6. Camilla

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«Cami!  Leo! Sveglia!» mormora Simone.
Apro gli occhi e capisco solo dopo di essermi addormentata alla mia prima vera lezione universitaria. Cominciamo bene. Alzo la testa e Leo fa lo stesso, e con quel sorriso illegale mi dice: «Buongiorno» e si stiracchia.
Simone ci guarda infastidito, distoglie lo sguardo e mi invita ad alzarmi tirandomi per un braccio: «dobbiamo andare»
«Sa camminare da sola, tra poco arriviamo.» risponde Leo quasi infastidito.
Simona mi lascia il braccio e si incammina.
«Visto che ci sei...» continua Leo «perché non ci conservi due posti nella prossima aula?!»
Simone non risponde ed esce dall'aula senza nemmeno girarsi. L'aria si taglia con il coltello. C'è troppa tensione tra i due.
«Comunque me la so cavare anche da sola» sbotto alzandomi e incamminandomi verso l'uscita.
Leo mi trattiene stringendomi una mano, «aspetta un attimo». Lascia che l'aula si svuoti.
Mi trascina verso la porta, la chiude. Siamo soli. Mi ritrovo con le spalle appoggiate al muro, mentre lui mi circonda con le braccia appoggiando le mani al muro, ai lati della mia testa. Il suo viso troppo vicino al mio. Un intenso brivido mi percorre per tutto il corpo. Chino la testa per non doverlo guardare negli occhi.
«Cami! Guardami. Non volevo offenderti, volevo solo proteggerti. Tu... beh ... mi fai uscire pazzo. Non sopporto che qualcuno possa dirti cosa tu possa o non possa fare, decidendo per te.» Si avvicina sempre di più. Mi sento avvampare. I suoi occhi fissi nei mie. Schiude le labbra e si avvicina, quasi a sfiorarmi le labbra. Qualcuno bussa alla porta e ci interrompe. Maledizione!
Mi divincolo dalla sua presa, apro la porta e mi allontano, lasciando Leo da solo.
Raggiungo l'aula di disegno e il prof. punto ci invita a prendere ognuno un cavalletto. Mi ritrovo seduta di fianco a Simone che mi lancia uno dei suoi più grandi sorrisi guardandomi con quei suoi occhioni grandi e verdi. Ricambio con dolcezza.
Leo apre la porta non curante del suo ritardo. 
«Il primo giorno di lezione e già fate tardi?! Non va bene proprio ragazzi» sbotta il professore guardando Leo, «tu, si proprio tu che sei appena entrato, oggi non farai lezione».
Leo si incupisce e fa per andarsene, ma il prof. Punto lo richiama: «Non ho detto che devi uscire dall'aula. Vieni qui, sali qui sopra. Oggi ci farai da modello».
Esegue gli ordini, sale sulla cattedra e si mette nella posa indicata dal professore.
Comincio a scarabocchiare qualcosa con movimenti decisi. Sono un po a disagio, cerco di evitare in tutti i modi il suo sguardo, so che mi sta fissando, lo sento.
Simone comincia ad agitarsi, mormora qualcosa e straccia il foglio.
«Vuoi una mano?» gli dico dolcemente avvicinandomi.
«Odio disegno figurato, non ne sono capace», afferma.
Gli prendo la mano che impugna il carboncino e gli faccio vedere qualche trucchetto per velocizzare il lavoro. Lui arrossisce e mi lascia fare. Di sottecchi, guardo Leo e noto che è alquanto infastidito. Mi piace! Si avvicinano due ragazzi: un ragazzo e una ragazza. Chiedono se posso aiutare anche loro.
«Certo» rispondo con entusiasmo, «sono Camilla»
«Greta, piacere.»
«Io sono Carlos, scusa per il mio accento, sono qui in erasmus. Vengo da Barcellona»
«Oh! Fantastico! Ho sempre sognato visitarla.»
«Quando torno in Spagna posso ospitarti a casa mia»
«Siii! Grazie» squittisco felice.
Leo ascolta spazientito la nostra conversazione. Si irrigidisce sempre di più, «professore, io vado. Arrivederci». Prende le sue cose ed esce fuori.
Il professore, al quanto irritato dal suo comportamento, dichiara finita la lezione.
Saluto frettolosamente Carlos e Greta e mi avvio all'uscita quasi correndo sperando di incontrare Leo.

Esco fuori l'edificio, vedo Val.
«Val, ehi! Hai visto Leo?»
«No. Perché?»
«Niente di importante, pensavo saremmo tornati insieme a casa»
«Se vuoi posso accompagnarti io» risponde Simone.
«Emm... si...ok!»
Salutiamo Val e ci incamminiamo verso il parcheggio dove ha lasciato la sua moto.
Apre il bauletto e tira fuori un casco per me. Chi sa quante donne avranno indossato questo coso?! 
Sale sulla moto, infila il casco e mi da una mano per salire in sella.
«Stringiti forte a me, non vorrei volassi via».
Stringo Simone in un abbraccio. Avevo una gran paura della velocità.

Tutto il percorso l'ho passato ad occhi chiusi e stringendo forte i denti. Quanto corre!
Arrivati sotto il mio palazzo, scendiamo dalla moto, lui si sfila il casco e i suoi capelli biondi sono impeccabili, sembra uscito ora dal barbiere. Sfilo il casco anche io ma non ottengo lo stesso risultato. I miei capelli sembrano avere vita propria, sono più che elettrizzati. Simone mi guarda e scoppia in una fragorosa risata contagiosa, tanto da non riuscirmi a trattenere nemmeno io.
Ci sediamo su un muretto nel parco all'interno del mio palazzo e iniziamo a chiacchierare. 
«Fattelo dire, secondo me sei proprio un gran donnaiolo, Simone» lo prendo in giro ridendo, anche se è quello che penso, «moto, foto con diverse ragazze, ci provi con tutte, ...»
Mi interrompe fingendosi offeso e portandosi una mano al petto con fare teatrale come se lo avessi colpito, «mi hai offeso, questa la lego al dito. Davvero pensi che io sia uno che ci prova con tutte?! Si mi piace essere il protagonista e non mi dispiace se qualche ragazza cerca di attirare la mia attenzione... ma» si interrompe, diventa serio e mi fissa negli occhi e prendendomi le mani continua: «non sono un donnaiolo, non mi comporto così con tutte, non offro passaggi a chiunque. Tu sei speciale» diventa bordeaux e si massaggia la nuca nervoso come il primo giorno che l'ho incontrato, ovvero ieri. 
«Dai non mi prendere in giro, ci conosciamo da quanto? ...Due giorni. Comunque prometto di non chiamarti più donnaiolo, promesso» e scoppio in una risata nervosa e lui con me.

«Comunque sono serio, sento che tu sei speciale.»
Arrossisco e sorrido, sono imbarazzatissima. Simone è proprio un bel ragazzo: alto, magro, muscoloso quanto basta. Sembra uscito da una rivista di moda. Per quel po che lo conosco sembra molto dolce e anche molto simpatico.
«Spero tuo padre non sia in casa. Non vorrei mi beccasse a flirtare con la sua bambina» sorride e annuisce.
La ferita torna a riemergere dal petto, sta dissanguando. Sento le lacrime calde scorrermi in volto. stringo i pugni per trattenermi, ma è inutile.  Troppo tardi. Non ho mai sfogato con qualcuno il dolore che provavo per la perdita di mio padre. Era un argomento che non ho voluto affrontare nemmeno con Lily. Mi sono sempre mostrata forte, dovevo esserlo: per mamma. Non avevo avuto tempo per sfogarmi e liberare il mio dolore. Ma perché stava accadendo proprio ora, qui avanti a Simone?! Divento rossa in volto per la vergogna: «scusa» mormoro.
Simone mi prende tra le sue braccia e mi accarezza dolcemente, «sono qui, non ti lascio sola». Mi aggrappo al suo petto e comincio a singhiozzare. 
Quando finalmente riesco a calmarmi, gli spiego del perché della mia reazione e gli racconto dell'incidente di mio padre. «E' una ferita ancora aperta».
«Scusa, io... non volevo. Mi dispiace»
«Va tutto bene, anzi scusami tu per lo sfogo»
«Vorresti consolare tu me ora?! Su!» mi dice in tono scherzoso e ridiamo insieme.
Mi alzo, gli do un  bacio sulla guancia, «Grazie per il passaggio. Grazie per tutto» e sfodero uno dei miei sorrisi dolci. Si alza anche lui e mi abbraccia.
«Ci sarò sempre per te quando lo vorrai» sorride, mi bacia la fronte e torna sulla sua moto.
Mi ero sbagliata sul suo conto, è proprio un bravo ragazzo.  

Il Filo Rosso Che Ci Unisce Where stories live. Discover now