Capitolo 32.

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"I'm so tired of being here,
suppressed by all my childish fears.
And if you have to leave,
I wish that you would just leave,
'cause your presence still lingers here and it won't leave me alone.
[...]
When you cried I'd wipe away all of your tears,
when you'd scream I'd fight away all of your fears,
I held your hand through all of these years,
but you still have all of me."
-My immortal, Evanescence.

Non si supera una paura se non la si affronta.
È evidente, è chiaro, che non siamo supereroi, che non possediamo alcun super potere, che in un modo o in un altro avremo paura di qualcosa prima o poi. Che sia una paura fisica, o che sia una paura morale, sarà sempre una paura, che durante gli anni della nostra vita ci imporrà tanti di quei freni, da non permetterci mai di vivere totalmente e completamente.
La parola fobia letteralmente significa: paura angosciosa per lo più immotivata e quindi a carattere patologico.
Immotivata; allora non vedo ragione per cui questa nostra paura, qualunque essa sia, non debba permetterci di vivere questa vita a pieno e nel migliore dei modi.
Per questo motivo credo allora che una paura per superarla, bisogna affrontarla.
Perché solo nel momento in cui ce la si trova davanti ci si rende conto di quanto in realtà sia stupida, di quanto non si debba temere e di quanto sia immotivata.
A volte però, per affrontare certe paure, siamo costretti a prendere determinate decisioni che possono farci del male, terribilmente male.
Ma sono comunque per una buona causa; non ci sono dubbi che alcune scelte ci faranno talmente male a tal punto da credere di non potercela fare, ma se si supera la paura, ogni cosa può tornare al suo posto e chiunque può ricominciare a vivere.
Bisogno avere il coraggio di affrontare determinate situazioni, perché la vita è questa, senza più e senza meno. Ci sono delle difficoltà, ci sono delle paura e se non si ha la forza, se non si ha il coraggio, si finisce per essere divorati da quelle nostre stesse paure angosciose.
Ma in fin dei conti, se tutto fosse più semplice, quale vittoria ci sarebbe? Nessuna.

Seduta ai piedi del mio letto, muovevo freneticamente ed ansiosamente le gambe, il mio cellulare accanto a me sul letto.
Erano passate circa un paio d'ore, o poco meno, ed io stavo letteralmente impazzendo ed andando nel panico perché Harry era andato via, non chiamava, o non tornava.
Credevo di aver rovinato tutto, ogni cosa. E questa volta era soltanto colpa mia, lo sapevo; questa volta non potevo dare la colpa a nessuno per aver rovinato la nostra storia, perché ero stata io a sputargli in faccia ogni errore, a ferirlo, a farlo sentire più in colpa di quanto già non si sentisse.
Ero uno schifo, mi sentivo uno schifo.
La paura di perderlo sempre più forte, sempre più reale; più il tempo scorreva e lui non tornava, più mi convincevo d'aver lasciato che tutto finisse.
Con Harry ormai non sapevo più se dopo una nostra litigata sarebbe tornato, non riuscivo più a convincermene. Ogni volta temevo quella fosse l'ultima.
Guardavo il cellulare sperando si illuminasse e mostrasse il suo nome da un momento all'altro, ma non succedeva mai e la paura aumentava, l'ansia mi uccideva, il terrore mi straziava.
Afferrai il cellulare, sbloccandolo, pensai che se non l'avessi chiamato allora, non l'avrei più fatto, ma mentre leggevo il suo nome la paura di essere respinta mi avvolgeva e mi faceva tremare le mani.
Sospirai e con il cellulare stretto al petto, scesi velocemente le scale.
Mio padre non era ancora tornato e sapevo bene il motivo. Probabilmente aveva pensato bene di rifugiarsi da qualche amico, consapevole di aver fatto una cazzata, consapevole di ricevere urla e insulti da parte mia non appena sarebbe tornato.
Mio padre mi voleva bene, lo sapevo, e sapevo anche che se l'aveva fatto, se ad Harry aveva detto tutto quello, era soltanto perché mi aveva vista soffrire più di chiunque altro, giorno e notte aveva curato le mie ferite, cullata dai miei incubi, e senza dubbio non avrebbe mai voluto che tutto quello si ripetesse ancora una volta.
Ma comunque era consapevole anche di quanto quell'avvenimento fosse un segreto così intimo per me, di quanto me ne vergognassi, di quanto me ne fossi pentita, che dirlo ad Harry senza il mio permesso, era stato da vigliacchi.
Mi aveva delusa.
Eppure ero contenta non fosse ancora tornato, perché probabilmente, con la furia e la preoccupazione destati dal fatto che Harry non si fosse ancora fatto vivo,  gli avrei detto l'impensabile, rischiando di dire anche quello che non avrei voluto dire.
Aspettavo soltanto che Harry tornasse, o che il dolore mi distruggesse, ancora.
Ma prima che il mondo potesse crollarmi addosso, qualcuno bussò forte alla porta, io corsi ad aprirla.
Il sollievo che mi avvolgeva, il cuore che batteva, le mani che tremavano ed Harry che davanti mi guardava preoccupato, con le labbra socchiuse e la fronte aggrottata.
Il bacio più ardente che ci fossimo mai dati ce lo scambiammo quella volta. Sapeva tanto di dolore, di desiderio, di amore.
Non avevo mai temuto così tanto qualcosa come il fatto che Harry non tornasse mai più.
Eppure mentre le nostre labbra restavano pressate l'una sull'atra, mentre Harry stringeva forte il mio viso tra le sue grandi mani ed io stringevo forte la sua camicia in due pugni, tutta quella paura sembrava essere lontana, quasi non fosse mai esistita.
Era tornato; quella volta era tornato.
"Scusa, amore." Disse, allontanandosi per pochi istanti dalle mie labbra.
Ma quello stacco non durò più di tanto; ci stavamo baciando come due matti, e lui di tanto in tanto si allontanava per così poco tempo, soltanto per chiedermi scusa.
"Sono stato uno stupido. Mi dispiace così tanto." La sua foce frenetica.
Afferrai le mani che teneva sul mio volto, stringendole tra le mie.
"No, scusami tu Harry, ti ho detto delle cose orribili." Risposi.
Accarezzai i suoi capelli e notai sullo zigomo destro un piccolo taglio dal quale gocciolava poco sangue.
"Cos'è successo?" Domandai, preoccupata.
"È solo un graffio."
Prima che me ne rendessi conto aveva sollevato il mio corpo, permettendomi di allacciare le gambe alla sua vita e le braccia attorno al suo collo.
Scosse vigorosamente la testa, "non sarei dovuto andare via, dovevo restare e dovevamo parlare."
Scossi a mia volta la testa e lo strinsi forte in un abbraccio, lasciando diversi baci sul suo collo.
Sembrava quasi non ci vedessimo da anni, invece erano passate soltanto poche ore. Ma io non riuscivo a smettere di stringerlo, quasi non riuscissi ancora a credere di averlo lì, così vicino, così reale.
"Siamo pessimi, così pessimi." Scherzai.
Che infondo a quello scherzo c'era tutta la verità.
Eravamo pessimi, pessimi ad amarci, a tenerci stretti, a non farci del male.
Harry sorrise, poi poggiò ancora le labbra sulle mie.
Quel bacio non fu i baci a stampo che fino a quel momento ci eravamo lasciati sulle labbra, quel bacio fu di più, quel bacio fu tutto. Tutto quello che io avevo bisogno, tutto quello che lui aveva da darmi: la sua vita, il suo cuore, la sua anima, la sua ragione.
Ansimai in cerca di un pizzico d'aria, ma per Harry non era mai abbastanza.
L'unica cosa che riuscì davvero a spezzare quel bacio e poi quel l'armonia che si era creata, fu l'arrivo di mio padre.
Tossì pesantemente, attirando l'attenzione di entrambi; Harry mi lasciò scivolare e nel momento in cui poggiai i piedi per terra, lo guardai: il suo volto si era teso, l'espressione rancorosa ed arrabbiata; mio padre era invece abbattuto, colpevole e consapevole.
Mi bagnai le labbra con la lingua, "mi aspetti di sopra, per favore?" Sussurrai all'orecchio di Harry.
Lui annuì, guardandomi negli occhi. Mi baciò la punta del naso, poi entrò in casa e sparì tra le scale.
L'atmosfera era cambiata: io e mio padre eravamo così distanti.
Ed era così triste, io che con mio padre avevo sempre avuto quel rapporto meraviglioso che chiunque vorrebbe, mi ritrovavo a guardarlo con, se non altro, delusione negli occhi.
Nonostante tutto, non riuscivo però ad avercela con lui completamente perché l'errore l'avevo commesso io e l'avevo commesso due volte: la prima tentando il suicidio, che era qualcosa che assolutamente mai avrei dovuto fare; la seconda nascondendolo ad Harry. Se io fossi stata al suo posto, avrei voluto saperlo.
Dio ci da la vita ed indipendentemente dal fatto che questo esista o meno, la vita resta comunque un dono che noi uomini siamo in dovere di custodire. Io in quell'anno non l'avevo custodita per niente.
Entrammo in casa, in silenzio; io con le braccia incrociate al petto, mio padre con la cravatta sfatta ed il capo chino.
"Juliet, tesoro..." Disse per primo.
Lo guardai, appoggiata al divano in salotto; sospirai.
"Posso capire perché tu gliel'abbia detto, ma spettava a me, papà."
Mi guardò, "non gliel'avresti mai detto." Rispose.
Sì, forse non gliel'avrei mai detto, ma sarebbe dovuta essere una mia scelta, ed amavo troppo Harry per potergli confessare una conseguenza tale dovuta alla sua assenza.
Annuii, sospirando e non aggiungendo altro, prima di salire le scale e lasciarlo pensare.
Non avrei combattuto un'altra battaglia quando ad attendermene ce n'era già una con Harry.
Ero sollevata del fatto che lui fosse tornato, ma avevamo tanto di cui parlare, tanto da confessare, tanto da chiarire.
Segreti da svelare, paure d'affrontare, scelte da prendere.

Macchiati di nero [HS]Where stories live. Discover now