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non so quanto tempo fosse passato, quanto a lungo rimasi in quel limbo oscuro, so che non stavo bene. so che svegliarmi fu difficile, aprii gli occhi per alcuni istanti, non riuscendo a capire dove fossi, sentii delle voci, qualcuno aveva notato che i miei occhi si erano aperti e lo stava comunicando a qualcun'altro. brevi secondi a cui seguì di nuovo l'incoscienza.
fu strano, molto più del solito. ero di nuovo nel limbo scuro, ma non completamente, parti di me vagavano nei sogni, sentivo le voci di coloro che incontravo, c'era lui, il mio amico dei sogni, la sua voce mi rassicurava "è la droga, non puoi restare in un solo posto, ti farà male, ma puoi viaggiare. passerà, tornerà tutto normale" non riuscivo a controllare i luoghi in cui andavo. in un flash vidi quello che sembrava un accampamento militare di altri tempi, poi un castello, fuoco, Victor che percorreva lunghi e freddi corridoi coperto di sangue, le sue zanne che squarciavano la pelle di qualcuno, con violenza, il cadavere che cadeva a terra con un tonfo sordo, il suo sorriso diabolico. un ragazzino si allontanò da un campo di battaglia, dimostrava neanche sedici anni, si inoltrò in un bosco, fu attaccato, cambiò, divenne oni. poi ancora, posti e situazioni che non conoscevo un grande letto dalle lenzuola candide di seta chiara, donne nude al suo interno, ridevano, si godevano gli attimi di piacere con l'attraente ragazzo biondo con cui erano, le lenzuola divennero rosse, delle ragazze restavano brandelli, un grosso lupo color della rugine si leccava il muso impregnato di sangue. andai più lontana, loro due assieme, non erano nella nostra città, davanti a loro macerie, un posto a cui il tempo aveva tolto la vita, ma loro erano ancora assieme, mano nella mano, fissando quello spettacolo, negli occhi una malinconia infinita, infine mi ritrovai a casa, nella villa c'era movimento, troppo. non l'avevo mai vista così piena di caos. la gente si muoveva velocemente, intenta nei loro compiti, erano tutti armati, e con mio sgomento non facevano altro che procurarsi altri oggetti di morte, a fornirli erano proprio loro, Victor e Kol. la pace era infranta, avevo distrutto una speranza di vita comune.
di nuovo i miei occhi si aprirono, ma si richiusero in fretta, giusto il tempo di sentire qualcosa di freddo e duro intorno ai miei polsi, era stretto, mi tagliava la carne, le braccia e le spalle dolevano, poi di nuovo buio, vidi me, acasciata a terra, su un fianco, le braccia costrette dietro la schiena, la terra secca mi sporcava il viso, non capii dove fossi, l'immagine cambiò e mi ritrovai a fissare un'altra me, tante altre me, tantissime immagini del mio passato scene vissute in anni e ambienti diversi, non avevano nulla in comune tranne per una cosa, in tutte ero sola. infine la vidi, una me più grande, un accenno di rughe ai lati degli occhi, sorrisi, voltai lo sguardo come attirata da qualcuno che mi chiamava, non vidi che fosse, vidi solo me, allargai le braccia e mi chinai leggermente, come se mi aspettassi l'abbraccio di qualcuno di basso. tutto sparì e finalmente riuscii ad aprire gli occhi, a svegliarmi. non fu bello, non lo fu affatto.
mi ritrovai seduta, alle spalle quelli che doveva essere un pilone di legni, le mani unite da strette a dolorose manette dietro di esso mi bloccavano ogni possibile movimento. mi faceva male tutto, e non in modo naturale. qualcosa nel mio corpo non andava, qualcosa oltre l'intorpidimento delle braccia e il dolore ai polsi dovuto alla morsa delle manette. ricordai il brandello di sogno. droga. aveva detto così, doveva essere quella la ragione. ero in quella che sembrava essere una tenda, le pareti non erano in legno o muratura, ma di stoffa, era conica ed io ero al centro, dedussi che ciò a cui ero legata fosse il pilastro che la tenesse in piedi.
non so quanto tempo rimasi li, da sola, non riuscivo a capirlo. avevo solo paura, non sapevo da quanto tempo ero stata presa, cosa mi avrebbero fatto o dove fossi. più di tutto, però, mi preoccupava quello che stava per accadere. sapevo che loro non mi avrebbero lasciata lì, sapevo che avrebbero fatto di tutto per recuperarmi ed era proprio questo ciò che mi spaventava. avrebbero distrutto la loro unica possibilità di avere una vita pacifica, di farsi degli amici, di non essere più soli. stavano per buttare all'aria le loro vite e stavano coinvolgendo l'intera città, causando così la fine della più concreta possibilità della fine delle guerre razziali.
qualcuno aprì un lembo di stoffa entrando nella tenda, l'improvvisa luce mi accecò costringendomi a chiudere gli occhi e a non vedere chi stesse entrando. li riaprii solo quando chiusero i lembi e tornò a regnare la penombra. erano in due. due uomini, ipotizzati umani, non mi guardavano come avrebbero fatto dei sovrannaturali, non nutrivano nessun genere di sentimento verso di me, solo indifferenza.
dopo un veloce scambio di frasi sussurrate uno dei due mi si piazzò di fronte, si abbassò per permettergli di stare faccia a faccia con me e mi fissò per una manciata di interminabili secondi. non riuscivo a vederlo in viso, nonostante la vicinanza, un po' per la penombra, un po' perché non riuscivo a mettere a fuoco, ancora troppo stordita dalla droga.
"allora" attaccò bottone così, come se il fatto che fossi ammanettata ad un palo di legno, in una tenda, fosse del tutto normale "voglio mettere subito in chiaro le cose, semplifichiamo la faccenda" annunciò rilassato "la situazione è questa: siamo stati ingaggiati per prelevarti, e tenerti sotto custodia in questo luogo fin quando non dovremmo consegnarti ai nostri datori di lavoro. ora, le cose possono andare in due modi: tu fai la buona, e noi ti tratteremo bene o rendi le cose difficili e noi saremo costretti ad essere cattivi con te" mi informò "cosa intendi fare?" domandò, aspettando una risposta che, stupita come ero, tardai a mettere insieme "non creerò  problemi" dicevo sul serio, non lo avrei fatto neanche senza quel discorsetto, volevo provare a sopravvivere il più a lungo possibile, volevo capire cosa stava succedendo e speravo di poterlo riferire ai miei amanti.
"bene" detto quello si alzò e si accostò al suo complice. era cominciata la mia prigionia, e per fortuna mi erano capitati dei carcerieri decenti.

la città dell'unioneWhere stories live. Discover now