26. Leonardo

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Quello di Vicky è stato un colpo basso. Dopo aver confessato di avermi tradito e presa insieme la saggia decisione di allontanarci per un po', per il nostro bene, ha il coraggio di presentarsi a una delle lezioni che frequento, per lo più nuda, lanciandomi sguardi maliziosi avanti a tutti i presenti, consapevole che a lezione ci sarebbe stata anche Camilla. Qual è il suo scopo? Marcare il territorio? Perché? Si sente minacciata dai sentimenti che nutro per la mia compagna di corso? E fa bene. Se lei non mi avesse tradito, se fosse stata più presente, nonostante la distanza, se non mi avesse risposto un qualsiasi cazzone spagnolo quando tentavo di chiamarla, forse, e dico forse, non ci sarebbero stati tutti questi problemi. Chi la fa, l'aspetti! Non sono il classico tipo "occhio per occhio", ma sono dell'opinione che la ruota gira, che qualsiasi ti si possa ritorcere contro, che il male prima o poi si paga, e così via. Potrei dire Giustizia divina, per intenderci. Ovviamente questo non poteva non riguardare anche me.
Per fortuna, tra una settimana, tornerà a casa dai suoi genitori, a Londra, per le feste natalizie. E io avrò tutto il tempo di schiarirmi le idee e magari passare un po di tempo con Cami. Da amici.
Cami. Chissà come sta? Chissà come abbia preso questa scenetta da teatrino. Se solo quell'idiota non si fosse intromesso, adesso avrei spiegato con calma che io non c'entravo niente con quella farsa.
Simone, è una piaga. Le ronza sempre intorno. È la sua ombra. Non ha capito ancora che non ha nessuna chance con lei. Conosco Cami.
Decido di mandarle un messaggio:
Io: EHI, OGGI VERRAI ALLA CASA-FAMIGLIA? ILARIA SARÀ FELICE DI VEDERTI. A CHE ORA TI PASSO A PRENDERE?
Cami: SI CI SARÒ. CI VEDIAMO DIRETTAMENTE LÌ.
Poso il cellulare in tasca e mi getto sul divano. Afferro il telecomando e faccio un po di sano zapping.
«Leo, ci sei?», grida Vicky entrando in casa.
Perché è qui? Sa cosa significa "pausa di riflessione"?
Sbuffo e mi alzo dal divano, andandole incontro.
«Cosa vuoi?», le chiedo infastidito.
«Ciao anche a te», mormora divertita.
«Sono serio, Vicky. Perché sei qui? Non ti è bastata la scenata di stamattina?»
«Ho fatto solo un favore al professore, non mi sono certa offerta», cantilena.
«E quegli sguardi maliziosi? Come li giustifichi? Sai che figura mi hai fatto fare?», ringhio.
«Al massimo possono solo invidiarti. Dubito che qualcuno possa prendersi gioco di te», sogghigna.
«Lo trovi divertente? A me ha dato molto fastidio».
«A te o alla tua amichetta?», chiede, corrucciando la fronte.
«E adesso lei cosa c'entra?», chiedo nervoso. C'entra eccome.
Alza gli occhi al cielo con fare teatrale. Si avvicina, è al quanto agitata. Lo capisco da come si tortura le mani. Sono due anni che siamo insieme, ormai conosco tutto di lei: le debolezze, il suo modo di pensare e agire. Alza il suo sguardo su di me, prova a fissarmi negli occhi, ma il mio sguardo duro forse la intimorisce tanto da riportare il suo sul pavimento.
«Leo, ascolta. Ci ho pensato a lungo...», dice sospirando, «io ti ho tradito, tu hai tradito me, io ti ho perdonato, non puoi perdonare anche tu me? Possiamo iniziare d'accapo? Vieni con me. Parti con me per Londra. Passiamo un po di tempo insieme, io e te», continua con voce rotta e gli occhi velati dalle lacrime.
«Vicky...», tento di stopparla.
«Leo, ti prego! Dammi un'altra occasione. Non gettare via questo», esclama indicando me e poi lei con un gesto della mano.
«Ho bisogno di tempo», le spiego calmo. Vicky affonda il viso nel mio petto e comincia a singhiozzare. Le accarezzo i capelli e le sue mani si stringono forte alla mia maglia. Restiamo per un po così. Odio vederla in questo stato. Odio vederla soffrire. Ma che senso avrebbe continuare ora come ora? Si scosta leggermente e fa per asciugarsi il volto coperto di lacrime con il dorso della mano. Il trucco le è ormai colato, sono visibili delle righe nere che le solcano il viso.
«Devo avere un aspetto improponibile», prova ad ironizzare per alleviare la tensione che si è creata.
«No. Sei sempre bellissima», mormoro baciandola sui capelli.
«Bugiardo», mormora, accennando un mezzo sorriso. Si alza sulle punte dei piedi. Il suo viso a pochi millimetri dal mio. Le sue labbra quasi sfiorano le mie. «Almeno questo me lo devi», sussurra e le sue labbra si posano sulle mie. Non è un bacio dolce. È un bacio d'addio. È violento, carico di speranza, delusione, tristezza, rabbia.
Mi sposto leggermente mentre il suo respiro è ancora affannoso. Posso vedere e sentire il suo cuore battere all'impazzata, facendo abbassare e alzare, ad un ritmo mai visto, il suo petto.
«Passa buone feste, Vicky», mormoro piano, andando ad aprirgli la porta.
«Anche tu», risponde avvicinandosi alla porta, consapevole del fatto che ormai non avevamo molto da dirci.
«Vicky!», la chiamo afferrandola per una spalla.
Lei si volta verso di me. I suoi occhi carichi di speranza. «Si!?», esclama con un filo di voce.
«Le chiavi.»
«Cosa?!», chiede incredula sgranando gli occhi.
«La tua copia delle chiavi del mio appartamento. Credo che non ti servano più», mormoro. Sono consapevole di essere un po troppo duro nei suoi confronti, ma è la cosa giusta da fare. Per ora.
«Si, ma certo!», esclama nervosa. Si reca in cucina e lascia le chiavi sul tavolo. Ritorna verso la porta e fissandomi dritto negli occhi, dice: «ti amo». Ed esce di casa chiudendo la porta alle sue spalle.
Fisso la porta per qualche secondo.
Sto chiudendo la storia più importante della mia vita. O almeno quella che credevo fosse la più importante.
Mi sento diverso. Ho perso un pezzo di me, ma ho fatto la cosa giusta! Ripeto a me stesso come un disco rotto.

Dopo essere stato tutto il giorno sul divano, guardando programmi spazzatura e scorrendo continuamente la home di Facebook, finalmente è ora di lavorare. Fattesi ormai le cinque del pomeriggio, afferro le chiavi della macchina e il mio giubbotto di pelle nero ed esco. Le giornate ormai si accorciano sempre più. Sembra appena passata la mezzanotte per quanto sia buio per strada. Per non parlare della temperatura, calata bruscamente. Ci saranno si e no 10°C qui fuori. Mi affretto ad entrare in auto e metto in moto.
Per fortuna non c'è molto traffico. Arrivo infatti puntuale, ma ovviamente non può andare tutto rosa e fiori. Non c'è nemmeno un posto libero per parcheggiare la mia auto. Faccio più volte il giro della casa-famiglia, sperando che prima o poi un posto si liberi. Niente. Dopo un dieci minuti abbondanti, seccato per la situazione, decido di mettere la macchina nel parcheggio a pagamento alle spalle della villa.
«Buona sera», esclamo educatamente al custode del parcheggio.
«Mi dispiace, ma siamo al completo.»
Impreco tra me e me. saluto con un cenno della mano e faccio marcia indietro.
Dopo aver girato ancora, finalmente si libera un posto sulle strisce bianche dietro la casa-famiglia. Uscendo dalla macchina, guardo di fronte e noto innumerevoli posti vuoti per motorini.
Credo sia ora di comprare un motorino. Una ragazza bionda attira la mia attenzione. È vicino ad uno scooter molto familiare. Si volta nella mia direzione, ma non si accorge di me. Lily?! Cosa ci fa qui? Probabilmente avrà accompagnato Cami.
Infila il casco e fugge via con la sua guida al quanto spericolata.
Promemoria: mai salire in scooter se alla guida c'è Lily.
Non so come faccia Cami a salirci senza alcun problema e fidarsi di quella alla guida. Io preferirei andare a piedi piuttosto che fare un incidente.
Mi incammino verso l'entrata principale. Svoltato l'angolo, noto Simone appoggiato alla sua moto e Camilla posizionata tra le sue gambe con il viso un po troppo vicino al suo, per i miei gusti. Da bravo masochista, quale sono, mi nascondo dietro l'angolo. Bravo, Leo. Adesso siamo diventati anche delle spie.
Ridono e scherzano insieme, mentre Simone le cinge la vita con un braccio. Lo prendo a pugni se non mette immediatamente giù le mani da lei.
«Ora devo andare», cinguetta Cami.
«È un vero peccato», sogghigna Simone.
Cami gli getta le braccia al collo, mentre lui si sporge per baciarla.
Ora lo uccido!
Cami gli restituisce il bacio, restando avvinghiati per un po. Avverto una grossa fitta al petto. Fa male. Mi appoggio al muro dietro l'angolo, ben nascosto, e stringo forte i pugni finché le nocche non mi diventano bianche per lo sforzo.
«Allora passo a prenderti più tardi», esclama Simone.
Dopo poco sento il motore della moto accendersi e allontanarsi pian piano. Per la rabbia, sferro un pugno nel muro. Il dolore che sento adesso alla mano non è per niente paragonabile a quella che sento nel petto.

Il Filo Rosso Che Ci Unisce Where stories live. Discover now