Almeno lui è alto

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Va bene, mi dissi una volta rientrata a casa, non è mica la fine del mondo.

Nonostante fuori piovesse a dirotto e i tuoni fossero talmente forti da far vibrare i vetri delle finestre, quello era solo un temporale passeggero. Doveva essere la stessa cosa per il mio periodaccio.

Dopo aver caricato la foto della mia mano stretta a quella di Jan, ero corsa a rifugiarmi sotto al piumone, nella speranza che quello da solo bastasse a ripararmi dalla pioggia di frecce che mi avrebbe colpita non appena tutti fossero rientrati in casa. Quel piacevole torpore mi fece rilassare a tal punto che per un po' riuscii a dimenticare Louise, Tommy, Logan, Jan. Mi addormentai, quasi il mio corpo fosse arrivato allo stremo dopo quelle infinite notti passate a rigirarmi nel letto alla ricerca di un modo efficace per uscire da quel grande casino.

Avevo ormai accettato che una soluzione, in realtà, non esisteva proprio. L'unica cosa che avrei potuto fare era scoprire la verità e accettarla. Niente di più, niente di meno. Quando ciò sarebbe accaduto avrei affrontato la cosa con lo stesso coraggio di un soldato costretto a combattere, ma fino a quel momento volevo solo dormire. In effetti dormii così profondamente da risvegliarmi solo molte ore dopo, quando ormai tutte le specie animali che abitavano quella casa erano rientrate. Forse avrei continuato a dormire per molto tempo ancora se Penelope non si fosse infilata sotto le coperte per riscaldarsi e svegliarmi, entrambe cose nelle quali riuscì in maniera egregia.

«Jan Horàk, eh.» Ridacchiò, schiaffandomi in faccia il display del suo telefono con la foto delle mani. «Senza offesa, ma non se l'è bevuta nessuno.»

«Per questo non mi hanno ancora decapitata?» borbottai, sospirando. Misi a fuoco la foto e sospirai di nuovo, sconsolata. Non volevo fosse mio cugino: le nostre dita si incastravano troppo bene.

«No, è che non sanno che sei in casa.» C'era una punta di maligna soddisfazione nella sua voce, quasi fosse eccitata all'idea di nascondere una ricercata come me. «Vuoi dirmi o no cosa sta succedendo?»

Nascosi il viso contro il cuscino e come forma di protesta mi lasciai sfuggire un verso. Perché dovevo affrontare quell'interrogatorio e non potevo continuare a dormire?

«Ti ho mai nascosto qualcosa?» le chiesi semplicemente. Sapevo che mentirle non avrebbe avuto senso, ma forse avrei potuto spiegarle il perché di quella mia scelta.

Penny si girò dall'altro lato e attaccò il suo sedere contro il mio fianco. «Solo ogni tanto, ma sempre per ottimi motivi» ammise riluttante. «Riguarda i nostri genitori, vero? Per questo...» A quel punto prese un respiro profondo. «Per questo l'altra sera stavi cercando i nostri certificati di nascita.»

Bastò la mia esitazione, il respiro trattenuto.

Penelope li interpretò come un'ammissione. «Non capirò mai perché ti ostini così tanto a cercare delle risposte. A me basti tu, sei tu la mia famiglia.» Scivolò fuori dalle coperte e si sedette sul bordo del letto, poi appoggiò una mano sopra i miei capelli e ci lasciò una leggera carezza. «Per favore, parlane con qualcuno che ti vuole bene, confidati con chi non ci guadagnerebbe niente dal vederti stare male, ma non tenerti tutto dentro.»

Mi si formò un groppo in gola. Penny era l'unica persona al mondo a possedere tutti i requisiti che aveva appena elencato, ma non me la sentivo di riaprire vecchie ferite senza prima avere la certezza che tutto quello che avevo letto sul diario di Jana fosse reale.

«A ogni modo, sappi che sono ufficialmente un membro delle cheerleader» mi comunicò con allegria, cambiando discorso.

Alzai di scatto la testa dal cuscino e la guardai, le guance arrossate e i capelli che penzolavano scompigliati davanti al viso. «Hai convinto Louise?»

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