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rabbia. rabbia cieca ed assoluta. era stata quella a farmi muovere. non capivo altro, non sentivo altro, solo una rabbia lancinante che premeva per uscire e lo feci, la lasciai uscire, con il ricordo di ciò che era accaduto ben fresco nel mio corpo.

ero stata male, per giorni, mi erano sembrati anni, dolori atroci ovunque, sentivo così tanto freddo da battere i denti fino a farmi male alle gengive e, l'istante dopo, un caldo così bruciante mi inondava le membra da darmi l'impressione di avere l'intero corpo ustionato. tutto quello che avevo erano quelle sensazioni, brandelli di coscienza così scarsi da farmi essere consapevole solo di quello, di quelle orribili sensazioni che mi straziavano. riuscii a riprendermi lentamente, tornando alla coscienza a passo di lumaca e, quando finalmente aprii gli occhi ero in una camera da letto, al caldo, sotto morbide coperte e un fresco corpo che mi stringeva e impediva alla febbre di salire eccessivamente, sulla fronte mi venne poggiata una pezzuola fresca ed umida, vidi le mani che si allontanavano e poi il volto del loro proprietario, che con espressione prima sorpresa e poi con un gran sorriso, comprese che ero sveglia. lo riconobbi subito, prima ancora di capire dove fossi sapevo di essere al sicuro, se Brian era lì io non ero più in mano a chicchessia.

la decisione di fare quello che feci la presi dopo aver parlato con i presenti. dopo che i miei uomini e amici si erano assicurati che stessi bene e mi dissero di essere sollevati che avessi ripreso conoscenza, dopo un buon piatto di brodo e una bella tazza di tè caldo, il druido si decise a darmi qualche informazione in più sulla mia situazione. a quanto pareva la droga che mi era stata data aveva causato parecchi problemi, non sapevano neanche di preciso quale fosse, o meglio, fossero. erano sicuri che la maggior parte dei miei malesseri dipendesse dal fatto che avessero mischiato varie sostanze, nessuna delle quali era ben tollerata dal mio organismo, combinate assieme erano state una specie di bomba. avevo passato la settimana seguente tra i dolori, nell'incoscienza, alternando attacchi di caldo e di freddo, mentre, per quanto possibile loro cercavano di contrastare i sintomi, aspettando che il mio corpo si depurasse da quelle sostanze nocive. solo un paio di giorni dopo che fui sveglia mi raccontarono quello che era successo in mia assenza. non fu affatto bello e non fece altro che alimentare un nodo caldo che avevo in fondo allo stomaco, all'inizio non avevo capito di cosa si trattasse, era solo un sensazione di fastidio, stanchezza e sensi di colpa, poi era diventato qualcos'altro, quando avevo saputo.

le cose in città non erano andate affatto bene. la voce del mio rapimento ci aveva messo poco a girare e diffondersi tra i sovrannaturali. nonostante Victor, Kol e l'organizzazione avevano chiarito che doveva restare una cosa interna in poco tempo la voce era giunta ovunque, i primi ad arrivare furono i membri del branco di Kol e del clan di Victor, poi si accalcarono altra gente, familiari e amici stretti dei miei concittadini, sostenitori, curiosi, gente che voleva contribuire per poter entrare nella cerchia della benedetta più chiacchierata dell'ultimo secolo o semplicemente che voleva avere qualcosa da guadagnare da quella faccenda. era stato il caos per i seguenti tre giorni. al quinto giorno di rapimento si erano fatti vivi pure gli elfi, non di persona, avevano mandato i miei genitori che avevano cominciato a creare problemi, accusando a destra e manca e creando altra agitazione. due giorni dopo si era, in qualche modo, riportata una parvenza di ordine nella città, in tutti quei giorni Yami aveva provato a trovarmi, ma a quanto pareva la mia essenza si spostava senza criterio da una parte all'altra, sdoppiandosi, e impedendogli di rintracciarmi in quel modo. era stato costretto a cercarmi alla cieca e ci mise sei giorni per trovare l'accampamento, studiarlo e valutarlo. mi dissero che, a parte per un gruppetto di una decina di mercenari di diverse razze, i componenti all'interno dell'accampamento erano tutti umani, tutta gente assunta per rapirmi e tenermi lì per un po', prima di spostarmi chissà dove o a chi. dieci giorni dopo il mio rapimento, quando avevano fatto un piano, si erano sbarazzati dei non desiderati avventori ed erano riusciti ad avvicinarsi abbastanza, avevano attaccato l'accampamento. era stato un berretto rosso della città a recuperarmi, mentre Yami abbatteva i tizi che stavano cercando di caricarmi in un'auto per portarmi via. Hurghy, il berretto rosso, mi aveva afferrata e trascinata fino alle retrovie, mi aveva mollata alle cure di Brian, che aveva accettato di seguire i concittadini in veste d guaritore, e poi era tornato a fare quello che gli riusciva più naturale, ovvero combattere e uccidere. a fine scontro i pochi nemici sopravvissuti non avevano avuto la minima idea di chi li avesse ingaggiati, dei vari gruppi che erano stati messi assieme per formare quel manipolo di guardie nessuno aveva mai visto o parlato di persona con il committente. avevano usato con tutti lo stesso metodo: e-mail anonime e per pagamento un bel sacchetto di gemme preziose inviate da un mittente anonimo.

la goccia che fece traboccare il vaso cadde quando, due giorni dopo che avevo ripreso conoscenza, con la febbre che ormai si era drasticamente abbassata e con solo qualche linea, decisi di alzarmi e andare in cucina per fare colazione. la prima tappa era stata il bagno, dove ero rimasta per dei lunghissimi minuti a fissare le brutte ferite che mi circondavano i polsi, i segni scuri alle caviglie, cove la corda mi aveva lasciato dei lividi, così come ne avevo in altri punti del corpo, senza sapere bene come me li fossi procurati. uscita dal bagno infilai una vestaglia sul pigiama e mi schiusi la porta della stanza alle spalle, percorsi il corridoio, scesi una rampa di scale e poi qualche altro passo nel corridoio del piano terra entrai in cucina. avevo appena messo a bollire dell'acqua, e stavo frugando in cerca di qualcosa da mangiare quando loro arrivarono. nessuno mi aveva detto che erano in casa, nessuno mi aveva detto che erano ancora in città, ma ritrovarmi di fronte i miei genitori che discutevano con il mio mannaro, il mio vampiro e il druido, insistendo che avevano tutto il diritto di parlarmi e loro non erano nessuno per impedirglielo, mi fece esplodere. quel nodo ingarbugliato di sensazioni sconosciute ed emozioni che mi si era addensato dentro esplose in una gigantesca massa di rabbia. ira allo stato puro. quando fecero per venirmi incontro non ressi ed esplosi. mi scansai bruscamente da loro, dopo un "preoccupatevi della figlia che vi siete procurati per sostituire l'articolo danneggiato che sono" lasciandoli spazzati, me ne andai a passo di carica verso una meta precisa. ignorai i richiami di Victor e Kol, non c'era bisogno della loro capacità olfattiva per capire che stavo per fare qualcosa in preda alla collera. ed era proprio così. ero furente e volevo farli soffrire. volevo far soffrire lui come lui aveva fatto soffrire me. volevo vederlo in ginocchio, volevo che strisciasse e implorasse. mai avevo desiderato una cosa simile per qualcuno, nemmeno lontanamente, ma ora lo volevo con tutto il cuore e volevo sopra a tutto che quel dolore fossi io ad infliggerglielo. sapevo come fare, sapevo di poterlo fare e sapevo che lo avrei fatto. arrivai nella nostra camera da letto come una furia, non mi preoccupai neanche di chiudere la porta alle mie spalle. appena lanciai uno sguardo al suo interno, ordinato ed immacolato. mi avevano tenuta in un'altra stanza durante la convalescenza, una che potesse essere più comoda per Brian e lo svolgimento dei suoi compiti. trovai la borsa al solito posto di sempre, in pochi secondi trovai la boccetta, la aprii, ignorai l'urlo maschile che mi voleva pregare di non bere, alzai la testa e rovesciai il contenuto della fiala in gola. collassai di faccia sul letto nel giro di tre secondi netti, nonostante quella droga, ero lucida e furente. sapevo dove andare e cosa fare. lo feci, senza esitazione. un attimo prima ero in camera, la faccia spiaccicata sul materasso, quello dopo ero in un campo, era sera, c'era una bellissima luna piena che si rispecchiava su un lago placido, un uomo davanti a me, che mi dava le spalle, seduto sull'erba, fissava il corpo di una ragazza che faceva il bagno, la pelle chiara che brillava d'argento i capelli rossi rilucevano, si girò verso l'uomo e sorrise, vidi me stessa con i suoi occhi, sorridergli, il corpo nudo che lui immaginava avessi, mentre nei sogni contemplava quella proprietà che gli era sgusciata tra le dita. rimasi lì, a studiare il sogno, a vederlo guardarmi come se fossi stata un'opera d'arte per dei minuti o forse dei giorni e poi mi decisi e feci un passo avanti, poi un secondo e un terzo. mi accostai a lui, sapevo che non poteva vedermi, mi concentrai e mi mostrai, sconvolgendolo. indossavo un abito color del sangue lungo fino ai piedi, parecchio scollato sul davanti e sulla schiena, i capelli legati, uno stretto girocollo con pendenti che mi fasciava completamente il collo e il petto. mi fissò a bocca aperta, lanciò uno sguardo all'altra me che si comportava come nulla fosse, giocando con l'acqua del lago, tornò a fissarmi ad occhi sgranati "desideravo solo vivere la mia vita, in pace, con loro, te lo avevo detto e tu mi hai fatto questo" gli mostrai i polsi sanguinanti, come dovevano esserlo stato quando mi avevano tolto le manette "ed ora pagherai. non puoi fare nulla, qui comando io e ti farò soffrire" tentò di spostarsi, ma fu inutile, la mia mano gli afferrò la spalla e io lo trascinai con me, altrove, in un altro sogno, un sogno completamente sotto il mio controllo, un sogno in cui avrei comandato totalmente su di lui.

la città dell'unioneWhere stories live. Discover now