Capitolo 11.

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"Io, no, non ho più volontà, so soltanto quello che sento.
E voglio ancora te, che mi fai cedere.
E se mi sfiori, sono al buio."
-Niente tranne noi, Annalisa.

Harry's pov.
Mi sono svegliato su un lettino bianco dentro una stanza altrettanto bianca. Era palesemente una stanza d'ospedale.
Ricordo bene la luce accecante non appena aprii gli occhi ed il dolore allucinante alla testa.
Misi a fuoco la stanza dove mi trovavo: era tutto tristemente e fottutamente bianco.
Gli ospedali, sin da bambino, mi avevano sempre trasmesso angoscia.
Avevo solo quindici anni quando vidi morire dentro una stanza come quelle mio padre e solo pochi anni dopo mio fratello. Mio padre aveva la leucemia e purtroppo l'aveva tramandata a mio fratello. Per certo, quelli non erano periodi che volessi ricordare. Saranno stati forse gli anni più brutti della mia vita, per non parlare di quelli dopo; credo di aver avuto pace solamente quando incontrai Juliet, lei era quello di cui avevo bisogno: spensieratezza, felicità, allegria, il tutto in un metro e settanta di pura bellezza.
Ne avevo avute di ragazze, perché come spesso succede ad un'adolescente sottoposto allo straziante dolore della morte di un genitore e poi di un fratello, anche io mi ero lasciato andare ad alcol e a quintali di ragazze, ma mai nessuna era come lei. E anche se dopo anni di baldoria, c'erano stati gli anni di recupero in cui mi rendevo conto di star facendo una cazzata e di star mandando la mia vita a rotoli, e prima ancora d'incontrarla avevo, forse, amato un'altra donna, nemmeno lei era come Juliet.
A volte mi chiedevo cosa sarebbe successo se io non l'avessi mai incontrata, ma poi ripensavo a com'era la mia vita da quando lei non c'era e mi rendevo conto che quella era la prova che avrebbe fatto tutto palesemente schifo. Ecco perché dico che la vera pace nella mia vita è arrivata insieme alla mia Juliet.
Ed è anche per questo, che dopo esserci lasciati non c'ho nemmeno provato a rimpiazzare la sua assenza. Era impossibile.
Nessuno mai sarà speciale almeno la metà di quanto lo sei stata, e lo sei ancora oggi, tu, Juliet.
Poi mi guardai attorno, e sul mio braccio una flebo attaccata. Ero ancora con i miei vestiti, almeno quelli.
Prima che potessi anche solo provare ad alzarmi, solo il tempo necessario per pensarlo, il mio caro amico Louis entrò dalla porta con il cellulare attaccato all'orecchio mentre ringraziava e salutava qualcuno.
Quando i suoi occhi si posarono sul mio corpo disteso sul lettino, si spalancarono e presto si avvicinò a me.
"Cristo Dio, Harry!" quasi urlò, "mi hai fatto prendere un cazzo di accidente. Ho perso dieci anni di vita con una merda di chiamata dall'ospedale."
Si sedette sulla sedia accanto al mio letto, con le mani tremanti e gli occhi ancora leggermente sgranati.
"Perché ti hanno chiamato? Non era necessario." Trovai la voce per dire.
"Come no?! Hai dieci fottuti punti dietro l'orecchio! E l'unica persona qui in America che sono riusciti a rintracciare sono io. Grazie al cielo parto domani." Sospirò.
Mi ci vollero due buoni minuti per concepire cos'avesse detto davvero. E non appena realizzai le sue parole mi alzai di scatto, pentendomene subito dopo a causa di un forte giramento di testa mischiato ad un dolore straziante proprio sotto l'orecchio.
"Dieci punti? Ma che cazzo? Com'è successo?" Strillai.
Louis mi aiutò a distendermi, dandomi un colpetto sulla spalla.
"Sei svenuto in un bar e quando sei caduto, non dirmi come perché non ne ho idea, hai sbattuto la testa sullo spigolo del tavolo aprendoti la testa letteralmente a metà." Spiegò pazientemente Louis.
Imprecai, strizzando gli occhi.
Allungai una mano dietro la testa per toccare l'ingombrante fasciatura che ricopriva parte della pelle sotto l'orecchio sinistro.
"I medici dicono che dalle tue analisi è tutto apposto e che lo svenimento è stato dovuto ad un abbassamento di pressione molto probabilmente causato dallo stress, o dalla mancanza di alimentazione."
Le parole di Louis sapevano tanto di rimprovero. Io chiusi gli occhi, cercando in tutti i modi di cacciare via quel dolore fastidioso.
Sia io, che Louis, sapevamo che la principale causa del mio stress era il mio asfissiante amore per Juliet.
Era un amore malato. Ma era anche l'amore più vero che io avessi mai provato, l'amore più vero mai esistito. E lo sapevo, perché lo sentivo, quanto questo amore fosse potente, quanto fosse feroce e distruttivo. Ma era anche da questo amore che traevo la forza per andare avanti.
"Aiutami ad alzarmi, ho bisogno d'aria."
"Scordatelo, sei troppo debole anche per parlare, figuriamoci stare in piedi." Louis scosse la testa e mi spinse per le spalle.
Nonostante ciò, scansai le sue mani e riuscii a mettermi seduto sul bordo del letto.
"Perché sei così tes-" Louis venne interrotto dalla porta della mia stanza che veniva spalancata, entrambi ci girammo verso di questa.
Successe tutto molto velocemente, nemmeno il tempo necessario di capire cosa in realtà stesse accadendo, che in pochissimo tempo Juliet, l'amore della mia vita, aveva varcato la porta della mia stanza ed aveva urlato qualcosa tipo il mio nome e poi era letteralmente corsa ad abbracciarmi.
Se c'è una cosa che non dimenticherò mai è l'immensa sensazione di pace che mi avvolse non appena il suo corpo aderì al mio, non appena il suo profumo invase le mie narici e le sue mani furono tra i miei capelli. Un impatto, pochi istanti.
Era come se dopo anni di lunga agonia, io stessi respirando di nuovo.
"Harry." Sussurrò.
Strinse le braccia attorno al mio collo e sussurrò ancora il mio nome. Non sapevo perché fosse lì, cosa ci facesse, o chi l'avesse chiamata.
Ma non mi importava un cazzo, quando potevo stringerla ancora e riprendere fiato.
Fu allora che mi ricordai come si facesse a vivere.
"Harry," afferrò il mio volto con le mani, "non t'azzardare mai più a fare una cosa simile, i-io impazzirei se dovesse succederti qualcosa."
I suoi occhi spalancati e spaventati, guardavano i miei stanchi e confusi. Non ci stavo capendo niente, ma non era importante, decisamente no.
La mia mente riusciva soltanto a pensare al modo in cui mi stava stringendo, alla forza che aveva messo in quell'abbraccio spacca ossa, a come mi fossi sentito bene sin dal primo istante in cui m'aveva sfiorato.
Avevo dimenticato quanto fosse bello poterti stringere al mio petto.
Non risposi al suo apparente rimprovero, ma semplicemente strinsi le braccia attorno alla sua vita e l'abbracciai ancora. Quel momento avrei voluto non finisse mai, sarei rimasto volentieri la mia intera esistenza in quel modo: le sue braccia magre a stringere con tutta la forza in lei il mio collo, e le mie braccia marchiate di nero e robuste a stringere la sua vita.
Era così piccola, così fragile tra le mie mani.
Nessun parola doveva essere detta, chi se ne importava di cosa fosse successo, a me bastava soltanto poterla riabbracciare dopo anni di lenta agonia, di notti insonni, di tormenti.
Per certo questo non era l'abbraccio che avevo sognato ogni notte se mai l'avessi rivista, o meglio, le sensazioni erano quelle, ma le circostanze no di sicuro. Voglio dire, una stanza d'ospedale, io che a stento riuscivo a capire qualcosa e dieci fottuti punti sotto il mio orecchio, non erano l'atmosfera perfetta per il trionfo di un amore.
Eppure, per quanto potessi stare male, con la testa che martellava ed il senso di nausea causato del forte e bruciante odore di disinfettante all'interno della stanza, quella era la sensazione migliore che potessi provare. Non c'erano paragoni. Era grande, forte e basta.
Baciai la sua spalla e lei invece baciò la mia mascella.
Brividi.
"Dico sul serio, Harry." Mi guardò negli occhi, "basta."
"Okay, anche se non so di cosa tu stia parlando. È stato solo un calo di pressione, nulla di allarmante." Mormorai.
Juliet sospirò e poi appoggiò la sua fronte sulla mia. I nostri respiri pesanti, i nostri occhi intrappolati.
"Quando Louis mi ha chiamata per dirmi che eri in ospedale, giuro, che per poco non svenivo anch'io." Ridacchiò.
Io le sorrisi e le sfregai una mano sulla schiena, poi però aggrottai la fronte ed inclinai la testa.
"Louis? Ti ha chiamata lui?"
"Sì."
Forse non l'avrei mai ringraziato abbastanza per aver fatto sì che Juliet mi stringesse ancora tra le sue esili braccia.
Cercai Louis dietro le spalle di Juliet con gli occhi e lo vidi sorridere sulla soglia della porta, mentre guardava me e lei abbracciati.
"Grazie." Gli mimai con le labbra.
Lui mi sorrise, annuendo e poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Juliet intanto aveva sprofondato la testa nel mio collo e aveva continuato a stringere con forza il mio corpo.
Non mi importa di niente.
Ti prego, non farlo.
Ti prego, non lasciarmi andare.
Mai più.
Mai, mai, mai e ancora, mai.
Ma il nostro momento venne interrotto dalla porta che si apriva ancora, e questa volta ad entrare furono un uomo sulla cinquantina con addosso un camice bianco ed in mano una cartella clinica, ed una signora con una divisa verde. A loro seguito c'era anche Louis.
Juliet si staccò dal mio corpo, ma non la lasciai andare lontano, perché strinsi il suo avambraccio nella mano e quando mi guardò negli occhi, con questi, silenziosamente, le pregai di non andare.
"Sono qui." Sussurrò.
Tremai quando la sua mano mi portò i capelli dietro le orecchie.
Poi entrambi ci girammo verso il dottore, che dopo aver controllato qualunque cosa ci fosse scritta su quella cartella, aveva dato un piccolo colpo di tosse per richiamare la nostra attenzione.
Ed il mondo che senso avrebbe se tu non ci fossi?
Il dottore annuì in mia direzione, prima di parlare.
"Allora... Harry, giusto?" Annuii, "come stai?"
"Bene, grazie."
"Okay." Si avvicinò a me, "allora, adesso che stai bene devi promettermi che almeno per un paio di giorni starai a riposo. Niente stress ed una buona alimentazione. Hai avuto un forte calo di pressione che ha causato lo svenimento e non curi un malessere con altro malessere. Sono stato chiaro?"
"Va bene." Mormorai.
Juliet si mosse nervosamente accanto a me. Sapevo quanto volesse dire qualcosa, ed il suo non riuscire a stare ferma mi fece quasi ridere.
"Un paio di giorni non sono pochi?" Finalmente disse, "Ha anche avuto dieci punti." Borbottò.
Sorrisi tirandola per la mano, lei non staccò gli occhi dal dottore che la stava guardando attento.
Ed è più forte di me. Non ci riesco a starti lontano.
Poggiai la fronte sul palmo della mia mano, ridendo.
"Starò bene, Juliet."
"Sta zitto." Sussurrò.
Ridacchiai ancora e lei provò a sopprimere un sorriso, mordendosi il labbro inferiore.
"Facciamo così, quando fra una settimana tornerai a controllare i punti, faremo qualche altro controllo e ti dirò se potrai tornare a fare tutto quello che vuoi. Intanto, per almeno due giorni, riposo assoluto."
Juliet rispose ancora prima che potessi farlo io, confermando la decisione del dottore, che dopo essersi assicurato che fosse tutto apposto, ed avermi dato una scherzosa pacca sulle spalle, andò via.
Così restammo Juliet, io e Louis.
Fu allora, mentre la guardavo ammaliato da tanta bellezza, che mi resi conto che Juliet aveva i capelli bagnati ed i vestiti umidi.
"Perché sei bagnata?" Domandai.
Mi misi in piedi, ondeggiando un po' prima di riuscire a mantenere l'equilibrio con il suo aiuto.
"Dovresti stare seduto, Harry." Mi rimproverò.
"Sto bene." Borbottai.
Juliet si avvicinò a me, poggiandomi una mano sulla spalla.
"Allora?"
"Piove fuori." Rispose alla mia domanda.
Poggiai le mani sui suoi fianchi, lei accennò un sorriso.
Nessuna esitazione.
"Avresti potuto ammalarti. Devi asciugarti."
"Non c'era tempo per preoccuparmi di ripararmi."
Capii si stesse riferendo alla telefonata di Louis, al fatto che probabilmente anche lei, come il mio migliore amico, si era spaventata a morte ed era corsa subito in ospedale.
Sei la mia vita. Nonostante tutto, faresti ancora di tutto per me.
Scavai la testa nell'incavo del suo collo, perché gli abbracci di prima non erano abbastanza, perché adesso volevo stringerla ancora e per tutta la notte.
E non l'avrei lasciata.
Sei mia.
Juliet si lasciò andare, strinse la mia maglietta in un pugno e non si allontanò mai. Rimase stretta al mio corpo, abbandonata a ciò che stava provando.
E non è finito?
Dimmi quello che senti, dimmi come ti senti.
Perché io divento pazzo per quanto ti amo.
Baciai le sue guance, mentre con le dita scorrevo lungo la sua spina dorsale.
Voglio godermi a pieno questo momento.
Lasciati baciare, stringere, toccare, amare.
Non stavo ragionando.
Lei aveva un ragazzo, eppure era così mia in quell'attimo. Mia come un tempo. Soltanto ed esclusivamente, mia.
Portò una mano tra i miei capelli e ne tirò le estremità, io le strinsi i fianchi e deglutii.
Cosa stiamo facendo?
Poi Louis tossì, richiamando la nostra attenzione.
Ci staccammo, Juliet si allontanò e si risistemò la maglia, io deglutii.
Il fuoco stava bruciando.
Louis mi guardava severo, a me, invece, non importava un cazzo.
Era quello di cui avevo bisogno: la certezza che lei infondo fosse ancora mia.
Avevo visto il suo corpo reagire al mio tocco, era diventato caldo e le sue mani mi stringevano, i suoi occhi si erano chiusi, serrati, il suo respiro era diventato pesante, il suo cuore aveva accelerato.
Tutto quello era solo ciò che lei voleva.
L'avevo visto, l'avevo sentito, l'avevo intuito.
Il suo corpo stava richiamando la mia attenzione, stava urlando silenziosamente quanto desiderasse essere mia ancora e a tutti gli effetti.
Forse non ti ho mai persa.
Ma Juliet si ricompose.
"F-forse è meglio che vada..." Deglutì, "sono andata via di casa senza dire nulla a mio padre, sarà preoccupato."
Louis annuì e le sorrise. Ma io no, io scossi la testa e le afferrai l'avambraccio. Lei si voltò a guardarmi con quegli occhi tormentati.
"Non andare, ti prego." Sussurrai.
Scosse piano la testa, sul suo volto un velo di tristezza.
"Devo."
Allora annuii e lei senza aggiungere altro, senza fare altro, andò via.
Era andata via, ancora. Lontano da me, vicino a lui.
In quella piccola stanza d'ospedale calò il silenzio. Sentivo gli occhi di Louis addosso, mi stavano rimproverando della mia avventatezza.
Louis aveva sempre sostenuto la nostra storia d'amore, mi aveva sempre detto, anche se in modo a volte troppo brusco ma veritiero, quanto fossi stato stupido a lasciarla andare. Ma Louis era anche un forte sostenitore che un vero uomo non seduce una donna già impegnata.
Un'idea forse un po' antiquata, eppure così giusta.
"Che c'è?" Chiesi bruscamente.
"Cosa stavi facendo, Harry?"
Mi appoggiai ai piedi del letto ed incrociai le braccia al petto.
"Nulla di male, erano solo abbracci e qualche innocuo bacio, era quello che anche lei voleva."
"No, Harry! Non è così che funziona!" Mi sgridò.
"Louis, l'hai visto anche tu! È ancora mia! Non l'ho mai persa, è mia, soltanto mia." Sbottai.
Louis prese a camminare avanti ed indietro nella stanza scuotendo la testa vigorosamente.
"Hai ragione. È vero." Si fermò, "ma pensi che questo, che abbindolarla con baci e carezze e forse altro, sia il modo giusto?" Abbassò il tono della voce, "non l'ho fatta venire per questo. Ma perché capisse che comunque sarai sempre e solo tu l'uomo da cui lei correrà. Volevo che parlaste, ne avete bisogno."
Sospirai, abbassando il capo verso le mie mani intrecciate.
"È soltanto la mia tenera Juliet, ho bisogno di lei in tutti i sensi, anima e corpo." Sussurrai, "e a volte ho così tanta paura che abbia dimenticato cosa eravamo." La mia voce un piccolo sussurro.
Il fatto era che non avevo soltanto paura, ma ne ero completamente terrorizzato. Mi spaventava a morte che lei non l'avrebbe mai capito quanto fossi dispiaciuto, o quanto l'amassi ancora. E peggio ancora, ne sarei uscito distrutto se avessi capito che si era dimenticata di noi. Ecco perché quella sera agii in quel modo: baci e carezze, pur essendo anche troppo avventati dopo il nostro drammatico abbandono, erano l'unico modo che conoscevo per capire se lei avesse dimenticato.
Lei poteva mentirmi, poteva aver imparato a farlo durante la mia assenza, ma il suo corpo non ci sarebbe mai riuscito, non mi avrebbe mai ingannato.
Louis si sedette accanto a me sul letto, dandomi qualche pacca sulla spalla.
Ed io piansi. Piansi perché forse Louis aveva ragione, piansi perché nonostante tutto io avevo bisogno di lei. Piansi perché mi mancava, mancava ad ogni fibra di me stesso. Mi mancava da togliermi il fiato. Piansi perché per me non ci sarebbe mai stata pace se non con lei.
Ma ce l'avrei fatta, avrei giocato sporco se necessario, ma volevo lei ancora al mio fianco.
Come io avevo bisogno di lei, anche lei aveva bisogno di me e non esisteva al mondo che questa volta la lasciassi andare.
Questa volta non scappo, non mi arrendo, mi gioco tutto.
Indosserò l'armatura, o scenderò in campo a mani nude, non importa.
Non c'è vita senza te.

Juliet's pov.
Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, diceva che nell'uomo gli istinti fondamentali, sui quali si basano tutti gli altri, sono l'istinto alla vita e quello alla morte.
L'istinto alla vita, creare e mantenere in vita, l'innato bisogno di trarre gioia e piacere.
L'istinto alla morte, uccidere e distruggere, l'innato bisogno di rivivere momenti di tristezza e dolore.
Questo spiega perché quella sera sono corsa da lui, da Harry, senza pensarci due volte.
È l'istinto alla vita, legato all'innato bisogno di trarre gioia e piacere, che mi ha spinto tra le sue braccia, che mi ha spinta a correre da lui, che mi ha spinto a stringerlo come non facevo da tempo.
Ed è l'istinto alla morte, legato all'innato e, oserei aggiungere, dannato bisogno di rivivere esperienze di dolore e tristezza, che mi ha spinta ancora di più a sprofondare il volto tra le sue braccia, a spegnere qualsiasi altro pensiero, ad abbandonare il mio corpo al suo, a considerare soltanto, nemmeno più la mia, esistenza su questo pianeta.
Non c'è ragione, o razionalità, che tenga con te, mio amore.
L'istinto non è frutto di apprendimento, di pensiero, di scelta personale, ma è un rigido rapporto psichico tra la mente e ciò che essa desidera.
Evidentemente, la mia mente era lui ciò che desiderava, ardentemente, segretamente.
Ma non lo nascondo, non nascondo che nell'istante stesso in cui mi sono catapultata tra le sue braccia, un brivido ha scosso il mio corpo ed attraversato la mia spina dorsale.
Perché lui era sempre stato il mio rifugio, il mio posto sicuro, la mia casa.
M'ero trovata così tante volte a scappare da lui, dal ricordo di noi, perché non sopportavo l'idea che tutto quello non ci fosse più.
Ma quando mi ritrovai tra le sue braccia, sentii come se il dolore di ogni singolo giorno passato senza di lui, si fosse disperso nel nulla. Il vuoto sembrò sparire, come se non fosse mai esistito.
Come quando il cielo è colorato dall'arcobaleno, dopo una tempesta. Quei colori ti riempiono il cuore e ti dimentichi del diluvio.
In quel momento non c'era più dolore, non c'era più sofferenza, non ce n'era mai stata.
I pezzi del mio cuore erano tutti al loro posto.

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SONO LORO, SONO LORO AHHH!
Parlo della foto ahah
Non sono bellissimi? Io li amo, ciao.
È lei la ragazza di cui vi parlavo, la ragazza del video, Chanel Celaya.
Sono brava con Photoshop, vero?
Ho anche cambiato copertina (per la seconda volta), ma non mi convince molto, quindi probabilmente presto ne vedrete un'altra ancora, abituatevi ahah.
Comunque, volevo farvi una domanda. Ma voi avete capito, o avete idea del perché si sono lasciati? Sono curiosa di sapere se avete qualche idea!
Un bacio e alla prossima.
Endless love. xx

Sono sempre molto graditi piccoli voti e tanti commenti, PER FAVORE! :)x

Macchiati di nero [HS]Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz