8. Leonardo

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E' domenica mattina. Minù è venuta a svegliarmi alle sette. Dopo un'ora di lotta per riprendere sonno, decido di alzarmi.
Vado in cucina per farmi un caffè, ma è finito. Opto allora per latte e cereali, ma sono finiti anche quelli. Da quanto tempo è che non faccio un po di spesa?

Da bravo "Cenerentolo" che sono, pulisco casa, ordino le cose lasciate sparse per la stanza, faccio la lavatrice e la lista della spesa.
E' da martedì che non vedo e sento Camilla, così decido di chiamarla.
Dopo una serie di squilli mi risponde.
«Pronto» biascica Camilla seguito da uno sbadiglio.
Ha ragione sono solo le otto del mattino di domenica. Devo rimediare.
«Fatti trovare pronta tra un'ora. Non accetto "no" come risposta. Ti porto a fare colazione» e riaggancio.
Dopo nemmeno un minuto mi arriva un suo messaggio:

Compagna di pullman: Sei pazzo o cosa?

Non le risposi. Volevo vederla, non volevo altre scuse.
Dopo un'ora, come le avevo detto, vado sotto il suo palazzo con la mia macchina.
Le mando un messaggio.

Io: scendi!

Improvvisamente vedo uscire dal portone la ragazza più bella che io abbia mai visto. Era lei, Camilla. Top rosso, che lascia intravedere le sue meravigliose forme, e jeans attillati. Una piccola dea.
«Ti rendi conto vero, che sono le nove del mattino di domenica? Noi comuni mortali dormiamo.» Sbotta sedendosi al posto del passeggero.
«Certo che lo so.» Le do un bacio sulla guancia e il suo sguardo si addolcisce.

«Dove andiamo?» mi chiede incuriosita.
«C'è un posto sul lungomare che conosco, che fa delle ottime ciambelle» 
«Mi stai prendendo per la gola. Non è leale.» ridacchia lei.
Arrivati sul lungomare, cerchiamo parcheggio. Inutile dire che un posto vuoto non c'è nemmeno a pagarlo oro. Giriamo per mezz'ora, quando all'improvviso Cami si illumina e posa una mano sulla mia per richiamare la mia attenzione mentre con l'altra indica un parcheggio vuoto: «eccolo!», squittisce.
Dopo poco si accorge del suo gesto, ritrae la mano e arrossisce. Ah, quanto è bella!
Parcheggio e ci avviamo verso la grafferia che le avevo detto.
Ordiniamo due ciambelle e le andiamo a mangiare sul muretto del lungomare.
«Sono sporca? Sento lo zucchero ovunque.» mi domanda indicandosi la bocca.
Poso un dito all'angolo della sua bocca, prendo lo zucchero e infine lecco il dito, «ora non più» le dico con fare divertito e arrossisce di nuovo.
Restiamo lì a chiacchierare per un po.
«L'altro giorno ti ho vista piangere.» le confesso, «eri con Simone».
«Tu eri lì? Mi hai visto?... Ma come...?»
«Ero venuto a cercarti»
«Io... tu....è un periodo complicato», farnetica.
La esorto a confidarsi e così lei mi racconta: dell'incidente di suo padre, della mamma che porta avanti, nonostante abbia perso il lavoro, la casa, delle sua avventure con Lily e di quanto le manca la sua migliore amica, ma che nonostante ciò sono troppe orgogliose per chiedersi "scusa". Io invece le parlo del mio lavoro e di quanto mi rendano soddisfatto e felice le risate di quei bambini.

«Sai, se ti va, qualche volta potresti venire con me alla casa-famiglia. Giocare con quelle piccole pesti è salutare» le sorrido stringendogli la mano e lei ricambia con uno dei suoi sorrisi più dolci.

Dopo un bel po ci incamminiamo verso la macchina e un ragazzo che sta facendo jogging si ferma improvvisamente avanti a noi: «Camilla» saluta il ragazzo dall'accento strano.
«Ehi, Carlos. Ti mantieni in forma?»
Ci mancava solo lo spagnolo!
«Eh si, ci tengo molto al mio fisico» le dice divertito e poi bacia i suoi bicipiti con fare teatrale. «Senti, tra due settimane c'è la festa di Halloween organizzata da quelli di fotografia. Beh, mi domandavo se, magari, ... sempre se non hai altri impegni...»
«L'accompagno già io, mi dispiace» lo interrompo appoggiando un braccio sulle spalle di lei e stringendola a me.
Camilla mi guarda con aria confusa.
«Ah! Scusa, non sapevo...ok! Allora ci vediamo in accademia» le da un bacio sulla guancia e ritorna a correre.

Camilla continua a guardarmi confusa.
«Che c'è?» le chiedo con fare divertito.
«Io e te? Festa? Halloween? Perché io non ne sapevo niente?»
«Beh, ora lo sai» e le lancio un occhiolino.
Mi fa una linguaccia e scoppiamo a ridere all'unisono.
«E ora dove andiamo?» mi chiede curiosa appena arriviamo alla macchina.
«Ti porto a conoscere una "persona"» rispondo mimando le virgolette con le dita.

«Cosa? Chi?» mi chiede sgranando gli occhi.
Le poggio una mano sulla gamba, «vedrai» e sogghigno.

Arriviamo sotto il mio palazzo, parcheggio l'auto nel vicoletto affianco al mio palazzo e ci avviamo verso casa. Arriviamo fuori la mia porta ed esclamo: «benvenuta nella Leo's House».
«Cosa? siamo a casa tua? Vuoi farmi conoscere i tuoi genitori? Stai scherzando vero?»
Scoppio in una fragorosa risata, «no, ma sei pazza? Non potrei mai e poi mai farti conoscere i miei genitori».
Camilla si rabbuia e dopo poco capisco di averla offesa. Non le avevo raccontato del perché lavorassi in quella casa-famiglia o del fatto che abitassi da solo. Le afferro le spalle e la fisso dritto negli occhi.

«Cami, abito da solo. Non vedo i miei genitori da quando avevo sette anni. Entra, ti racconto tutto.»
Minù arriva subito verso di me e comincia a fare le fusa.

«Ecco! Lei è la "persona" che volevo presentarti» prendo in braccio la mia gatta e comincio ad accarezzarla.
«Oh! Che carina. Come si chiama?»
«Minù»
«Ciao Minù» e comincia ad accarezzarla anche lei.
Ci sediamo sul divano e comincio a raccontargli la mia storia strappalacrime: di quando sono stato prelevato dall'assistente sociale, di quando sono arrivato alla casa-famiglia, di Filippo, che adesso è il mio capo ma anche un fratello maggiore, e del nostro obiettivo primario.
«Sai che ti dico?! Accetto la tua proposta. Verrò a dare una mano alla casa-famiglia.» squittisce con un grande sorriso. Quel sorriso così dolce e carico di speranza. Poggia una mano sulla mia. Sento un brivido percorrermi tutto il corpo e arrossisco per la prima volta.

«Anche tu sei carino quando arrossisci» mi canzona con fare divertito.
«Ma cosa dici? E' il caldo. E' meglio che apra un po le finestre» cerco di giustificarmi.
«Si certo» e comincia a ridere di gusto.
Le lanciò un cuscino del divano. Lei si alza di scatto fingendosi offesa e mi restituisce il colpo. Scappa via cercando riparo mentre io cerco di inseguirla. Finiamo in camera mia. Inizio a farle il solletico e lei cade all'indietro sul mio letto matrimoniale. Mi ritrovo sopra di lei fermandole i polsi con una mano mentre con l'altra le scopro la pancia per solleticarla meglio. Mi blocco e mi incanto guardandola ridere. Ci fissiamo dritti negli occhi. Le mie labbra a pochi centimetri dalle sue. Non resisto più. Mi avvicino sempre più. Ma veniamo interrotti, di nuovo, da una suoneria.

«E' il mio» mi dice schiarendosi la voce, «..devo rispondere».
Mi accascio di lato sconfitto mentre lei si alza dal letto per rispondere al cellulare.
«Pronto?» mormora. «Si, ... si, ... ora torno a casa mamma...ok! A tra poco.», riaggancia.
«Ci vediamo domani?» le chiedo con tono piatto.
«Yes! 8:30 alla fermata dell'autobus. Non Ritardare.»
Le sorrido soddisfatto e l'accompagno alla porta.
«Vuoi che ti accompagni?»
«No no, non ti preoccupare. Grazie comunque» si alza sulle punte per baciarmi la guancia ma mi giro di scatto e le bacio un angolo della bocca.
«A domani» le dico e la osservo mentre si allontana.


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