Capitolo 27.

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"For your eyes only, I'll show you my heart.
For when you're lonely and forget who you are.
I'm missing half of me when we're apart.
Now you know me, for your eyes only."
-If I could fly, One Direction.

E se me l'avessero raccontato, non c'avrei mai creduto.
Se mi avessero detto che io ad Harry avremo dovuto superare certi limiti, certe soglie di dolore, per riuscire a stare insieme, non ci avrei creduto.
Tempo fa, quando ancora nessun muro era crollato e nessun cuore si era spezzato, avevo una tale fiducia sulla nostra storia. Credevo che nemmeno un uragano avrebbe potuto abbatterla.
E invece con il tempo mi sono scoperta preda di un dolore lancinante, prigioniera di un sentimento dalla quale non si fugge; ho scoperto che bastava così poco per rendere entrambi, sia me che Harry, in polvere, distruggendo a sua volta quel nostro grande amore.
Eppure, è stato proprio quest'ultimo, il nostro grande amore, a permetterci di sopravvivere.
Personalmente una cosa che, quand'eravamo lontani e distanti, mi teneva in piedi, era la potenza di quel mio amore spietato nei suoi confronti.
Ma non c'ho mai creduto sulla possibilità di un suo ritorno.
Quando poi invece è apparso, come un'onda, mi ha travolta, mi ha sbattuta contro lo scoglio, mi ha fatto del male ancora e ancora; ma il mare quando poi è calmo, ti culla. Harry mi ha cullata.
Ci siamo entrambi urlati a squarciagola cose che non avremmo mai pensato di dirci, come il mare, abbiamo sentito il nostro cuore infrangersi ancora e continuamente su quei scogli che erano il passato, ci siamo mancati, ci siamo avuti, abbiamo peccato, abbiamo entrambi dovuto cadere in ginocchio e crollare, sentire il nostro cuore essere strappato dal petto, buttato a terra e calpestato, per capire quanto questo "io e lui lontani" facesse male. Abbiamo desiderato morire, pur di non passare un altro istante a sentire questo dolore, questa sensazione.
Dico abbiamo perché lo so, perché l'ho visto quella notte quando è crollato distrutto davanti ai miei occhi, nei suoi, quanto gli ha fatto male e quanto continuava a fargliene.
Harry, nonostante non sembrasse, era così fragile.
A volte mi capitava di pensare come un'anima così straziata come la sua, potesse essere in grado di dare tanto.
Harry mi aveva dato tutto se stesso in quegli anni, aveva continuato a farlo per tutta la vita.
E l'aveva fatto senza che io me ne rendessi conto; in quegli anni insieme mi aveva fatto credere di essere lui a dirigere quella storia, ad essere lui quello forte, ma poi ho capito che mi sbagliavo.
Ho capito che non c'era nessuno a dirigere, eravamo soltanto due anime sperdute che, però, si sostenevano a vicenda: lui indicava la mia strada, io indicavo la sua.
Ho capito che nonostante l'infinito tempo passato insieme, avevo ancora molto da imparare, molto da conoscere in Harry.
Non smetti mai di conoscerla una persona.
Ma eravamo insieme, era questo quello che contava.
O almeno così credevo.

Mi svegliai, come al solito, tra il cinguettio degli uccelli ed il leggero vento che entrava dalle finestre e spostava i miei capelli.
La stanza di Harry era silenziosa e vuota, lui al mio fianco quella mattina non c'era.
E nonostante fossero ormai passate più di due settimane da quando Harry m'aveva promesso che da quel momento in poi a prendermi ci sarebbe stato lui, andavo nel panico quando mi svegliavo e lui non c'era.
Fu per questa ragione che saltai giù dal letto, correndo per le stanze, cercando il suo corpo, il suo calore, il suono del suo cuore che batteva veloce quand'era accanto a me.
Era un panico infondato, perché ogni volta lo ritrovavo. Lui non andava mai via, lui manteneva la sua promessa.
Una mattina, mi ritrovò a piangere seduta per terra, in un angolo della mia stanza. L'avevo cercato per tutta la casa, ma lui non c'era. E quand'era tornato si era spaventato come un pazzo nel trovarmi in lacrime sul pavimento, ed io scoprii fosse soltanto uscito a comprare la colazione.
Mi sentii una tale stupida quel giorno.
Lo ritrovai anche quella mattina, di spalle a preparare la colazione.
Lo guardai in silenzio, mentre lui con le labbra tra i denti preparava le miei uova strapazzate ed i suoi pancakes.
Da quand'eravamo tornati insieme passavamo ogni istante insieme, come se stare lontani non fosse ormai più possibile; restavo a dormire ogni notte da lui, nonostante la disapprovazione di mio padre perché tra quei due non sarebbe mai scorso buon sangue, e tutte le mattine, si svegliava presto per prepararmi la colazione.
Avevamo parlato tanto, ma non abbastanza. Eppure mi convinsi che adesso avevamo tutto il tempo a disposizione per toccare e ripercorrere giorni passati e momenti dimenticati, ed affrontarli insieme.
Mi avvicinai piano, cingendo la sua vita con le mie braccia e lasciando un bacio tra le sue spalle.
Sentii la sua schiena vibrare quando, con voce roca e bassa, mi diede il buongiorno.
Sorrisi, stringendo la presa sui suoi fianchi e sentendo il panico di quella mattina, svanire dal mio corpo, lasciando solo una sensazione di tranquillità, quiete e pace.
"Buongiorno." Sussurrai.
Afferrò le mie mani, facendomi mollare la presa e girandosi per darmi un bacio.
Sorrisi sulle sue labbra ed ancora una volta ogni peso scivolò via dalle mie spalle ed io respirai a pieni polmoni.
"Allora lascia che ti baci per tutta la vita, ogni volta che avrai paura."
Con la mano sul suo volto, lo avvicinai a me, approfondendo quel bacio ed in quella stanza lo schiocco delle nostre labbra solamente udibile. Un suono che in quel silenzio amavo da morire.
Harry strinse le mani sui miei fianchi, prima di sorridere ed interrompere quel bacio. Io non mi fermai e lo baciai sul volto, sul scollo, sulle spalle. Con le mani frenetiche ed il cuore impazzito.
"Amore." Disse, ridacchiando.
Amavo quel piccolo nomignolo, amavo la sua voce mentre lo pronunciava, amavo quel suono da poter pure morire pur di sentirlo, amavo le sue labbra ed il loro modo di muoversi nel momento in cui mi chiamava in quel modo.
Mi trasmetteva tanto di quell'amore e di quell'affetto da essere impossibile da raccontare.
Mugolai abbracciandolo e chiudendo gli occhi sul suo petto.
"Dormito bene?" Mi domandò, dolcemente.
Annuii, mentre lui mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima di incrociare le braccia attorno al mio collo.
"Ti amo, bellissima." Sussurrò al mio orecchio.
E sussurrarmi tanti di quei ti amo, era ormai diventato indispensabile per lui, tanto per me quanto sentirmeli dire.
Lo faceva più spesso, lo faceva tutte le mattine, tutte le sere, quando mi abbracciava, nel silenzio, dopo che mi baciava.
Erano come tante piccole promesse e senza di queste nessuno dei due sembrava essere più in grado di sopravvivere.
Io non rispondevo sempre, o non glielo dicevo tante volte quante lui lo diceva a me, ma questo sembrava non pesargli. Sapeva che l'amavo, mi guardava negli occhi e sorrideva perché lo capiva. Capiva quanto fossi pazza di lui e quanta paura in quei due anni avessi accumulato nell'esprimere così ad alta voce i miei sentimenti.
Avevamo già chiarito che non sarebbe stato facile ripristinare ogni cosa, eppure nessuno dei due sembrava avere fretta.
"La colazione si brucerà, piccola, se non mi lasci andare." Ridacchiò.
Sorrisi, tirando indietro.
Lo guardai seduta sul bancone, ammaliata di ogni suo semplice gesto. Posò accanto alle mie gambe un piatto con le uova strapazzate e la solita margherita bianca.
Sorrisi, baciandolo sulla guancia.
"Grazie." Gli dissi.
Lui ricambiò il sorriso, accarezzandomi la gamba.
Erano quei piccoli gesti, quei buongiorno, la colazione, tutte le margherite, che riuscivano a scaldarmi il cuore e a farmi dimenticare ogni problema ed ogni dolore.
Mangiammo in silenzio e di tanto in tanto, ci scappava anche qualche bacio e qualche sorriso.
Ero certa di amarlo, ero certa di voler stare con lui per tutta la vita ed ero certa che mai niente di quel presente mi sarebbe stancato.
Ma quella quiete non fu la stessa due giorni dopo.

Macchiati di nero [HS]Where stories live. Discover now