Capitolo 44

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JENNIFER

Avrei dovuto avvertite Ed, il mio capo, per dirgli che non stavo bene e che non sarei andata a lavoro. Però non posso scappare in questo modo da lui solo a causa del mio timore. Non avrebbe avuto senso perché l'avrei dovuto vedere comunque prima o poi.
Ammetto di essere agitata e rimango un attimo in macchina, con la testa appoggiata al finestrino. Ho pianto per tutta la notte e ho cercato il meglio possibile di coprire le occhiaie con della matita nera, nonostante abbia comunque una faccia tremenda. La testa sembra stia per scoppiare, così come il mio cuore che prosegue con battiti sempre più accelerati.
Me ne sono stata in compagnia del mio cuscino e dei miei fazzoletti, senza far cessare le lacrime. Stavo e sto ancora uno schifo.
Continuo a chiedermi se scendere o no e mi ripeto: "ancora un secondo".
Apro la portiera definitivamente e cammino verso l'entrata. Come posso essere così agitata al solo pensiero di incontrare l'unica persona con cui sono stata più intima nel giro di questi anni?
Non ho fatto altro che rivedere nella mia mente la sua immagine sbigottita impressa sul suo viso. Era disperato, tanto che aveva deciso di rivelare i sentimenti che provava per me piuttosto che perdermi.
Sono una vigliacca e non lo immaginavo fino a questi punti. Anche io continuavo a rimandare l'argomento più serio che poi sarebbe spuntato fuori, ad un certo punto, in una coppia. Non sono certa di quello che provo per lui sia amore o soltanto una fortissima attrazione fisica. Ho davvero paura di poterlo ferire e l'unico sentiero sembra quello di allontanarlo da me affinché possa capire cosa significhino i brividi che percuotono il mio corpo ogni volta che mi guarda e che instaura un contatto fisico con me. Non devo dare la precedenza a queste reazioni, ma alla mia ragione. Tengo troppo a lui per vederlo soffrire.
Prendo un respiro profondo e spalanco la porta facendo si che il campanello avvisi la presenza di una persona. In questo momento preferirei non ci fosse in modo che possa entrare senza che nessuno mi noti.
Sento ronzare gli aghi e spero che uno di questi sia quello di Jake. Appoggio il mio zaino e vado dalla macchinetta per un caffè in modo tale da svegliarmi. Già sono intontita di mio, non voglio nemmeno immaginare quando lo vedrò, quando i miei occhi si poseranno su di lui.
Cerco di non mostrarlo, ma mi sento davvero a pezzi. Se potessi, anzi, se non mi trattenessi, probabilmente cadrei a terra. Le gambe mi tremano e anche le mani visto che il bicchiere non sta fermo nella mia presa.
Siedo alla mia scrivania e chiudo gli occhi, lasciando che i nervi si distendano, placando il dolore incessante che sento alle tempie quasi ci fosse un martello pneumatico.
«Okay! Grazie mille!»
Una ragazza esce proprio dall'unica porta che pregavo non si aprisse mai. Cosa alquanto improbabile.
Sollevo di scatto la testa.
«Devo pagare...» accenna, guardandomi stranita, probabilmente dovuto alla mia faccia che potrebbe assomigliare benissimo a quella di un morto. Se prima scherzavo in fatto di vampiri, ora non ci rido tanto sopra.
«S-si, si certo»
Sono davvero stordita. Io che pensavo che la caffeina mi svegliasse da questo trauma.
Ho come la sensazione di essere in dormiveglia... è strano da spiegare.
Sono presente, ma in realtà la mia mente è del tutto assente, su un pianeta chiamato Jake.
Con fatica svolgo tutte le pratiche e le do la ricevuta.
«Spero verrai nuovamente! Una volta che ti fai un tatuaggio ritorni per un altro!»
Con una specie di sorriso, recito la solita frasetta.
«Va bene» mi sorride, guardandomi in modo strano come se avesse appena visto un fantasma.
Okay, non sono per niente dell'umore giusto, ma almeno il pudore di non farmi notare quanto stia male!
Scuoto la testa e mi risiedo. Comincio a prendere sul serio in considerazione di prendere un antidolorifico. La testa fa sempre più male.

Poco dopo sento la sua presenza e alzo il volto per constatare se me lo sia solo immaginato.
Mi guarda teneramente, un'espressione che mai avevo visto su di lui, come se stesse provando pena per me, come se si stesse trattenendo nel corrermi incontro. Cioè, quest'ultima cosa è quella che sto pensando io.
Freno i miei pensieri impulsivi, ripetendomi che se lo facessi non farei altro che farlo soffrire, rovinandolo.
«Ciao...» tenta di dire, ma si ferma. Non mi vergogno a mostrargli i segni di una notte insonne e di lacrime, nonostante voglia al contempo sotterrarmi.
Allunga una mano, ma la ritrae. Siamo distanti qualche metro e anche se spiegasse il braccio nella mia direzione, non potrebbe arrivare a toccarmi. Me ne sto seduta sullo sgabello, con le spalle curve e gli occhi che piano piano si inumidiscono.
Butto giù un groppo di saliva.
«Ciao...» provo a dire, ma mi si mozza il fiato.
«Possiamo parlare?» mi chiede dolcemente, indugiando un po', come se ci fossimo appena conosciuti.
Anche lui non ha una bella cera e non voglio immaginare come si stai sentendo in questo momento e come si sia sentito ieri sera. Ha gli occhi rossi e il viso stanco.
Mi distrugge averlo così vicino e non poterlo stringere tra le braccia, aspirare il suo profumo, percepire il suo calore, assaggiare le sue labbra.
«Non... non ora per favore»
Mi volto, dandogli le spalle, nel mentre che lo dico. Tiro su col naso, respirando profondamente per evitare di piangere di nuovo. Devo respingerlo, allontanarlo da me. Ho paura di sgretolare, di ridurre a pezzettini, in brandelli, il suo cuore che ha messo tra le mie mani. Non ho il diritto di tenerlo io, non sono degna. Credevo probabilmente di stare con lui e limitarmi a quello, ma non mi ero posta il problema di chiedermi se lo amassi. Mi vergogno ad ammetterlo, sono una persona orrenda. Non voglio giocare con i suoi sentimenti facendogli credere che lo amo, quando in realtà non capisco neanche che cavolo sta succedendo dentro di me.
Non comprendo un accidenti e la calamita immaginaria che ho dentro e che mi attrae verso di lui, non mi aiuta per nulla.
«Okay... però, quando ti sentirai... lo-lo faremo» balbetta. La sua voce si incrina e vederlo così distrutto mi fa sentire male perché so di esserne la causa. Perché sarebbe accaduto prima o poi, sarebbe successo. Preferisco che abbia scelto io di fermarmi prima che la nostra relazione si rovinasse completamente.
Annuisco proprio per evitare che possa notare la mia voce strozzata dal dolore, che possa capire quanto io sia rovinata da tutto ciò.
Sento i suoi passi allontanarsi e serro le palpebre, gridando dentro di me di rimanermene qui e di lasciarlo in pace. Non servirebbe a niente se gli corressi incontro perché manderebbe in fumo tutti gli sforzi che sto facendo affinché si allontani da me, così che io possa avere la possibilità di meditare su di noi, su cosa voglio, su ciò che sento.
Mi mordo il labbro per evitare di scoppiare in lacrime, mostrando la mia fragilità.
Corro in bagno, mi chiudo a chiave e poggio le mani sul lavello, abbassando la testa e rilasciando il collo. Lascio che mi sfoghi, permetto all'acqua salata di solcare le guance fino ad arrivare alla bocca e poi cadere a terra. Singhiozzo in silenzio.
Devo recuperare le poche forze che mi rimangono per superare questa giornata e poi andrò in un posto in cui sarei dovuta andare già diverse volte, ma alla fine avevo sempre trovato una scusa valida per far sì che non dovessi scontrarmi con i ricordi.
Ce la puoi fare Allen, ce la puoi fare.
Ce la devo fare.

Amore tatuato sulla pelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora