Capitolo 3

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Lo so che è già passato il tuo compleanno AmbrosiaPeterPan ma ci tenevo a farti di nuovo gli auguri Lole💓

JAKE

Ormai è quasi ora di chiusura e non c'è più nessun cliente perciò io e mio fratello ci sediamo sui divanetti.
Kyle ha finito il suo turno oggi a mezzogiorno mentre Jennifer è fuori a fumare una sigaretta.
« Oggi la vedo strana Jen... l'ha notato anche Kyle »
Che?
« In che senso scusa? » domando mettendo le braccia dietro la testa per massaggiarmi il collo che è in tensione e mi provoca un po' di dolore.
« Bho, non saprei sinceramente. La vedo come... assente » dice, mentre guarda il soffitto.

Oltre la porta vedo la sua piccola figura fasciata in un giubbotto nero mentre del fumo proviene dal suo volto diramandosi in tutte le direzioni.
Analizzo la sua figura da capo a piedi. Sembra davvero un funghetto e, anche se c'è la giacca, le curve non sono niente male. Sarà anche bassa, ma di certo saprei come sfruttare la sua altezza...
« Jake, cazzo! Ascoltami una buona volta! Smettila di scoparla con lo sguardo e rifletti un attimo. Non sei più un'adolescente in preda agli ormoni » dice sbuffando, ma con l'aria divertita per avermi preso in giro.
« Sta' zitto. Uno: non la scopavo con gli occhi. Due: non ha niente, sarà solo stanca o si farà mille complessi mentali per una cazzata. E tre: ho ben ventiquattro anni e non sei te a dirmi cosa fare o no » dico per poi alzarmi e prendere la giacca.
« Ci si vede a casa, non so a che ora torno. Magari anche subito » lo avviso per poi lanciargli le chiavi dello studio, dato che oggi sarà lui ad occuparsi della chiusura.

Spingo la porta e allo stesso tempo mi imbatto in Jennifer che sta entrando. Ci scontriamo e lei sta per cadere, ma la afferro per la vita.
Eh... ho i riflessi pronti.
È inciampata nei miei piedi e voglio sapere davvero perché è così sbadata.
« Scusa e... grazie » dice l'ultima parola a voce bassa anche perché di solito ci ringraziamo di rado.
Stacco subito le mani dalla pelle nuda che divide la maglietta attillata, sotto il giubbotto aperto, e i jeans.
La osservo dall'alto e lei dal basso. Mi riserva quello sguardo strano, di ghiaccio, impenetrabile. Come sempre d'altronde.
« Sta' più attenta la prossima volta » dico serio per poi mettere la mano, che prima era posata sul suo fianco sinistro, sul manico della porta.
Mi volto di nuovo un attimo sorprendendola incantata sempre nello stesso punto.
« C'è qualcosa che non va? » le chiedo.
« No no. Assolutamente niente » mi risponde per poi scuotere la testa come se si fosse risvegliata adesso dalla trance e se ne va verso il suo studio, chiudendo la porta.
Bah. Che strane le donne.

Percorro la stradina che mi porta allo spiazzo dove sono posteggiate di solito le nostre macchine, oppure quelle dei clienti... ma sono andati tutti via.
Una macchina nera sportiva se ne va sgommando perciò non riesco a capire che tipo di veicolo sia o chi ci fosse al volante.
Più che altro mi chiedo cosa ci facesse qua, dato che sono le sette e un quarto di sera e l'orario di chiusura è tra una quindicina di minuti. Perché qua c'è uno spiazzo e la strada finisce, perciò bisogna fare una inversione e ritornare sulla strada principale.
Che strano, sarà stato uno di quei soliti rincoglioniti che scambiano una via per un'altra.
Salgo sul mio pick-up diretto verso casa. Sono troppo stanco per andare al pub, anche se mi riprenderei subito, però è già stata una giornata dura e domani devo lavorare di nuovo... quindi non mi sembra il caso.

Sfreccio sulla strada illuminata dai lampioni e dai fari delle altre macchine.
New York non dorme mai.
Appena mi fermo per un semaforo, strizzo gli occhi che bruciano e mi massaggio di nuovo il collo dolorante. Ho un gran mal di testa e non vedo davvero l'ora di stravaccarmi sul letto e dormire.
Bip-Bip
Suono il clacson a quello davanti a me che, stordito, non si è accorto del verde, facendomi sostare ancora un altro minuto davanti al semaforo.
Che idiota, penso mentre imbocco una strada sulla destra rispetto alla principale.
Il cellulare comincia a squillare, ma lascio perdere. Sarà Cole che mi chiederà se vengo al pub o qualcun'altro che mi vuole rompere i coglioni. Sono quasi le otto di sera e già ti disturbano.
Squilla una seconda volta, perciò accosto un attimo vicino al marciapiede e prendo il telefono nella tasca della giacca.
Mia madre.
Perché mi chiama? Loro di solito vengono da noi nel pomeriggio durante il weekend e chiamano sempre il giorno prima... ma oggi siamo a metà settimana e questa chiamata mi sembra molto ambigua. Rispondo subito.
« Mamma? » domando schietto. Voglio sempre arrivare al punto, odio i rigiri di parole perché sono davvero fastidiosi ed irritanti, oltre a non servire niente.
« Jake ho provato a chiamare anche tuo fratello, ma non sente il cellulare » dice con tono affannoso e preoccupato, alche mi preoccupo dato che è sempre molto tranquilla e pacata.
« Che succede? » dritto al sodo, mirato.
« Tuo padre si è sentito male, vieni in ospedale il prima possibile » dice frettolosa. Butto giù subito la chiamata, faccio inversione a U dopo aver controllato che non ci fossero altri veicoli oltre il mio, per poi sfrecciare sull'asfalto senza superare i limiti di velocità, dato che poi devo pure pagare.

Nella mia testa ci sono pensieri soffusi, agitati, mischiati l'uno con l'altro e non riesco a ragionare lucidamente.
Mio padre? In ospedale? Si è sentito male?
Interrogativi preoccupanti al momento perché non sai le risposte e proprio per questo devo sbrigarmi per arrivare il prima possibile.
Dovrò avvertire anche Luke in qualche modo perché deve per forza saperlo, non può aspettare domani.
Papà sta male. Ospedale.
Mi circolano nella testa solo queste parole e non riesco ancora a realizzare la cosa.
Ma so trattenere il controllo in certi casi e adesso devo farlo anche se mi fermerei a prendere a pugni qualsiasi cosa, ma non servirebbe a niente.

Arrivato nel posteggio dell'ospedale, circa quindici minuti dopo, dato che è vicino a casa, sbatto la portiera per poi correre in direzione della segreteria che mi indica a che piano dirigermi.
Non so cosa aspettarmi, come si evolverà la cosa, come starà...
Non devo pensarci.
Salgo le scale senza prendere l'ascensore dato che ci mette una vita, per poi cercare il corridoio dell'ala ovest dell'ospedale.
Vedo una donna camminare avanti e indietro con la borsa tra le mani tremanti.
« Mamma! » esclamo per richiamare la sua attenzione.
« Oh cielo Jake! » grida per poi buttarsi tra le mie braccia. Adesso sono io che devo occuparmi di lei e tranquillizzarla, quando in realtà fremo dalla voglia di chiamare un cavolo di dottore e farmi dire come sta mio padre.
« Cosa è successo? » domando cautamente, mentre le massaggio la schiena. È molto più bassa di me, perciò la stringo completamente nel mio abbraccio.
« Attacco cardiaco » risponde solamente.
Capisco che è meglio non parlarne e ci sediamo sulle sedie della sala d'attesa.
Fisso il muro bianco davanti a me, con la testa che mi gira e milioni di pensieri. Mia madre piange sul mio braccio, mentre io no. Non verso neanche una lacrima proprio perché non riesco ancora a realizzare la cosa.

// spaio autrice //
Heiii😍
Spero che questo capitolo vi piaccia! Ho impiegato un po' a farlo perché comunque il punto di vista di Jake è più difficile rispetto a quello di Jen... ma spero vi sia piaciuto comunque!
Di chi era quella macchina? Cosa succederà al padre di Jake e Luke? E Jen?
I misteri e le domande cominciano a venire fuori...

Mi scuso ancora per il fatto del Trailer che non si riesce a vedere su YouTube ma solo qui su wattpad. Mi dispiace, non so cosa sia successo ma spero che questa cosa si risistemerà!

Volevo ringraziare anche Cinzia per aver realizzato questa meravigliosa scritta con il mio nome! Grazie patata😘

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Salutiamo delle personcine tenere😘: repeating_days
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