Capitolo otto ; impariamo le parole Norvegesi

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Quando mi sono svegliata questa mattina, nemmeno ricordavo della promessa fatta ieri sera a Paulo.
È stato proprio lui a rammentarmi del fatto che ci avrei dovuto pensare, non appena ci siamo salutati a colazione.

Mentre preparavo la mia solita tazzina in cui versare il caffè, lui è entrato in cucina e senza parametri o altro, ha detto:«Allora, oggi iniziamo o no, con la mia prima lezione di norvegese?»

Ho strabuzzato gli occhi, ma poi ho ricordato. Abbiamo consumato il primo pasto della giornata insieme e poi, mentre chiacchieravamo del più e del meno, siamo usciti fuori in giardino e ci siamo seduti al tavolino bianco latte con le sedie color nero come la pece, accanto alla piccola piscina.

Ed ora eccoci qui.

«Partiamo proprio dalle basi?» chiedo ma lui sbuffa ed alza gli occhi al cielo.
«No! Ti ho detto che voglio imparare solo le parole rare, capito? Quelle che in italiano o in qualsiasi altra lingua sono intraducibili. Giusto per avere un po' di cultura e sorprendere i miei compagni di squadra sembrando colto, capisci che intendo?»

Sospiro e abbasso lo sguardo, per non guardarlo dritto negli occhi e concentrarmi meglio:«Fammi pensare»

Eppure, nonostante io fissi un punto indistinto del tavolo in legno e non Paulo, continuo a sentirlo perforarmi il cranio con quelle iridi miste fra un color verde prato e il cielo azzurro, ed è come se mi penetrasse dentro l'anima e mi leggesse dentro.

«Stjerneklart, in norvegese, significa "cielo molto scuro, illuminato solo dalle stelle"»

Lui distoglie lo sguardo da me, smettendola di fissarmi così intensamente, e tira il telefono fuori dalle tasche della tuta, aprendo le memo.

«Mi detti lettera per lettera?»

Sarà una lunghissima mattinata...

*

«Smerte significa "dolore"» spiego, cercando di pronunciare ogni mia parola al meglio in modo che lui capisca bene la pronuncia vera e propria.

«Okay, questo credo di sapere come si scriva. S-m-e-r-t-e, giusto?» chiede, alzando gli occhi verso di me e sorridendo.

Ricambio e annuisco.

Mentre lui ha ancora il sorriso sulle labbra, la mia mente comincia a divagare in lungo e in largo senza tregua: quando il giocatore della Juventus alza gli angoli delle labbra all'insù, mi ricorda un bimbo piccolo a cui è stato appena regalato un giocattolo nuovo.

Gli occhi gli diventano di un colore così intenso da meravigliarmi e mi sorprendo a pensare di trovarlo quasi tenero.

«Dai, ti sto tenendo qui ad insegnarmi il norvegese da quasi due ore e mezza. Illustrami» marca ridendo l'ultimo vocabolo «l'ultima parola e poi sarai libera di tornare a leggere il tuo amato Sherlock Holmes o il libro sull'etimologia delle parole»

Ridacchio anch'io e la mia mente torna a concentrarsi su questo momento, invece che continuare a farsi filmini su filmini mentali.

Penso che prima o poi mi daranno un Oscar per quanti me ne faccia e per quanto siano belli.

«Forelsket è una di quelle parole intraducibili in qualsiasi lingua.»
Emetto un lungo sospiro.
«Rappresenta l'euforia che si sperimenta quando ci si innamora per la prima volta»

Paulo ha smesso di sorridere ed ha ricominciato a guardarmi con quel suo sguardo intenso e così bello, da farmi perdere quasi il fiato.

Perdo l'utilizzo delle parole e per paura di dire qualche cavolata e di rovinare il momento con qualcosa di imbarazzante, decido di rimanere in silenzio anch'io.

O almeno finché riesco a tenere a freno la mia lingua, il che è molto difficile. Infatti...

«Non ti segni questa parola sul cellulare?»

All'improvviso sorride di nuovo ed mi guarda normalmente, con quei suoi occhi vispi e quasi sempre lucidi.
Scuote la testa, come se avessi sbagliato a fare qualcosa, anche se non credo di capire bene che cosa.

«Ho commesso qualche errore?»

Il suo sorriso si allarga ancora di più, eppure continua a scuotere il capo.

«No, sei un'ottima insegnante di norvegese, Noemi Sabatini»

Decido di lasciar perdere l'argomento e di far cadere la conversazione, e il ragazzo dai capelli castani sembra intenzionato a voler fare lo stesso; così sorrido innocentemente.

«Grazie di tutto» dice e poi si alza dalla sedia, avvicinandosi alla porta in vetro dietro la villa.

«Prego, è stato un piacere»

E poi succede tutt'insieme: prima di rientrare dentro la casa, lui si volta verso di me sorridendo ancora una volta e mi fa l'occhiolino, sbattendo le palpebre dell'occhio destro con una tale ingenuità da farmi venire i brividi.

E così io rimango lì, seduta in giardino come un' idiota, ma con la pelle d'oca lungo tutta la spina dorsale senza nemmeno saperne il motivo.

*

Giuro su Dio o su chiunque ci sia lassù, che certe volte vorrei proprio scomparire.

Credo di avere qualche malattia come l'Alzheimer o non so che, visto che mi ero addirittura dimenticata che Alvaro mi avesse chiesto di vederci oggi pomeriggio.

La verità è che dopo aver cercato di insegnare il norvegese a Paulo, aver studiato e letto e poi ancora studiato e letto tutta l'intera giornata, non mi va proprio di incontrarmi con il numero nove della Juventus e nemmeno so che scusa inventarmi.

«Ehi Noemi, oggi non abbiamo allenamento, noi della squadra, ma se vuoi domani potresti venire a vederci. Consideralo come il favore restituito dopo la lezione di oggi.»
Dice il ragazzo dagli occhi verdi mentre siamo seduti insieme a tavola.

Sono le due e abbiamo iniziato a pranzare così tardi perché aspettavamo che arrivasse il fattorino con le pizze che avevamo ordinato, e sto morendo veramente di fame.

Anche se non credo ci sia un momento della mia vita in cui io non lo stia facendo...

«E dovrebbe essere uno scambio? Averti insegnato qualche parola in norvegese mi farà guadagnare una mattinata seduta sugli spalti a vedere voi calciatori sudare come maiali?»

Prendo un pezzo di pizza e lo mastico a bocca aperta davanti ai suoi occhi. «No, grazie»

Lui scoppia a ridere. «Quanto sei fine»

«Modestamente? Lo so»

«Perché invece non mi fai un altro piacere? Oggi non mi sento molto bene ma il tuo amico Alvaro Morata mi aveva chiesto di uscire. Potresti reggermi il gioco dicendo anche tu che ho la febbre?» so che rischio a chiederglielo, ma non ho altra scelta se non voglio ferire i sentimenti del ragazzo dagli occhi castani.

«Mh, ma tu ce l'hai veramente?» ghigna lui, mentre assapora la sua semplice pizza rossa, visto che con la dieta dei calciatori non può prenderne una più elaborata.

«Ti ricordo che mi devi un favore, Dybala. Qualunque esso sia»

«C'è differenza fra il fare un favore e mentire al proprio migliore amico» commenta, sempre con quella maledettissima smorfia in volto.

«Alvaro è il tuo migliore amico?» cerco di cambiare discussione.

«Sì, perché?»

«Non l'avrei mai detto»

«Comunque è inutile che cerchi di cambiare argomento, me ne accorgo» dice semplicemente, per poi prendere un sorso d'acqua dal suo bicchiere.

«Dai, ti prego Dybala» lo supplico e lui, dopo qualche istante di silenzio, acconsente.

Annuisce.
«Eh va bene Noemi, però dovresti imparare a dire di no alle persone, invece di inventarti scuse per non ferirle»

Hurricane - Paulo Dybala [IN REVISIONE] #Wattys2019Where stories live. Discover now