Aiutare un quadrupede

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(Revisionato)

La scuola non sembrava poi così cambiata nel giro di un'estate, piuttosto avevo come la sensazione che ogni cosa fosse rimasta esattamente come l'avevo lasciata: Mrs Brown e il suo terribile purè di patate, il tavolo della squadra di basket, i capelli setosi e pettinati a rigor di perfezione delle mie compagne cheerleaders... Quell'anno aveva tanto l'aria di essere un loop di quello precedente, e l'idea non mi dispiaceva affatto.

Non amavo le novità, i cambiamenti improvvisi o i volti sconosciuti. Alteravano gli equilibri, a volte con il rischio di costringerti a esporti. Invece, mi piaceva pensare che ancora una volta sarei riuscita ad arrivare alle vacanze estive senza alcun tipo di intoppo, con i miei voti accettabili e il mio profilo basso.

Dopotutto, i miei fratelli erano già abbastanza esibizionisti da mettere il nostro cognome sulla bocca di tutti, non avevo affatto voglia di dare alla gente altro di cui parlare.

Decisi così che quel primo giorno di scuola avrei fatto proprio ciò che ci si sarebbe aspettati da me: sistemai i libri nell'armadietto, andai a sedermi al mio solito posto, parlai del più e del meno con i miei compagni, seguii la noiosissima lezione di letteratura e a mensa mi sistemai al solito tavolo con le mie solite amiche.

Ogni singola cheerleader era ben accoppiata a qualche super atleta di qualche super squadra che sedeva con noi al nostro super tavolo, e per me, che ero alta un metro e settantotto, quella situazione non era l'ideale, ma ci avevo ormai fatto l'abitudine.

Diversamente dal consueto, ma pur sempre nei limiti del normale, arrivai con ben dieci minuti di ritardo. Recuperare un muffin per Penelope si era rivelata un'impresa più difficile del previsto, ma se non altro ne uscii vittoriosa.

Un po' affannata e con i capelli spettinati a causa della calca, sedetti al tavolo con la stessa goffaggine di un orso appena rinsavito dal letargo. La delicatezza non era una mia qualità, e proprio per questo, quando urtai il tavolo, per poco non rovesciai tutte le bottigliette d'acqua che c'erano sopra. «Oh» esclamai mortificata mentre metà del tavolo scoppiava a ridere.

«Non dire "Oh", mi sono rovesciato tutto il succo addosso.»

Abbassai lo sguardo sulla persona che aveva appena parlato, lo feci passare sui suoi capelli biondo depressione e lo portai fin sulla bella macchia di succo alla pesca che adesso sfoggiava in mezzo ai pantaloni. Strinsi gli occhi, indecisa su quanto cattiva dovesse essere la mia risposta.

«Logan Hardin» iniziai con un sorrisetto furbo e qualcuno borbottò un "Adesso ricominciano". «Non sai che le classi delle elementari stanno dall'altra parte del complesso scolastico?» Usai un tono esageratamente zuccherino, quasi stessi parlando a un bimbo di sette anni.

«Complesso scolastico? Barlow, mi stupisci.» Logan portò con movenza teatrale una mano sul petto, gli occhi grigi ben spalancati da finto stupore e cerchiati da profonde occhiaie viola. «Finalmente, a parte le gambe, ti si sta sviluppando il cervello.»

Inspirai profondamente e cercai di non aggredirlo con la forchetta. Logan Hardin era una cozza che mi seguiva fin dall'asilo, nonché il giocatore più nano della squadra di basket – basti pensare che misurava un metro e sessantotto al garrese, quel quadrupede – ma nonostante ciò rappresentava anche il rivale numero uno di mio fratello Marvin, e lo era per due motivi ben specifici: il primo, che era indubbiamente il più bravo a basket, il secondo, la mia migliore amica.

Marvin le aveva fatto una corte disperata per mesi, ma alla fine lei lo aveva liquidato definendolo troppo alto e troppo egocentrico, preferendo a lui il piccolo, buffo e rapido Logan.

Prima volta nella storia che un Barlow riceveva un rifiuto umiliante come quello; non c'era da stupirsi se da quel momento in poi, tra i due, era iniziata una vera e propria guerra.

BarlowWhere stories live. Discover now