa ci fosse dentro.
Durante la notte c'avevo pensato molto a quello che mio padre m'aveva chiesto e alla fine capii che di lui, di Harry, non era andato tutto perso, qualcosa di bello m'era rimasto e sapevo che quel cofanetto ne era la prova.
Allora, mi sedetti sul divano del mio salotto ed appoggiai la scatola sul piccolo tavolo in legno davanti ai miei piedi.
L'esitazione frenava le mie mani dall'aprire davvero quella scatola, ma la voglia di poter rivivere quei pochi istanti con lui nella mia mente, superò quell'esitazione e le mie dita aprirono quella scatola.
Tante foto all'interno, tantissime, tutte datate.
Ne presi alcune e le sfogliai tra le mie dita.
Louis, il migliore amico di Harry, un bastardo dagli occhi azzurri e dal sorriso smagliante, in una delle foto rideva con una bottiglia di whisky in una mano ed un braccio attorno alle spalle di Harry, che a sua volta aveva gli occhi lucidi e sorrideva come un bambino, le guance rosse, i pollici alzati in su.
Girai la foto, "27 marzo 2013, compleanno di Joh", c'era scritto.
Quella notte fu la prima volta che conobbi gli amici di Harry. Ricordo che tra i tanti a colpirmi fu soprattutto il ragazzo che stringeva Harry tra le sue braccia in quella foto, Louis. Era spiritoso, era divertente, particolarmente stronzo, ma era l'unico che capiva Harry al volo, che sapeva come prenderlo, a volte ci riusciva anche meglio di me. Quei due erano come due fratelli inseparabili.
Appoggiai la foto accanto al cofanetto, sul tavolo, e ne presi un'altra.
In quella foto c'eravamo io, mia cugina Rose ed Harry. Io tenevo un braccio attorno alle spalle di Rose, avevo gli occhi lucidi, i capelli fuori posto, un sorriso, che adesso fatico a riconoscere come mio, sul volto; Rose, invece, mi guardava con un sopracciglio alzato e un leggero, quasi invisibile, sorriso sul volto; quella sera, tra il delirio e la serietà, le diedi un soprannome: la rossa in fiamme; avevo sempre invidiato il suo essere senza regole, lei era spumeggiante, senza timore, mentre io, apparentemente come lei, poi temevo chiunque; in fine, c'era Harry, che mi guardava come fossi un evento raro, come fossi un raggio di sole in mezzo alla tempesta, che cercava di tenermi in piedi.
Girai la foto, "16 giugno 2013, Londra di notte", quella fu la prima notte che mi ubriacai per davvero.
Avevo sempre avuto un rigido controllo, io mi divertivo, ma in modo controllato, ma quella notte, con Harry più bello che mai, abbandonai il mio controllo. Non ricordo molto di quella sera, ma so d'essermi svegliata accanto ad Harry, tra le sue braccia, con la sua testa sepolta nel mio collo, con la sua maglietta e niente più indosso, con il suo profumo sulla mia pelle, con le gambe intrecciate e le sue braccia a proteggermi da qualsiasi incubo che avrebbe disturbato il mio sonno quella notte, ed ho capito che avrei voluto svegliarmi tutti i giorni in quel modo da allora in avanti.
Posai anche quella foto e ne presi un'altra ancora.
In quella foto, invece, c'eravamo solo io ed Harry. Nessun altro più.
Harry indossava una camicia a quadri, dei jeans neri aderenti e i suoi amati stivaletti color caramello, teneva le braccia strette intorno al mio corpo e sorrideva rivolto verso l'obbiettivo; io nascondevo la testa tra le sue braccia, cercavo di fuggire dall'obbiettivo, mi rifugiavo nel suo petto, ma sorridevo perché sentivo che quello era il mio posto, che quelle braccia erano la mia casa.

Macchiati di nero [HS]Where stories live. Discover now