Epilogo

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Sono passati tre anni da quel brutto incidente. Sono tre anni che ci soffro ancora come un cane. Mai riuscirò ad accettare quello che è successo, anche perché, parliamoci chiaro, come si può superare una cosa del genere? È veramente impossibile.
Le persone più importanti della mia vita se ne sono andate nello stesso modo ad un anno di distanza.
Anche la casa-famiglia ne sta soffrendo la perdita, in particolar modo Ilaria e Max.
Ho partecipato anche ad uno di quegli incontri che dovrebbero aiutarti a superare il dolore provocato dalla morte di un tuo caro, ma non è servito a niente, non perché non siano efficienti ma perché se non parte prima dentro di me la forza di superare un dolore così grande, è difficile andare avanti. Infatti in questi incontri ho solo capito che il dolore che ho provato per la perdita di mio padre lo avevo solo accantonato per bene invece di superarlo. Forse era meglio non scoprirlo visto e considerato che ora soffro il doppio.
In questi tre anni sono cambiate tante cose. Mi sono laureata, ho iniziato da poco a lavorare come maestra nella casa-famiglia, mia madre si è risposata... sì sono cambiate un bel po' di cose., decisamente.
Ho deciso di lasciare casa di mia madre e trasferirmi a casa di mio zio, il quale ha comprato casa non molto distante dalla casa-famiglia dove lavoro. È stata una delle scelte migliori che ho fatto in questi anni. Mia madre ha bisogno di rifarsi una vita, e non posso darle altri pensieri.
Per quanto riguarda me, invece, anche io ho bisogno di andare avanti e in un certo senso sta andando proprio così.

Improvvisamente suona il campanello.
«E tu, bel bambino, chi sei?», chiede una voce femminile alla porta.
«Tesoro, quante volte ti ho detto di non aprire mai la porta?» esclamo avvicinandomi alla porta.
«Scusa mamma!»
«Mamma?! Questo è tuo figlio?» chiede la ragazza alla porta.
Non avevo ancora alzato lo sguardo su di lei per capire chi fosse, ma non appena succede, mi sento mancare di nuovo e tutti i ricordi riemergono. Cosa voleva da me? Perché proprio ora?
«Vicky?!»
«Ciao Cami. Come stai?»
«Ehm... Bene, credo. Entra.»
«Grazie!» esclama Vicky.
Oh. Mio. Dio. Cosa ci fa qui? Cosa la porta qui dopo tre anni?
«Mamma, mamma!?»
«Dimmi Leo!» rispondo a mio figlio.
«Leo?!» chiede perplessa Vicky. «Leo come...»
«Si, come lui. Come suo padre.» la interrompo continuando la sua frase.
«Cosa? Cioè è il figlio di... ma come è possibile?» farfuglia confusa Vicky.
«È una lunga storia. Molto complessa aggiungerei. Vuoi un caffè?» le chiedo cercando invano di deviare il discorso.
«Il caffè lo accetto volentieri, ma adesso voglio sapere tutto!» afferma decisa.
«Leo, tesoro, perché non vai di là a vedere i cartoni, mentre io faccio due chiacchiere con una vecchia "amica"?»
«Va bene, mamma!» grida mio figlio correndo nella sua stanza.

Siamo sedute in cucina avanti a un caffè fumante. Vicky sembra essere sconvolta, la cosa sembra averla sconvolta parecchio. E ancora non gli ho raccontato niente. Lei ormai ha lo sguardo perso nel vuoto, è immobile e sembra non respiri nemmeno. Decido così di rompere il ghiaccio.
«Allora, Vicky, cosa ti porta qui, dopo tre anni?»
«Ehm, sì scusa. Ho deciso di vendere casa mia a Londra per comprarne una qui. Alla fine sono riuscita a trovare casa, non distante dal centro. In questi giorni sono indaffaratissima con i pacchi, riordinare tutto è alquanto faticoso. Chi l'avrebbe mai detto!» fa un lungo sospiro e un sorriso molto forzato, è alquanto a disagio, si nota. «Comunque... ho trovato questo in mezzo alle cose di Leo, volevo portartelo», afferma tirando un album da disegno dalla sua borsa.
«Ehm, grazie... perché vuoi darlo proprio a me?» chiedo curiosa.
«Aprilo!» ordina.
Eseguo l'ordine e comincio a sfogliare l'album.
«Oh Dio!» esclamo coprendomi la bocca con mano tremante mentre una lacrima scorre veloce sul mio viso. «Ma questa sono io!»
«Si. Non faceva altro che ritrarre te nei suoi momenti liberi. Pensavo che forse avresti avuto piacere nel tenerlo tu.»
«Grazie», le dico con voce tremante.
«Ora però voglio sapere tutto su tuo figlio», esclama decisa.
«Non saprei da dove partire...», le confesso.
«Raccontami di come l'hai scoperto.»
«Ho avuto la nausea per un bel po' di tempo. Ma il ciclo era regolare, quindi non l'ho preso come un campanello di allarme. Il giorno dell'incidente, quando mi sono recata in ospedale con Gioia, alla vista di Filippo sulla sedia a rotelle, sono svenuta non appena ho appreso che Leo non ce l'aveva fatta.»
«Aspetta tu hai avuto anche il ciclo? Ed è normale?»
«Si mi hanno detto che può succedere.»
«Capisco. Comunque continua...», mi incita Vicky.
«Comunque, essendo che già ero in ospedale, mi hanno fatto dei controlli e... »
«E ti hanno annunciato la "bella notizia".»
«Inizialmente non l'ho presa molto bene. Una mamma single, giovane, incinta, senza una presenza maschile, o meglio un bambino che sarebbe cresciuto senza un padre», ammetto.
«Sei sicuro che sia suo figlio?»
Questa domanda mi offende non poco, ma è del tutto legittima.
«Si, sono sicura. Ho fatto anche il test del DNA», confesso.

Dopo averle raccontato tutti i dettagli della gravidanza e averle fatto vedere le foto di mio figlio appena nato, fattasi ora di cena Vicky decide di andarsene con la promessa di venir a trovare spesso il piccolo Leo.
Mi sa che zia Lily ha trovato la sua rivale.
Dopo aver messo a letto Leo, mi abbandono sul divano guardando la TV.
«Professore, ci racconti della leggenda del "filo rosso del destino"» esclama un conduttore televisivo, il quale attira subito la mia attenzione.
Ricordo quando ascoltai per la prima volta questa leggenda, avevo conosciuto da poco Leo e tra me e me pensai che fosse davvero una sciocchezza questa leggenda, che fosse impossibile che delle persone potessero essere legate da uno "stupido" filo rosso immaginario.
Oggi, con il senno di poi, ho capito che il filo rosso che ci unisce tutt'oggi è Leo, nostro figlio.

Il Filo Rosso Che Ci Unisce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora