4. Leonardo

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La somiglianza è troppa, spaventosa. Camilla è identica alla mia Vicky: sono entrambe due bellezze mediterranee. Mi manca così tanto. La lontananza mi sta uccidendo. Non volevo partisse per l'Erasmus. So quanto importante sia per lei, ma io non resisto più. Partire per la Spagna era uno dei suoi più grandi sogni e non potevo essere io a tarparle le ali.

Ci conosciamo da due anni, ovvero da quando lei ha lasciato Londra per studiare qui in Italia. Ha un monolocale nel mio stesso palazzo; è solo una rampa di scale a dividerci. Abbiamo vissuto ventiquattro mesi quasi in simbiosi. Ci vedevamo, ovviamente, tutti i giorni. Lei aveva alcune sue cose a casa mia e viceversa. Possiamo parlare quasi di convivenza, alla quale mi ci ero davvero abituato.

Cinque mesi fa è partita per Barcellona. Ci sentiamo di rado. Se la fortuna è dalla mia parte, riusciamo a sentirci al massimo una volta alla settimana. Sono già due settimane però che non ho più sue notizie. Mi sento morire.

Oggi, dopo tanto tempo, stranamente, ho ritrovato il sorriso, grazie a Camilla. Le somiglia molto esteticamente, ma sul piano caratteriale sono praticamente gli opposti. Cami è: timida, impacciata e insicura, per non parlare poi del suo modo di arrossire così facilmente la rende così dolce. Vicky è una dalla pelle dura: testarda, sicura di sé, orgogliosa... ma pur sempre la mia ragazza, quella che amo, quella che ora mi sta spezzando il cuore, quella che non ha più tempo per me, quella che mi ha lasciato solo. Mi sta abbandonando anche lei, come hanno fatto tutti nella mia vita.

I miei genitori sono due alcolisti, ho passato la mia infanzia in una casa-famiglia, perché loro non erano capaci di staccarsi dalla bottiglia per accudire il loro unico figlio. All'età di sette anni fui prelevato dalla casa dei miei genitori dagli assistenti sociali. Anche in quel caso i miei, ancora una volta, tra me e l'alcol scelsero quest'ultimo. Ho trascorso undici lunghi anni in questa struttura destinata all'accoglienza per quelli meno fortunati come me. Sono stati sicuramente anni migliori rispetto a quelli trascorsi a casa. Avevo affetto, cure, attenzioni varie, addirittura c'era chi veniva a rimboccarmi le coperte e a darmi il bacio della buona notte. In questi anni, i miei genitori non hanno mai fatto nessun passo per riavermi con loro. Potrebbero anche essere morti per quel che so. Una volta lasciata la casa-famiglia, in quanto ormai maggiorenne, mi trasferii nel bilocale in cui mi trovo ancora oggi, da solo. Compiuti i miei diciotto anni, quelli della casa-famiglia mi aiutarono a trovare un lavoro. Inizialmente ho avuto l'opportunità di lavorare come fotoreporter e, con i soldi guadagnati, riuscii ad iscrivermi alla facoltà di scienze umanistiche, in cui poi mi sono laureato. Il mio scopo è quello di aiutare quei bambini/ragazzi che si trovano in condizioni simili a quelle che ho vissuto io da piccolo. Il lavoro, quindi, mi fu utile affinché riuscissi a pagarmi l'affitto e gli studi. Ho conseguito la laurea due anni fa, a ventidue anni. Ho lasciato il lavoro da fotoreporter e ho iniziato a lavorare nella casa-famiglia dove sono cresciuto. È qui che ho conosciuto Val e Vicky. Le ragazze facevano volontariato ed erano state mandate dal direttore dell'accademia di belle arti come arte terapeute. L'arteterapia è l'insieme delle tecniche e delle metodologie che utilizzano le attività artistiche visuali (e con un significato più ampio, anche musica, danza, teatro, marionette, costruzione e narrazione di storie e racconti) come mezzi terapeutici, finalizzati al recupero ed alla crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relazionale. Ammiravo molto il lavoro che svolgevano con i ragazzi. Furono proprio loro due, l'anno scorso, a convincermi ad iscrivermi all'accademia. Così quest'anno ho deciso di riprendere gli studi.

Suona improvvisamente il cellulare facendomi distogliere da tutti i miei pensieri e, pensando fosse Vicky, mi precipito a rispondere.

«Pronto?»
«Ehi, Leo! Sono Val.»

«Ehi, Val. Scusa stavo dormendo», mento per nascondere la mia voce cupa.

«Ah, non volevo disturbarti. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto e sapere che impressione ti ha dato questo primo giorno in accademia. Ma posso chiamare più tardi o possiamo parlarne domani con calma», si affretta a concludere.

«Non posso dirti ancora cosa ne penso. Questa è una conversazione che potremmo affrontare tra un mese, quando avrò ben chiaro tutto il quadro della situazione. Grazie comunque per esserti preoccupata.»
«Figurati, sei il ragazzo della mia migliore amica. Devo curarti io in sua assenza, no?!»

«A proposito, l'hai sentita?»

«Ehm... io... no... Scusa devo andare, ci vediamo domani allora collega. Buona notte.»

«Notte.»
Perché Vicky mi sta evitando?!

Comincio a sfogliare le nostre foto sul cellulare e decido di chiamarla per un'ultima volta.

Dopo una serie di squilli, mi risponde una voce maschile: «¿Diga?»

Rabbrividisco al solo pensiero che sia con un altro e riattacco subito.

Non può essere! Io sono qui ad aspettare lei, mentre... No, non è possibile!

Forse il mio giudizio è un po' affrettato; ma allora perché non è mai reperibile?! Perché ha risposto un ragazzo al posto suo?!

Sono disgustato al sol pensiero che lei possa avermi tradito con qualcuno.

Mi metto a letto, con la speranza di riuscire a prendere sonno, ma sembra inutile.

Riprendo il cellulare poggiato sul comodino e comincio a scorrere la Home di Facebook, quando all'improvviso mi accorgo di una notifica:

-Camilla Baldi ha accettato la tua richiesta di amicizia-.
Comincio a scorrere tra le foto del suo profilo e la prima esclamazione che mi viene in mente è:

"Wow, che tette!"

Chiudo Facebook per evitare di cadere in tentazione e imposto la sveglia sul cellulare.

«Minù!» chiamo la mia gatta che con un salto mi raggiunge sul letto pronta per essere accarezzata. Aspetto che lei si addormenti e chiudo anche io gli occhi per abbandonare qualsiasi altro cattivo pensiero possa venirmi in mente.

Il Filo Rosso Che Ci Unisce Where stories live. Discover now