27. Camilla

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Dopo un'intera giornata passata tra le braccia di Simone, è ora di lavorare. Non che mi dispiaccia. Mi fa piacere venire a trovare i bambini e "giocare" con loro, soprattutto rivedere Ilaria. Ma la mia voglia di recuperare il tempo perso finora con le persone sbagliate, in questo momento nella mia mente ha la precedenza. Simone, ha la precedenza. Sono felice di poter confermare che con Leo è stata solo una piccola infatuazione, o almeno credo. Si può soffrire così tanto per una semplice infatuazione? Questo non lo so. Ma se non è questo, allora cosa è stato? Se mi fossi innamorata di lui, di certo non mi sarebbe passata così velocemente. Eppure io mi sento davvero bene. Il mio cuore ha ripreso a battere. Finalmente qualcosa di buono, dopo undici mesi.
Sorrido da sola come una cretina, mentre Simone si allontana con la moto salutandomi.
Con il sorriso stampato in faccia, quasi avessi una paresi facciale, mi avvicino al cancello della casa-famiglia. Una figura nera spunta da dietro l'angolo. Non so chi sia e non voglio saperlo. Busso più volte al citofono. Ma non ottengo nessuna risposta. Quest'uomo non identificato si avvicina sempre di più. Il panico. Una ragazza, sola, in una strada isolata e buia, e un uomo poco raccomandabile, sempre più vicino alla prossima vittima. Scene di film horror si fanno strada nella mia testa. Le mie gambe sono bloccate, non posso muovermi. Stupida paura. Non alzo mai lo sguardo verso lui, potrebbe leggere il panico nei miei occhi. Apro la borsa, frugo tra le varie cianfrusaglie in cerca di qualche oggetto contundente. "Tesoro, dovresti portare con te sempre uno spray al peperoncino. Ti dà giusto il vantaggio per scappare se spruzzato per bene negli occhi" mi diceva qualche giorno fa mia madre. Avevo annuito per non creare discussioni inutili, ma in realtà trovavo la cosa davvero idiota. Beh, ora, ripensandoci, ne avrei davvero bisogno. Perché non ascolto mai mia madre da brava figlia obbediente? Stupida Camilla.
L'omone è sempre più vicino e il mio cuore batte sempre più all'impazzata.
Tadan! Trovo nella mia borsa una bottiglietta di profumo. Afferro la bottiglietta e appena l'uomo si avvicina, spruzzo una grossa quantità di profumo sulla sua faccia. Ah! Ben ti sta!
L'uomo grida per il bruciore. Soddisfatta mi volto in fretta per scappare il più lontano possibile. Ma qualcosa mi afferra per il polso. Il mio respiro diventa affannoso, il cuore martella nel petto, tutto il corpo trema di paura e sono convinta che il mio viso sia bianco cadaverico.
L'uomo continua ad imprecare. Mi volto per dargli uno schiaffo, seppur inutile data la mia forza e stazza rispetto alla sua. Meglio reagire, no?! Ma con l'altra mano libera blocca anche questo polso. Sgranò gli occhi vedendo le sue nocche insanguinate. Oh. Mio. Dio. Ci sarà un'altra vittima nei paraggi. Strizzo forte gli occhi.
«Sei impazzita? Cosa ti è saltato in mente?», ringhia. Ehi! Aspetta un attimo. Io questa voce la conosco. Merda!
«Leo?»
«Chi altro se no?!», mormora sofferente.
«Oddio! Mi dispiace... Come stai? Scusami... Mi hai spaventata a morte, pensavo fosse... Scusami...», farfuglio senza respirare, tutto d'un fiato.
«Chi pensavi che fossi? Un killer?», sbotta nervoso. Beh, a dire la verità: si!
«Hai bisogno di aiuto», mormoro piano l'ovvio. E con un fazzoletto imbevuto cerco di pulirgli il viso dal profumo.
«Tu dici?», chiede sarcastico. Ma il suo tono è duro. Mi sa che l'ho combinata grossa questa volta.
«Dobbiamo entrare. Devo fasciarti questa mano. A proposito: cosa hai combinato? Hai preso a pugni qualcuno?», chiedo con tono di rimprovera.
Leo, alquanto nervoso, distoglie lo sguardo e si mette in modalità silenzio stampa.
«Anzi sai che ti dico? Non voglio saperlo», sbotto nervosa. Mi allontano da lui e continuo a suonare interrottamente il citofono. Improvvisamente due chiavi tintinnano avanti al mio viso, facendomi sobbalzare.
«Sai dovresti imparare a leggere», mormora indicando un foglio attaccato al citofono.
"Il citofono è momentaneamente fuori uso. Si prega di contattarci telefonicamente."
Brava, Camilla! Ennesima figuraccia.
Afferro le chiavi nervosa e apro il cancello. Leo mi segue ed entriamo in casa.

«E tu che ci fai qui? Non lavori più qua», mi accoglie divertito Filippo.
«No, hai ragione. Sono venuta qui senza preavviso. È che l'ho promesso ad Ilaria e non volevo deluderla», confesso.
«Sai che ti dico? Sei licenziata», esclama seriamente.
Abbasso lo sguardo sul pavimento, consapevole che il mio comportamento finora è stato poco professionale.
Filippo ritorna nel suo ufficio sbattendo la porta.
Mi volto e faccio per andarmene, ma lo scricchiolio della porta che si apre e la fragorosa risata di Filippo attirano la mia attenzione.
«Sei stata punita abbastanza. Sei riammessa», esclama divertito senza smettere di ridere, «avresti dovuto vedere la tua faccia», continua.
La sua risata è così contagiosa che scoppio a ridere anche io. Corro ad abbracciarlo. «Grazie», cinguetto felice.
«Non ringraziare me, ma i bambini. Ti adorano».
Il mio sorriso si allarga sempre più. Adoro lavorare in questo posto. I bambini sono fantastici. Lo staff anche. Filippo è davvero una gran bella persona. Beh, certo, avrebbe potuto avvertirmi che il ragazzo per cui avevo preso una cotta è fidanzato, ma capisco anche che non era suo compito avvertirmi. E poi diciamocela tutta, è il suo migliore amico, non poteva colpirlo alle spalle. Ma ok! Tutto questo ormai non ha più importanza. Sto frequentando Simone, ho un lavoro, di nuovo, e Leo ed io stiamo provando ad essere amici. Meglio di così?

«Camilla!», mi chiama Max timidamente, tirandomi la maglia.
«Dimmi, scricciolo», rispondo abbassandomi sulle ginocchia.
«Leo ha detto una parolaccia», esclama con un sorrisetto divertito.
«Cosa?! Andiamo subito a metterlo in castigo», esclamo fingendomi seria.
Alzo lo sguardo verso Filippo e gli sorrido.
Max mi da la sua piccola manina e mi fa strada.
«È qui dentro», esclama indicando la porta del bagno.
Busso alla porta con un pugno ed esclamo: «mani in alto!».
Leo fa capolino dalla porta e mormora: «entra!».
«Esca con le mani bene in alto! Mi hanno detto che ha detto una parolaccia», esclamo divertita, puntandogli le mie mani che formano una pistola immaginaria.
Leo sbuffa e alza gli occhi al cielo. Richiude la porta sbattendola.
«Max, tesoro. Torna a giocare con gli altri. Torno subito. Il signorino nel bagno ha bisogno di essere sgridato», esclamo alzando un po di più la voce nell'ultima frase in modo che mi senta anche Leo.
«Va bene!», risponde, si volta e comincia a saltellare per il corridoio.
Apro piano la porta del bagno. «Posso?!», chiedo. Non mi aspetto che risponda, così entro e chiudo a chiave la porta alle mie spalle.
«Cazzo!», esclama Leo, gettando una garza per terra.
«Ci sono dei bambini lì fuori. E se mai te lo stessi chiedendo: si, ti hanno sentito», lo rimprovero.
Raccolgo la garza dal pavimento e mi avvicino.
«Cosa vuoi?», chiede seccato.
Ignoro la sua provocazione e apro la cassetta del pronto soccorso. Prendo l'occorrente ed ordino: «dammi la mano».
«So cavarmela anche da solo», mormora infastidito.
«Lo vedo!», esclamo ironica. «Non te lo chiederò di nuovo, dammi la mano».
Alza gli occhi al cielo ed obbedisce.
«Prima di tutto bisogna disinfettare le ferite», gli spiegò con voce dolce, tenendo la sua mano tra le mie. Al mio tocco, Leo arrossisce e mi sfugge un sorriso divertita.
«Cosa ti diverte così tanto?», borbotta.
«Niente», sogghigno.
Verso dell'acqua ossigenata sui tagli che ha sulle nocche e poi fascio la mano accuratamente. «Ecco fatto», cinguetto.
Ritira la mano nervoso e fa per andarsene.
«Grazie, Cami. Sei stata così gentile ad occuparti di me», gli canzono, ma continua ad ignorarmi. Mi piazzo, così, avanti alla porta del bagno e continuo: «sei ancora arrabbiato con me? Daiii! Mi dispiace te l'ho detto», gli dico facendogli gli occhi dolci.
Leo poggia una mano, quella integra, sulla porta, vicino alla mia testa. Indietreggio trovandomi con le spalle appoggiate alla porta. Il suo sguardo è duro, ma fisso nei miei occhi. Avvicina il viso sempre di più al mio. Le nostre labbra quasi si sfiorano. Il mio cuore prende a battere velocemente, così forte che sembra voglia fuggire dal petto.
Cosa mi prende? Perché non reagisco? Perché il cuore mi batte così forte?
Le sue labbra si spostano al mio orecchio, sfiorando il mio lobo.
«Per cosa ti dispiace, esattamente? Per avermi quasi accecato...», sussurra avvicinando sempre di più il suo corpo al mio. «o per aver baciato Simone avanti ai miei occhi?», continua.
Al mio cuore manca un battito. Nessun suono esce dalla mia bocca. Nessuna parola.
Sogghigna e si allontana bruscamente. Il mio respiro è ancora agitato. Mi sposta leggermente, quel po che basta per aprire la porta ed uscire.

Il Filo Rosso Che Ci Unisce Où les histoires vivent. Découvrez maintenant