5 anni dopo - Epilogo

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La vita è strana, Harry se lo ripete da quando è sceso in stazione e si è ritrovato nello stesso posto dove cinque anni prima è scappato, con il cuore infranto. È un Harry diverso adesso, maturo, più uomo. I capelli sono corti e le linee del viso più marcate, è riuscito anche a farsi crescere una sorta di barba. Ha abbandonato le camicie colorate per dei completi scuri, perennemente in giacca e cravatta. La sua vita è stata rivoluzionata radicalmente, totalmente. È cambiato costruendo di un muro intorno, innalzando una sorta di barriera protettiva, è diventato un cacciatore smettendo di sentirsi preda. Adesso è lui che sceglie, colpisce, affonda, annienta. Non ha più aperto il suo cuore, per vigliaccheria, per paura, per tante ragioni; è diventato un Harry cinico e negativo, lontano da ciò che era stato in passato. Si è fatto amare tanto, da tutti coloro che hanno scaldato il suo letto in quegli anni ma non ha mai amato, incapace e la ragione risiede ancora in quella città dove lui è appena arrivato.

Ma non è tornato per quel nome che adesso non pronuncia nemmeno più o per rivivere cose passate che con fatica si è abbandonato dietro le spalle. Nonostante il massimo dei voti, i completi eleganti e l'anno di tirocinio in uno degli studi più prestigiosi di Londra, le cose non sono andate bene a livello lavorativo, fatica a cercare uno studio o dei soci, fatica ad arrivare a fine mese ed è stanco di farsi anticipare i soldi per l'affitto da Niall o da sua madre. Vuole la sua indipendenza economica, un lavoro che lo ripaghi di tutti i sacrifici fatti e se deve tornare a Manchester, camminare di nuovo per quelle strade con il cuore pesante, lo farà, lo sta già facendo.
Esce veloce dalla stazione, decide di camminare, non ha voglia di prendere un taxi. Si perde di nuovo tra quelle strade, tra quei ricordi vissuti durante il primo anno di università, inevitabilmente pensa a quell'amore finito in tragedia.

Si sono fatti male a vicenda, Harry e Louis.
Chi tradendo, chi scappando. Hanno entrambi le loro colpe, Harry sente di averne di meno ma non l'ha mai detto a voce, è rimasto un pensiero, Louis è rimasto in pensiero. Non ha più pronunciato il suo nome, ferito e codardo. Non ha chiesto di lui, di come procedesse la sua vita, il suo amore, magari con Zayn o con uno dei tanti. Ha messo un muro - un altissimo ed invalicabile muro - tra se stesso e Louis. Non ci vuole pensare, non vuole mandare tutto all'aria ma camminare tra quelle strade, fermarsi dove una volta hanno fatto l'amore, è difficile.
Persino la statua di sir Alex Ferguson, davanti l'Old Trafford gli riporta alla memoria una domenica di calcio, amore e spiegazioni inutili sul fuorigioco, lui non lo capirà mai.

"Destino bastardo" - ripete, perché l'ufficio presso cui ha il colloquio di lavoro è vicino il suo vecchio appartamento, a pochi passi da quella che una volta era casa di Louis. Cammina veloce, con la sua ventiquattr'ore stretta in mano - simile a quella che tanto odiava di Niall - si stringe al collo la cravatta blu mentre suona distratto ad un campanello con la sigla United for Manchester e la voce dolce di una ragazza gli dà direttive - "Sesto piano. Amministrazione". Sceglie le scale, non importa se arriverà su con il fiato corto e colorato in viso, vuole prendersi il suo tempo per ripassare la sua presentazione, con il tempo ha imparato ad elogiarsi di più, almeno davanti ai clienti. Se poi pensa tutt'altro di se stesso, lo scrive in una piccola agenda verde, conservata nel cassetto a scomparsa della sua piccola scrivania disordinata.
Certe abitudini non muoiono mai, le ha solo trasferite in una nuova agenda dove non c'è nessun nome che gli può far male, come se bastasse leggere il nome di Louis per precipitare di nuovo.

Sono passi lenti quelli di Harry ma riconosce la voce della ragazza che pochi minuti prima aveva sentito, lo aspetta sul pianerottolo. È giovane e bella nel suo completo grigio, i capelli scuri e gli occhi di un azzurro splendente, gli osserva per un attimo, uno soltanto, ma discosta immediatamente lo sguardo perché quegli occhi gli sono familiari, almeno quel colore lo è. "Harry Styles, piacere" - ed allunga la mano verso quella che spera possa diventare una sua collega - "Felicitè" - risponde la ragazza, stringendogli la mano - "Desidera qualcosa? Caffè, acqua...?" - ma Harry scuote la testa, sorridendo gentile.
"Ha fatto un buon viaggio? So che viene da Londra" - prova di nuovo Felicitè, cercando di ingannare in qualche modo l'attesa, si morde la lingua, il silenzio le mette ansia e si conosce, potrebbe dire tutto ancora prima che quel tutto accada. Lo studia ed Harry sente quello sguardo vagare su di sè; pensa di avere qualcosa fuori posto, forse il vestito è rimasto macchiato da quel caffè preso sul treno, forse è rosso in viso oppure ci sta in qualche modo provando, non lo sa ma abbassa lo sguardo timido, decidendo di sedersi su una delle poltrone presenti.

Louis' Club || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora