Capitolo 21.

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"Perché un amore che ci si è lasciati scappare non è tra le cose da cui un giorno si potrà guarire,
non è un pensiero che da una mattina all'altra non sentirai più.
Un amore che ci si è lasciati scappare si infila nella testa e non te lo togli mai, nemmeno se ti sforzi di far finta che se ne sia andato.
C'è chi sarà nei nostri occhi anche quando ameremo altri.
C'è chi siamo destinati - condannati - a volere per sempre."
-M. Teresa Romeo.

Harry's pov.

La rabbia.
La rabbia è una tra le emozioni più precoci, insieme alla gioia e al dolore.
La rabbia è una delle emozioni più ostili, insieme al disprezzo e al disgusto.
La rabbia nasce dalla frustrazione, dalla negazione, dalla costrizione.
Nasce quando ci viene privato o sottratto qualcosa, quando ci viene imposto qualcosa, quando ci viene negato qualcosa.
La rabbia è feroce, è dirompente, è accecante.
La rabbia è un sentimento primordiale.
Talvolta ci arrabbiamo con gli altri, per averci fatto perdere quello stato di quiete mentale e per aver mandato ogni silenzio a puttane.
Talvolta ci arrabbiamo con chi amiamo, perché frustrati speriamo e ci aspettiamo che siano proprio loro a comprenderci e a capirci, anche quando non parliamo e non reagiamo.
Talvolta ci arrabbiamo con noi stessi, poiché siamo stupidi e agiamo per istinto.
In ogni caso, dobbiamo sempre trovare un capo espiatorio a cui dare la colpa, ci abbattiamo su qualcuno, o qualcosa, e sfoghiamo, a volte nel peggiore dei modi, questa nostra sofferenza.
Perché siamo esseri umani fatti di carne e di ossa, di poca resistenza e, nel mio caso, anche di poca pazienza.
La rabbia ci fa alzare il tono della voce, ci fa agitare, ci fa fremere e ci fa concepire parole crudeli, o altre volte semplicemente la verità.
Quando siamo arrabbiati il nostro corpo assume una postura rigida, tosta, pronta a difendersi o ad aggredire.
La rabbia ci rende violenti, spietati, cechi e sordi.
Da bambino quando chiedevo a mia madre un nuovo giocattolo, nonostante ne fossi pieno zeppo, e lei me lo negava, mi arrabbiavo, e allora strillavo, piangevo, battevo i piedi per terra e mi rifiutavo di camminare; facevo i capricci fino ad ottenere ciò che volevo, o continuavo ad essere arrabbiato fin quando mia madre non si sentiva in colpa.
Da adolescente quando chiedevo ai miei genitori d'uscire, ma mi veniva negata la possibilità, mi arrabbiavo, sbattevo le porte, urlavo ai miei e poi sgattaiolavo via dalla finestra.
Mi arrabbiavo quando litigavo con Juliet, perché lei mi mandava alla follia, perché l'amavo così tanto e mi arrabbiavo come riuscisse a rendermi così fragile; allora sbraitavo, gesticolavo, fin quando lei non tentava un approccio per fare pace, o fin quando non lo facessi io.
Ma tutta questa rabbia non era niente.
Ricordo bene la rabbia di quella notte, di quella notte che ha cambiato così tante cose in così poco tempo.
Era una rabbia disumana, atroce, accecante.
E se chiudo gli occhi, se lascio che la mia mente ricorra ai ricordi di quella notte, posso sentire il sangue ribollirmi nelle vene, fare fuoco e bruciarmi dentro.
Adesso che nemmeno tu ci sei, adesso che sono andato via, la rabbia si mischia all'angoscia e mi sento morire.
Era una rabbia che m'ha distrutto.

La musica di quel pub, forte ed assordante, era ormai lontana mentre mi allontanavo, correndo per le strade.
Avevo così tanta rabbia e così tanta paura.
La mia mente correva attorno migliaia di pensieri dove il centro era Juliet. Riuscivo soltanto a sentire la sua voce tremante e spaventata al telefono, riuscivo soltanto a pensare al suo volto e non riuscivo a smettere di darmi dello stupido. Avrei dovuto semplicemente dirle quello che cazzo accadeva, piuttosto che nasconderle ciò che mi turbava, arrabbiarmi e farla arrabbiare.
Ma odiavo farla preoccupare, odiavo immischiarla nei miei sporchi affari, non erano questioni che le riguardavano. Lei era così pulita, così bella, così ingenua e genuina, non meritava di stare dentro quel giro.
Avevo notato l'occhiataccia di Louis, quando al pub era arrivato James e da quel momento non ho potuto fare a meno di restare teso, in allerta. C'era Juliet e non potevo permettere che quel bastardo schifoso anche solo si avvicinasse a lei.
Avevo conosciuto James solo pochi mesi prima e avrei tanto voluto non averlo conosciuto.
Era spietato, era senza scrupoli, era senza regole ed un fottuto drogato ed alcolizzato.
L'avevo conosciuto ad una stupida festa, Juliet quella sera non era con me, ma il bastardo aveva saputo come conoscere ogni mio segreto, Juliet compresa.
Avevamo parlato, avevamo bevuto insieme, ma poi una cosa tira l'altra m'aveva venduto un po' d'erba.
Niente di più, eppure quest'uomo non m'era piaciuto sin dall'inizio, ma Louis insisteva tanto fosse soltanto un buon commerciante con qualche dipendenza di troppo, se capite cosa intendo.
L'abbiamo praticato un paio di volte, non che io fossi uno spacciatore, ma a volte mi capitava di fare qualche piccolo favore a Louis, che c'era un po' più dentro di me, tenendogli un po' di roba.
Una sera, James mi domandò lo stesso favore: tenergli un po' di roba nascosta da qualche parte; ed io non potei fare che accettare.
So che non avrei dovuto farlo, ma quando Louis diceva che era un fottuto commerciante e che ci sapeva fare, aveva ragione; sapeva come convincerti, con raggirarti, inoltre mi disse che era soltanto poca roba e che non l'avrei tenuta più di un paio d'ore.
Tenevo un capannone, in periferia, ed era lì che conservavo la roba che Louis a volte mi dava. Era a qualche ora dalla città, era isolato e mai nessuno c'andava. Fu lì che nascosi ciò che James mi diede.
Ricordo d'averlo minacciato quando m'affidò la sua roba, "questo è il primo ed ultimo favore che ti faccio, okay? Non voglio avere a che fare con te. Sono stato chiaro?"
E lui m'aveva sorriso ed annuito, come si stesse prendendo gioco di me.
I problemi iniziarono quando il capannone prese fuoco e con lui andò persa anche la roba di James.
Questa storia in realtà non mi è mai stata chiara, credevo impossibile che un capannone prendesse fuoco senza scintille, eppure non sono mai andato a fondo in questa storia, non mi importava più di tanto.
Ma a James sì, perché divenne furioso quando gli comunicai della sua perdita e quando mi rifiutai di rimborsarlo.
Mi seguì e lui con la sua banda mi riempirono di botte, fin quando non riuscii più ad aprire occhio; mi ritrovarono Zayn e Niall e mi riportarono a casa, dove rimasi per giorni. Ricordo la furia di Juliet quando venne a trovarmi e dovette guardarmi ed assistermi tra i lamenti senza poter sapere i motivi delle mie condizioni.
Mi puntò una pistola addosso, ma non so esattamente per quale ragione non premette quel grilletto; avrei preferito mi uccidesse quella volta, piuttosto che facesse del male o toccasse la mia Juliet.
Ma a lui no, a lui non bastava farmi del male fisicamente, o mettermi paura; lui voleva di più.
Lui voleva vedermi soffrire e farmela pagare per la mia strafottenza nei confronti della sua roba perduta.
Era pazzo, era pericoloso, era disgustoso.
Ed è per questo che si informò su Juliet, aveva capito della mia debolezza.
Allora seguì lei.
Juliet sapeva poco di questa storia, perché meno sapeva e meglio per entrambi era; sapeva di Louis e a volte si preoccupava, preoccupazione che però diminuì quando Louis conobbe Margaret, il suo angelo, che l'aveva salvato. Juliet sapeva che di tanto in tanto facevo lui dei favori, e a volte s'arrabbiava, ma io la rassicuravo sempre che non ci fossero problemi e paure di cui preoccuparsi, allora lei mi sorrideva e mi diceva che aveva soltanto paura perché mai al mondo avrebbe voluto mi accadesse qualcosa; allora i nostri ti amo erano abbastanza.
Ma lei non sapeva assolutamente nulla di James, non le avrei mai parlato di una tale feccia.
Lei, che nella sua ingenuità e tenerezza era stata derubata di ciò che le apparteneva.
James l'aveva violata, le aveva fatto del male, l'aveva stuprata.
Ed io ero arrivato troppo tardi.
Lei era stata tante volte il mio angelo, la mia salvatrice, io non ero riuscito ad esserlo.
Louis stava cercando di calmarmi, mentre io invece premevo violentemente il piede sull'acceleratore. Rose nei sedili posteriori continuava a chiedere spiegazioni.
Accostai l'auto quando vidi quello che i miei occhi non avrebbero mai voluto vedere: Juliet piangeva, coperta da un uomo, che sapevo fosse James, che la stringeva.
Corsi come un matto, strappando via il corpo di quel vile bastardo da Juliet, che cadde a terra, piangendo, urlando quando anche Rose provò a calmarla.
Ma a me poco importò, perché venni travolto da una rabbia sconvolgente, disperata, feroce.
Non ci vidi più, non mi controllai più.
Ricordo d'averlo riempito di botte, d'avergli sputato in volto, d'avergli sbattuto la testa sull'asfalto.
"Figlio di puttana, non avresti dovuto! Non lei!" Avevo urlato.
Ma James era un malato, perché sorridendo con il volto distrutto m'aveva detto "è davvero una bella scopata la tua ragazza."
E allora l'ho picchiato ancora, ho spinto Louis quando ha provato a fermarmi ed ho ripreso a tirare pugni e calci sul corpo di James.
C'era solo la rabbia e nient'altro. La voce di Louis che mi chiedeva di smettere, quella di Rose che provava a calmare Juliet e l'amore della mia vita che piangeva, erano soltanto fastidiosi sottofondi.
"Harry, fermati! Così lo ammazzi!" Aveva urlato ancora Louis.
"Io lo voglio ammazzare!" Avevo risposto, sbattendo ancora la testa di James sull'asfalto.
Non so come non morì quella notte, quel bastardo, ma so che se fosse morto, non mi sarebbe importato.
Louis mi tirò per le braccia e mentre io prendevo fiato mi sussurrò all'orecchio le uniche parole capaci di placarmi.
"Harry, Juliet ha paura e sta piangendo, così la spaventi soltanto di più. Lei ha bisogno di te." Sussurrò al mio orecchio.
Allora realizzai ciò che stava accadendo ed il pianto di Juliet divenne chiaro al mio udito, così come al mio cuore, che batté forte.
Mi divincolai dalla presa di Louis, correndo verso di lei.
Se ne stava rannicchiata a se, con le braccia strette attorno alle sue gambe e le spalle scosse dai singhiozzi.
Aveva il volto nascosto, il vestito distrutto.
Rose, con una mano sulla sua schiena le carezzava delicatamente le spalle, cercando di calmarla mentre la guardava preoccupata.
Io avevo bisogno di vederla in volto. Allungai allora una mano, ma non appena provai a spostarle il braccio, urlò.
"Non mi toccare, per favore!" Le sue spalle si scossero ancora, vigorosamente.
"Juliet, amore mio, sono io, Harry." Sussurrai, dolcemente.
Solo allora lasciò guardarsi ed il suo volto mi distrusse: il trucco le era colato, rigato dalle lacrime ed una grande macchia rossa le colorava la parte sinistra del volto. Sapevo quel segno sarebbe presto diventato evidente; avrei voluto urlare, arrabbiato per quello che le era accaduto.
L'unica cosa a trattenermi dal tornare indietro e picchiare ancora James fino a farlo morire, furono gli occhi della mia amata: mi stavano pregando di salvarla, sapevo che in me, nonostante tutto, riconoscesse il suo salvatore.
Eppure quando allungai ancora una mano per sfiorarle il volto, lei indietreggiò e ricominciò a piangere.
"Juliet..."
"Per favore." Sussurrò.
Mi si spezzò il cuore.
James non l'aveva resa soltanto così fragile, l'aveva anche resa così spaventata.
Non riuscii più a toccarla, lei non me lo permise, o almeno non subito.
Passarono settimane prima che si lasciasse anche solo accarezzare dalle mie mani dispiaciute e sporche del sangue dell'uomo che le aveva fatto del male.
Ma le cose non migliorarono affatto.
Perché quella notte fu soltanto l'inizio della nostra fine.
I giorni passavano ed io più la guardavo e più mi sentivo soffocare. Ogni volta che posavo i miei occhi sul suo volto, ogni volta che sfioravo il suo corpo, riuscivo soltanto a vedere il male che le era stato fatto, tutto il dolore che le avevo procurato nel giro di una notte.
Quello che le era accaduto era qualcosa che si sarebbe sempre portata addosso, qualcosa che le avrebbe cambiato la vita ed io mi sentivo così colpevole. I sensi di colpa mi stavano divorando da vivo ed io non riuscivo più a respirare.
Non riuscii mai davvero a darle conforto, non riuscii mai davvero a stringerla e a dirle che le cose da quel momento in poi sarebbero andate bene. Solo una notte la strinsi a me, dopo che lei mi si era inginocchiata davanti e mi aveva pregato di farle passare quel dolore. Fu la visione più straziante e che potessi vedere: la mia dolce e tenera Juliet in ginocchio, spezzata dal dolore, che chiedeva perdono e pietà nonostante non possedesse alcuna colpa. Ma io non parlai mai, non proferii alcuna parola, non ci riuscii; l'unica cosa che feci fu abbracciarla fin quando il suo pianto si placò e si addormentò.
Ma lei non stava bene ed io non ero più in grado di consolarla; mi convinsi allora che l'unico modo per renderla ancora felice e serena era a lasciarla andare.
I nostri sguardi non erano più gli stessi, le carezze, gli abbracci, le parole, non erano più gli stessi, erano più silenziosi, più bugiardi, più spaventati.
Quelli non eravamo più noi.
La nostra immagine era ormai sfocata e dissolta.

Macchiati di nero [HS]Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz