Capitolo 39.

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"You taught me the courage of stars before you left,
how light carries on endlessly, even after death.
With shortness of breath, you explained the infinite,
how rare and beautiful it is to even exist.
[...]
I'd give anything to hear
you say it one more time,
that the universe was made
just to be seen by my eyes."
-Saturn, Sleeping at last.

Avete presente quella sensazione, quella che è come se volessi piangere, ma non ci riesci, come se qualcosa al petto te lo impedisse.
Ecco, era così che mi sentivo.
Dopo aver scoperto che mio padre aveva chiuso gli occhi senza più riaprirli, avevo pianto fino allo sfinimento; poi avevo smesso, niente più lacrime, nemmeno una.
Era come se il mio cuore si rifiutasse di piangere ancora.
Passavo i giorni a compiere ogni azione con la più assoluta apatia, quasi come la morte di mio padre non mi avesse minimamente toccato. A volte capitava che mi perdessi a fissare il vuoto, a ricordare di quand'ero piccola e di quanto volessi bene a mio. Anche quando il suo cuore aveva smesso di battere, potevo sentire quanto gli volessi bene dal profondo dell'anima.
Perché una persona che è andata via, non smette mai di vivere, comunque.
Vive costantemente nei ricordi, nei battiti, nel cuore.
Altre volte capita che a stento riuscissi a credere che il cuore di mio padre si fosse spento e che lui a regolare la mia vita, non ci fosse più.
In quei momenti mi piaceva stendermi sul suo letto, sentire il suo profumo ed immaginare i suoi abbracci notturni dopo mille incubi.
Ma prima o poi il tuo profumo svanirà da queste lenzuola e a me non resterà più che un altro ricordo.
Non era come quando persi Harry.
Lui comunque viveva, lontano da me, ma lo faceva. Era sempre come se la mia mente inconsciamente sapesse che prima o poi i suoi occhi li avrei rivisti, il suo profumo l'avrei sentito, la sua voce l'avrei ascoltata.
Ma mio padre no; lui presto sarebbe diventato soltanto un mucchio di polvere. Niente più di reale, niente più di concreto.
Non piansi nemmeno durante il funerale. In realtà non aprii proprio bocca, nemmeno difronte ai tanti volti dispiaciuti, nemmeno davanti a Sally, che non aveva smesso nemmeno un attimo di piangere. Provavo soltanto una bruciante compassione nei suoi confronti.
Io, comunque, non volevo la compassione di nessuno.
Harry non mi lasciava mai, in quei giorni e durante il funerale mi era stato affianco, pronto a raccogliere ogni mio pezzo in un'eventuale caduta.
Stava in silenzio, così come stavo io, mi guardava tanto, sempre. Capiva quand'era il momento d'abbracciarmi, quando quello di baciarmi, o quand'era quello di starmi accanto ma senza fare nulla.
Ed i miei silenzi aumentavano di misura; ognuno di questi era ogni mio addio mancato.
Forse era perché se solo avessi osato dire, o fare qualcosa, tutto ciò che tenevo in piedi, sarebbe crollato.
Ed io non volevo più piangere, non volevo più sentire il rumore del mio cuore infrangersi.
S'era infranto tante e tante volte che non sapevo se avrebbe sopportato ancora l'ennesima rottura.
Se do voce a quello che sento, di me, non resterà più niente in grado di sopravvivere.
Non è mai facile perdere qualcuno, mai.
Sapevo comunque che molti miei silenzi rendevano Harry ansioso, aveva paura per quello che da un momento all'altro avrei potuto dire o fare.
Vedevo dai suoi occhi quanto si sentisse impotente.
Ma lui forse non sapeva che a me bastava anche solo un suo abbraccio per sentirmi un tantino meglio.

Abbracciai il cuscino, distesa sul divano. Fiocco era ai miei piedi, Harry in cucina preparava due tazze di tè.
Fissavo la foto ch'era sul tavolino, ritraeva mio padre e me quando avevo soltanto otto anni. I sorrisi sui nostri volti così belli e così spensierati.
A volte mi capitava ancora di non riuscire a riconoscere certi miei sorrisi.
Strinsi il cuscino al mio petto, chiudendo gli occhi.
Mi sarebbe piaciuto dormire un po', spegnere la mente da ogni pensiero caotico, da ogni tipo di sofferenza o dolore, da ogni singolo ricordo.
Non dormivo bene da quella notte; tante volte restavo ferma a fissare il volto di Harry, che in quei momenti era l'unica cosa che mi trasmettesse un po' di pace; giocavo con i suoi capelli mentre i miei occhi imparavano ogni particolare del suo volto, come il neo proprio sotto l'angolo delle sue labbra o quello ancora sul suo collo.
Mi piaceva guardarlo, mi piaceva da morire. La sua espressione tranquilla e rilassata mi trasmetteva un po' di quella pace che in quei giorni avevo terribilmente bisogno.
Harry era la mia fuga, la mia dolce e bellissima via di fuga.
Lontano da quel mondo tremendo e crudele, lontano da ogni scheggia di vetro nella mia vita.
Per non parlare di quando anche lui mi guardava. Stavamo a guardarci, a capirci, dritto negli occhi.
Ma quando lui era lontano, quando lavorava, quando non c'era, inevitabilmente la mia mente scoppiava per i mille pensieri.
Non c'era mai pace, solo il più orribile inferno.
Sentivo qualche piccolo rumore in cucina, Harry stava sicuramente preparandomi anche qualcosa da mettere sotto i denti. Avevo anche perso ogni goccia d'appetito e spesse volte Harry era costretto a sgridarmi per farmi mettere qualcosa sotto i denti; ma non lo giudicavo per questo, sapevo che ogni suo gesto era per il mio bene.
Sospirai, stringendo gli occhi. Volevo che il tempo passasse più in fretta e che quella sensazione dal mio corpo svanisse.

Macchiati di nero [HS]Where stories live. Discover now