Capitolo tredici ; la casa non è in disordine

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Quando il giorno dopo accompagno Paulo agli allenamenti, non appena quest'ultimo vede i suoi compagni di squadra comunica a tutti loro la grande notizia: sono entrata alla Bocconi.

Uno alla volta, ogni giocatore si viene a complimentare con me, dicendomi che sono stata bravissima e che me lo meritavo veramente di ottenere questo grande risultato.

In particolare, Alvaro mi abbraccia di slancio, circondando la mia vita con le sue braccia possenti e stringendomi con forza a sé, mentre io allaccio le mie mani lattee dietro il suo collo.

«Sei stata bravissima, non avevo dubbi sul fatto che saresti passata» sorride, mi fa l'occhiolino e in seguito si allontana per tornare a fare i giri di campo assegnati dall'allenatore.

Divento bordeaux quando mi accorgo che lo sguardo di Paulo non si è spostato nemmeno un secondo da quella scena, e così abbasso gli occhi, per poi sedermi sugli spalti, cercando di non osservare l'argentino più del dovuto.

Lui, d'altro canto, non fa altro che squadrare il numero nove durante tutta la durata dell'allenamento e a me viene spontaneo alzare gli occhi al cielo: perché si sta comportando così tanto da bambino?

*

Sospiro quando noto che sono oramai le cinque e mezza del pomeriggio e che tutti si stanno dirigendo verso gli spogliatoi.

Gli angoli delle labbra del numero nove si alzano all'insù mentre mi rivolge un breve sguardo, come per salutarmi, ed allora io ricambio.

Mi dirigo fuori dallo Juventus Center e mi fermo nel parcheggio accanto alla macchina di Paulo, mentre aspetto che il giocatore juventino esca.
«Ho visto che Alvaro era molto felice per te» sbuffa, una volta salito sull'auto.
Io sospiro. «Madonna Santa Paulo, sei peggio di mio padre»

Lui alza gli occhi al cielo e poi mette le mani sul volante, stringendolo così forte da farsi diventare le nocche bianche. Mette in moto. «Perché, che ha fatto adesso tuo padre?»

Parte a tutta velocità ed io sollevo le mani verso il cruscotto, come per fargli segno di andare un po' più piano. «Quando mi è venuto il ciclo per la prima volta, ovvero a undici anni, mio padre mi ha detto che non mi sarei più potuta baciare con la lingua con nessun ragazzo, perché sennò sarei rimasta incinta»

La smorfia arrabbiata sul viso di Paulo scompare e lui scoppia irrimediabilmente a ridere. «E tu ci hai creduto?»

Viene da ridacchiare anche a me, ma cerco di contenermi mostrando il viso serio e offeso per la sua risata. «Sì! Fino a circa tredici anni!»

Ride ancora più forte.

«Non è stata colpa mia. Mia madre gli reggeva il gioco e nessuno mi ha mai detto il contrario, nemmeno mia sorella!»

Lui si volta di scatto a guardarmi quando menziono Oriana.

I suoi occhi si legano ai miei: iride contro iride e nessun'altra via di scampo.

Il suo sguardo è come incatenato al mio ed io non posso fare a meno di ammettere a me stessa di trovarlo estremamente bello, soprattutto adesso, con gli occhi lucidi e vispi dopo la risata.

*

Non appena arriviamo a casa ed entriamo all'interno della grande villa, una domanda mi sorge spontanea.

«Comunque hai novità in merito al ritorno di mia sorella?» chiedo e Paulo mi guarda come se fosse appena cascato fra le nuvole.

«Eh?»

Questo ragazzo sarà pure figo, ma è mezzo scemo.

«Intendo, vi sarete sentiti durante questa settimana. Non ti ha detto più o meno quando tornerà?» mi guarda stralunato mentre io mi butto sul divano con l'eleganza di un elefante in una cristalleria.

Non ho fatto quasi niente durante tutta la giornata e sono stanca morta.

«Ehm sì, certo. Ci sentiamo ogni giorno per telefono» risponde dopo un po' «Ha detto che sarà qui fra massimo tre giorni»

Piomba un silenzio tombale e la situazione sembra prendere una piega un po' imbarazzante, anche se non capisco bene il perché.

«Menomale che la casa è in ordine» butto fuori un lungo respiro che nemmeno mi ero accorta di star trattenendo. «Oriana ci avrebbe ucciso se avesse trovato la casa anche solo un minimo in disordine. Invece siamo stati bravi e non l'abbiamo bruciata» faccio una pausa «né ci siamo dati fuoco a vicenda»

Come al solito, Paulo si viene a sedere accanto a me sul divano e sorride a quelle parole.

«Hai ragione, sarà proprio orgogliosa di noi»

Sorrido anch'io.

«Domani inizierai l'università, giusto?» domanda dopo alcuni minuti in silenzio, questa volta non opprimente o pressante.
«Eh già. Non vedo l'ora» mormoro e non sono mai stata così sincera in vita mia: il mio sogno sta per realizzarsi ed io ancora non posso crederci.

La conversazione cade ed eccolo qui: di nuovo quello strano silenzio.

«Credi che quando tornerà Oriana cambierà qualcosa fra di noi?» sussurra improvvisamente e non ne so il motivo, ma quella domanda mi stupisce.

«Sinceramente? Non lo so, Paulo. Ancora non capisco perché ti abbia chiesto di rimanere qui a casa a controllarmi. Non me ne capacito. Insomma, prima di trasferirci qui mi aveva pregato di starti lont-»

«Ti aveva chiesto di non avvicinarti a me?!» ripete, incredulo.

«Proprio così. Di non parlarti e addirittura di non incrociare il tuo sguardo. Ti giuro che io non la capisco»

«Magari avrà cambiato idea» dice.

«Non credo proprio» faccio una breve pausa «Mia sorella è cocciuta»

«Sì, me ne ero vagamente accorto» ridacchio a quell'affermazione.

«Io spero che non cambierà niente insomma. Adesso che siamo riusciti ad avere un bel rapporto, non mi va che vada tutto in fumo.»

Paulo sospira e mi osserva dritto negli occhi: sembra come se mi stia leggendo dentro la mente, tutto ciò che provo e che penso.

«Lo spero anch'io»

questo capitolo fa schifo, perdonatemi.

Hurricane - Paulo Dybala [IN REVISIONE] #Wattys2019Where stories live. Discover now